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Stipulatio e traditio piú avanti nei contratti
Divergenza tra manifestazione e volontà
Poteva accadere che qualcuno manifestasse una volontà che non aveva e che quindi si determinasse una divergenza tra volontà e manifestazione. A questo punto bisogna distinguere tra negozi solenni del ius civile ed altri negozi.
Nei primi il compimento delle formalità richiesto era considerato necessario e insieme sufficiente per la validità dell'atto. Al contrario nei contratti consensuali e negli altri negozi non formali o comunque non solenni, la soluzione di massima fu che la mancanza di volontà non comportasse la nullità: in sostanza il negozio sarebbe stato improduttivo di effetti giuridici.
In età postclassica la regola circa la necessità della voluntas assunse un carattere generale.
Ipotesi di divergenze:
a. Dichiarazioni ioci causa e simili: questo tipo di dichiarazioni fa riferimento a quelle fatte per scherzo. Erano
dichiarazioni che non potevano essere prese sul serio, tanto che i romani pensaronomai di collegarvi effetti giuridici. b. Riserva mentale: è il caso di chi è consapevole di dichiarare ciò che non vuole anche senza averloconcordato con altre persone. È un'ipotesi più teorica che pratica infatti la sua soluzione nonpoteva che andare in base al tipo di negozio. c. Simulazione: pure qui la divergenza tra manifestazione e volontà è consapevole, solo che laconsapevolezza di non volere ciò che si dichiara e comune da entrambe le parti (per questo sipresuppone sia almeno un negozio bilaterale). Si avrà quindi un negozio simulato e palese, ed a fianco un accordo simulatorio occulto. La simulazione può essere di due tipi: assoluta, se le parti dichiarano di volere un negozio ma non ècosì; relativa, se le parti vogliono negozio diverso da quello dichiarato con la conseguenza di creareun negozio simulato (nonvolontario: in questo caso una delle parti attribuisce alla propria manifestazione di volontà un significato diverso da quello che in realtà ha, ponendo quindi in errore. Nel caso dei negozi bilaterali, l'errore può anche essere causato dal fatto che una parte attribuisca all'altra parte un valore diverso dalla manifestazione di volontà che quest'ultima ha dato, creando quindi un dissenso. È importante distinguere tra: - L'errore che esclude la volontà, che può dipendere in generale da un fraintendimento o da un errore ostativo o volontario.nella dichiarazione (art 1433 cc) - L'errore che non esclude la volontà: incide sul processo formativo della volontà, per cui una delle due parti è convinta di circostanze non vere ed in conseguenza di ciò compie il negozio errore vizio, nel quale il negozio è voluto ma l'autore non l'avrebbe compiuto o l'avrebbe compiuto a condizioni diverse. La volontà esiste ma è viziata: l'errore si configura come vizio della volontà. I giuristi romani da un certo momento si occuparono ampiamente dell'errore negoziale, senza più distinguere tra errore ostativo ed errore vizio perché non sempre era facile distinguerli. Vi erano due tipi di errore negoziale, nei quali ad ogni modo bisognasse stabilire in che misura dare rilievo a ciò che l'autore del negozio avesse effettivamente inteso. Quando riguardava le parti fisse dei negozi formali del ius civile l'errore era rilevante ed il negozio.ugualmente valido. Molto di quei negozi formali erano costituiti, oltre che da parti fisse, da parti in bianco che andavano riempiti ogni volta con i dati del negozio che in concreto si andava compiere. Conseguentemente a queste parti variabili si riconobbe che l'errore potesse dar luogo a nullità, anche se non ogni errore comportava l'invalidità del negozio. La regola delle nostre fonti 'errantis nulla voluntas' (non vi è volontà alcuna in chi è in errore) non era generale. Questo perché bisognava contemperare esigenze diverse: esigenze di certezza ed esigenze di rispetto della volontà effettiva. Dalla ricca casistica delle fonti possiamo ricavare alcune direttive di massima: -errore di diritto, 'ignorantia iuris', che dipendeva da ignoranza o fraintendimento di norme e istituti giuridici; solitamente irrilevante e il negozio valido in quanto su tutti i consociati incombeva l'onere di conoscere.L'ordinamento giuridico di questi faceva parte (ignorantia iuris non excusat) anche se si fece un'eccezione per determinate categorie in quanto ritenute persone solitamente scarse di nozioni giuridiche. - Errore su elementi di fatto, ‘ignorantia facti’, solitamente ritenuto rilevante e con conseguente nullità del relativo negozio. Però doveva trattarsi di errore scusabile ed essenziale: il primo fa riferimento a un errore non grossolano, il secondo è quello errore che investe il negozio nei suoi aspetti fondamentali. Tenendo il riferimento quest'ultimo fu ritenuto rilevante l'errore sull'identità del negozio da compiere, ‘error in negotio’. Ci sono molti altri errori su elementi di fatto tra cui: sull'identità del destinatario o dell'altra parte del negozio (error in persona), sempre rilevante nelle disposizioni mortis causa, dipendeva nei negozi inter vivos; circa l'identità fisica.
