Il pegno è un diritto reale di garanzia che serve a tutelare un creditore nel caso in cui il debitore
non adempia alla propria obbligazione. A differenza dell'ipoteca, che grava su beni immobili o
mobili registrati e non richiede il trasferimento del possesso, il pegno ha per oggetto beni
mobili, crediti o altri diritti mobiliari e normalmente si costituisce con la consegna del bene al
creditore o a un terzo custodio. Il bene può essere di proprietà del debitore o anche di un terzo
che accetta di vincolarlo per il debito altrui (art.2784 c.1).
Le regole principali del pegno sono:
- costituzione del pegno = che presuppone il titolo costitutivo, rappresentato dall’accordo
tra il creditore e il proprietario della cosa e lo spossessamento che consiste nel fatto che
il proprietario della cosa rilascia il possesso, consegnandola al creditore o a un terzo.
- esercizio del diritto = il creditore deve custodire la cosa e nel momento in cui il debitore
paga il proprio debito, il creditore deve restituire la cosa. Se il debito non viene pagato, il
creditore può vendere la cosa e tenersi il ricavato ottenuto. Altrimenti il creditore può
chiedere al giudice che la cosa dopo esser stata stimata gli venga direttamente attribuita
in proprietà.
Anche il pegno di credito deve risultare da un atto scritto e occorre che la costituzione del
pegno venga notificata.
17. Cosa succede in caso di inadempimento del pegno?
In caso di inadempimento del debitore, il pegno diventa uno strumento molto forte per il
creditore, perché gli dà il diritto di prelazione sul bene dato in garanzia. Quindi se il debitore
non paga, il creditore non è libero di tenersi il bene (patto commissorio è vietato) ma deve
chiedere al giudice l’autorizzazione a vendere il bene, di solito tramite asta pubblica o in altri
modi. Dal ricavato della vendita, il creditore si soddisfa prima di tutti gli altri creditori (diritto di
prelazione), se dalla vendita avanza qualcosa, viene restituita al debitore, se il ricavato non
basta, il creditore può pretendere il resto del debito.
18. Differenza tra associazione riconosciuta e associazione non riconosciuta secondo la
responsabilità patrimoniale
L’associazione riconosciuta, disciplinata dagli articoli 12 e seguenti del Codice Civile, è dotata
di personalità giuridica, che si acquista tramite riconoscimento e iscrizione nei registri
competenti. Ciò significa che risponde delle obbligazioni contratte esclusivamente con il proprio
patrimonio: i beni personali dei soci e degli amministratori restano estranei, salvo casi
particolari come la mala gestione o atti illeciti.
Diversa è la situazione dell’associazione non riconosciuta, regolata dagli articoli 36 e seguenti
c.c., che non ha personalità giuridica. Sono regolate da accordi ma non sono riconosciute
dall’autorità amministrativa. In questo caso, i debiti vengono soddisfatti innanzitutto con il fondo
comune dell’associazione, ma, se questo non è sufficiente, rispondono personalmente e
solidalmente anche le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione (come
previsto dall’art. 38 c.c.). I soci che non hanno assunto direttamente obbligazioni non sono
invece chiamati a rispondere.
In sintesi, mentre nell’associazione riconosciuta il patrimonio dell’ente costituisce un “filtro” che
protegge i beni personali di soci e amministratori, nell’associazione non riconosciuta questa
protezione non è garantita per chi agisce in nome dell’ente, che può essere chiamato a
rispondere con il proprio patrimonio.
19. Possesso
Il possesso, disciplinato dall’art. 1140 del Codice Civile, è la situazione di fatto in cui una
persona ha il potere di esercitare su una cosa un diritto reale, come la proprietà o l’usufrutto,
comportandosi come titolare di quel diritto, indipendentemente dal fatto che ne abbia o meno la
legittima titolarità.
Sotto il profilo giuridico è una situazione di diritto e riguarda se chi possiede sia o non sia il
titolare del diritto soggettivo corrispondente al potere esercitato sulla cosa.
Situazione di fatto e di diritto possono anche non coincidere.
L’articolo 1140 cc distingue 3 situazioni:
- Possesso pieno: quando il potere esercitato corrisponde a quello del proprietario.
- Possesso minore: quando si esercita un potere corrispondente a un diritto reale minore
(ad esempio, possesso di usufrutto o di servitù).
- Compossesso: quando più soggetti esercitano contemporaneamente il possesso sulla
stessa cosa.
La detenzione si distingue dal possesso, consiste nell’avere il controllo effettivo della cosa ma
non esserne il proprietario (es. il meccanico ha una macchina da riparare ma non è sua). Si
parla di possesso quando ho il controllo sulla cosa ed è di mia proprietà (animus possidendi).
Si divide in:
- possesso immediato = quando il possessore esercita direttamente il possesso sulla cosa
- possesso mediato = quando il possesso è esercitato tramite un detentore
Si parla di possesso legittimo quando il possessore è anche il titolare del diritto e di possesso
illegittimo quando il possessore non è titolare del diritto di proprietà, può essere in mala fede o
in buona fede.
Il possesso si acquista nel momento in cui si esercita poteri di proprietà o altri diritti reali sulla
cosa. La legge prevede la presunzione di possesso (art. 1141 c.c.), per cui chi esercita il
potere di fatto sulla cosa si presume possessore, salvo prova contraria.
La trasformazione della detenzione in possesso avviene quando il detentore deve fare
opposizione contro il possessore, manifestando di voler tenere la cosa.
L’inversione del possesso si tratta della trasformazione del possesso minore in possesso pieno
(art. 1164).
Il possesso si perde per cessazione del potere di fatto o per perdita della disponibilità materiale
della cosa (art. 1167 c.c.). Un caso particolare di trasferimento del possesso è il costituto
possessorio, in cui il possessore diventa detentore e trasferisce il possesso a un altro
soggetto senza consegna materiale della cosa.
La legge tutela il possesso con le azioni possessorie:
- azione di reintegrazione
- azione di manutenzione
- azione di nunciazione
La regola del possesso vale titolo (art. 1153 c.c.) stabilisce che il possessore di buona fede
che acquista da chi non è proprietario diventa comunque proprietario, se il bene è mobile e vi è
un titolo idoneo.
Il possesso è rilevante anche per l’usucapione (art. 1158 c.c.), che consente di acquistare la
proprietà o un diritto reale per effetto del possesso protratto nel tempo con i requisiti di legge.
Il possessore ha diritto ai frutti e al rimborso delle spese secondo le regole degli artt.
1148-1152 c.c.: il possessore di buona fede trattiene i frutti percepiti e ha diritto al rimborso
delle spese necessarie e utili; il possessore di mala fede deve restituire i frutti e può ottenere
solo il rimborso delle spese necessarie.
22. Conseguenze giuridiche del possesso o 26. Principali effetti del possesso
Il possesso comporta una serie di conseguenze giuridiche, in particolare la protezione dei diritti
del possessore e l'influenza che il possesso ha sulla proprietà e su altri diritti reali.
Tutela del possesso: il possessore ha diritto a proteggere il suo possesso contro chiunque lo
disturbi o lo interferisca, questa protezione si può attuare mediante:
a. Azioni possessorie:
- azione di reintegrazione o azione di spoglio = spetta al possessore che sia stato
spogliato del suo possesso ed è diretta a reintegrare il possesso nella sua
pienezza
- azione di manutenzione = spetta al possessore che sia stato molestato
nell’esercizio del suo possesso, ed è diretta all’eliminazione delle molestie
- azione di nunciazione = per prevenire un danno da cui la cosa è minacciata, si
divide in denuncia di nuova opera (se si teme che una nuova costruzione possa
recare danno al proprio possesso) e in denuncia di danno temuto (se da una cosa
esistente si teme un danno grave).
b. Possesso vale titolo: se una persona acquista in buona fede il possesso di un bene
mobile da chi non è il proprietario, ma che appare come tale, essa diventa proprietaria
del bene stesso purché ci sia stato un titolo idoneo al trasferimento di proprietà.
c. Usucapione: il possesso continuato di un bene per un determinato periodo di tempo (ad
esempio, 20 anni) può trasformarsi in diritto di proprietà, anche se il possesso era
inizialmente illegittimo.
d. Restituzione della cosa posseduta: frutti e spese. Il possessore in buona fede deve
restituire i frutti ottenuti dopo la domanda giudiziale, quelli precedenti può tenerli. Il
possessore in mala fede deve rendere tutti i frutti maturati. Se il possessore per ottenere
i frutti che deve restituire ha sostenuto delle spese, verranno rimborsate.
27. Forma del contratto
Nel sistema giuridico italiano si possono identificare due schemi principali:
- uno schema base, che regola la formazione di tutti i contratti
- svariati schemi particolari, ciascuno dei quali regola la formazione di una determinata
classe di contratti
Schema base: la legge individua due componenti elementari dell’accordo contrattuale, la
proposta (proponente) e l’accettazione (oblato).
Il contratto è concluso nel momento in cui il proponente riconosce l’accettazione dell’altra parte.
Schemi particolari:
- contratto formato mediante esecuzione = richiedono di essere eseguiti senza bisogno di
preventiva accettazione comunicata al proponente. Il contratto è concluso nel momento
in cui ha avuto inizio l’esecuzione della prestazione richiesta.
- contratto formato mediante proposta non rifiutata = si applica quando il proponente
propone all’oblato un contratto dal quale nascono obbligazioni solo a carico del
proponente stesso (es. offerta), quindi non occorre accettazione da parte dell’oblato. Il
contratto si conclude con la proposta se l’oblato non la rifiuta.
- contratti formati mediante consegna della cosa = la consegna della cosa costituisce
l’esecuzione del contratto già formato, quindi il contratto si conclude con l’accordo.
Questi contratti si chiamano contratti consensuali perché si formano con il semplice
consenso.
I contratti reali fanno eccezione perché richiedono la consegna della cosa (es. mutuo,
deposito).
Nel nostro sistema vale generalmente il principio della libertà di forma (contratti non formali),
significa che la manifestazione di volontà contrattuale non richiede modalità particolari, un
contratto è valido se i soggetti comunicano in qualsiasi modo la loro volontà.
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