dell'oggetto del negozio (error in corpore), sempre rilevante; che si riferiva alla composizione materiale dell'oggetto (error in substantia/in materia), essenziale e rilevante; che si riferiva alle sole qualità (error in qualitate), non essenziale ed irrilevante. - errore sulla quantità, 'error in quantitate', non era sempre rilevante. L'errore ad ogni modo può cadere sulle circostanze di fatto credute esistenti e per cui una parte, nella convinzione errata della sua esistenza è indotta a compiere il negozio; in ogni caso si parla di errore vizio. Il dolo Nel linguaggio giuridico assume significati diversi: come criterio di responsabilità esprime l'idea della volontarietà di un comportamento e delle relative conseguenze per altri pregiudizievoli (in questa accezione il dolo si contrappone a colpa, nel linguaggio giuridico moderno). Fuori dal campo della responsabilità il dolo assumeva spesso significatogenerico di comportamento iniquo. Si tratterà solo il dolo negoziale, ovvero come vizio della volontà nei negozi giuridici essere definito come una macchinazione volta a trarre in inganno un'altra persona, di modo che questa compia un negozio per lei pregiudizievole che diversamente non avrebbe compiuto oppure che avrebbe compiuto ma in condizioni diverse. Siamo pur sempre in presenza di un errore-vizio: la differenza però tra errore e dolo, sta nel fatto che quest'ultimo è imputabile all'autore del negozio che è stato indotto a compierlo, quindi il punto di vista è quello di chi commettendo il dolo induce in errore. Trattando il dolo negoziale bisogna far riferimento al dolus malus e non al dolus bonus (si intendono le usuali furberie tollerate dal buon costume, ad esempio le vanterie di una merce). Il dolus malus è la vera e propria macchinazione per trarre altre persone in inganno. Il punto di partenza del dolo.negoziale e la sua irrilevanza, per il ius civile il negozio viziato da dolo era già daprima valido ed efficace in quanto il negozio è stato voluto. Questo principio subì una deroga per quanto riguarda i negozi che davano luogo a giudizi di buona fede, in quanto dolo e buona fede si escludono avicenda. Ed ecco che, se l'impegno assunto dal convenuto era conseguenza del dolo dell'attore il giudice avrebbe dovuto concludere che il convenuto non era tenuto a nulla, e pertanto assolverlo; se poi la vittima inconsapevole del dolo avesse adempiuto all'altra parte, responsabile del dolo ancora prima di essere chiamata in giudizio, allora avrebbe potuto agire contro l'altro contraente e chiedere il risarcimento del pregiudizio.
Exceptio doli: nella prima metà del I secolo a.C., il pretore introdusse nell'editto la clausola che prometteva l'exceptio doli (o exceptio doli mali), che fu superflua per i giudizi di buona fede; fu invece
Nel diritto romano, l'exceptio doli era un'eccezione che poteva essere sollevata dal convenuto in un processo civile per invalidare i negozi dai quali nascevano azioni che non erano di buona fede. La vittima avrebbe potuto essere chiamata in giudizio per l'adempimento e contro di lui la relativa azione sarebbe stata iure civili fondata; in forza dell'exceptio una volta che il convenuto avesse accertato l'inganno sarebbe stato assolto. Gli effetti del negozio giuridicamente valido sarebbero stati così neutralizzati iure praetorio.
Exceptio doli generalis: il campo di applicazione dell'exceptio era molto più ampio perché, oltre al dolo negoziale, vi rientravano anche dei casi in cui appariva iniquo che l'attore conseguisse quanto in iure civili gli era dovuto. Era così formulata 'si in ea re nihil dolo malo Auli Agerii factum est neque fiat': faceva riferimento non solo al dolo commesso dall'attore prima del giudizio (factum est) ma anche il dolo che l'attore commetteva nel momento stesso in cui agiva e per il fatto stesso.
che agiva (neque fiat). Il primo era dolo passato, l'altro era dolo presente. L'exceptio aveva quindi una doppia valenza: exceptio dolipraeteriti, che riguardava il raggiro avvenuto prima del giudizio contestualmente al compimento del negozio; exceptio doli generalis (per la sua molteplicità delle possibili applicazioni, seno exceptio dolipraesentis) si commetteva al momento dell'azione e non era un inganno ma un comportamento iniquo. L'actio de dolo: nel momento in cui la vittima del dolo, inconsapevole dell'inganno subito, avesse dato esecuzione al negozio, non valeva più potersi difendere ma occorreva poter prendere l'iniziativa e quindi poter promuovere un giudizio. A tale scopo soccorreva l'actio de dolo, che era un azione penale (poteva essere esercitata solo contro l'attore del dolo, e non sui suoi eredi), esperibile della vittima contro l'autore del dolo; era un azione arbitraria, per cui il convenuto avrebbe evitato.la condanna solamente se prima della sentenza, e su invito del giudice, avesse risarcito il danno; essendo azione pretorio non poteva essere esperita oltre l'anno della commissione del dolo.