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CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE(artt. 13-18 d.lgs. n. 81/2015)

“... il lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione in modo discontinuo o intermittente…”

Il contratto di lavoro intermittente (contratto di lavoro a chiamata) è stato introdotto per la prima volta nell'ordinamento giuridico italiano con il decreto 276/2003 (legge Biagi). Questo tipo di contratto fa sempre parte dei contratti di lavoro a orario ridotto.

È un contratto di lavoro subordinato che consiste nella messa a disposizione del lavoratore della propria prestazione lavorativa in modo intermittente (a chiamata/su richiesta). Non è previsto un orario di lavoro predefinito o giorni di lavoro prestabiliti.

È una fattispecie contrattuale pensata soprattutto per alcuni settori, come il settore del turismo o della ristorazione (es: bar nel fine settimana).

Per la stipula di questo contratto sono necessari una serie di...

requisiti, sia soggetti che oggettivi, come l'età del lavoratore (inferiore ai 24 o maggiore ai 55 anni) e organizzativi. Michela Sedda71 Questa tipologia di contratto è prevista con due modalità: ● Con obbligo di disponibilità Il lavoratore è impegnato a rispondere alla chiamata (il lavoratore si obbliga contrattualmente ad andare a lavorare). Proprio per la garanzia che il lavoratore dà di rispondere alla chiamata, il datore di lavoro è tenuto a corrispondere al lavoratore, nei periodi di mancato svolgimento della prestazione lavorativa, una indennità di disponibilità, pari al 20% della retribuzione contrattuale. In caso di malattia, infortunio o impossibilità a garantire la sua prestazione, il lavoratore deve informare tempestivamente il datore di lavoro. Laddove il datore di lavoro non venga avvisato il lavoratore perderà il diritto all'indennità di disponibilità. Se il lavoratore decide di

Non rispondere alla chiamata comporta la perdita del diritto all'indennità di disponibilità e la possibilità di essere licenziato. Nel caso in cui il lavoratore non dichiari l'insorgenza della causa che impedisce lo svolgimento della prestazione lavorativa e venga chiamato, sarà costretto a dichiarare l'impossibilità e perderà l'indennità di disponibilità per 15 giorni.

Senza obbligo di disponibilità, il lavoratore può decidere se rispondere o meno alla chiamata in base ai suoi impegni o volontà. Avrà diritto a una retribuzione solo per le ore di lavoro svolte. Se non è specificato nel contratto, si considera senza obbligo di disponibilità.

Michela Sedda

72

IL DIRITTO ANTIDISCRIMINATORIO → EGUAGLIANZA E DISCRIMINAZIONE

UGUAGLIANZA FORMALE E SOSTANZIALE

L'art. 3 Cost.

Il principio di uguaglianza si colloca fra i principi fondamentali e pone i fondamenti sul principio di uguaglianza nell'ambito del lavoro, in particolare quello subordinato.

1° comma → PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA FORMALE

"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali".

Si vieta di trattare in modo differenziato e peggiorativo con riferimento a questi profili. Allo stesso modo l'uguaglianza va valutata: si devono trattare in modo uguale situazioni uguali, e in modo diverso situazioni diverse, ma non vietare trattamenti differenziati in senso pregiudizievole dopo aver affermato il diritto della pari dignità sociale.

2° comma → Il PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA SOSTANZIALE

"È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese."

cittadini , impediscono il pieno sviluppo della persona umana el'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

Il principio di uguaglianza come parità di trattamento nel diritto del lavoro. Divieto di comportamenti discriminatori, o meglio di comportamenti differenziati in relazione a determinati fattori discriminatori ben precisi ed individuati che non siano giustificati.

Se il trattamento è differenziato in situazioni eguali è imputabile ad un principio discriminatorio allora il trattamento differenziato è vietato, altrimenti no, in quanto una differenza nel trattamento potrebbe derivare da una valutazione del lavoratore o dal contratto collettivo stesso, pertanto non è d'obbligo una parità di trattamento generale.

Esiste quindi, però, un divieto di discriminazione in base ad alcuni fattori. L'indicazione di questi fattori, nel mondo del lavoro, è fatta,

ad oggi, nell'art. 15 dello Statuto dei lavoratori vigente, e ne fanno parte tutti gli aspetti menzionati nell'art. 3 Cost.

Se il licenziamento avviene per motivi discriminatori, ne è pena la nullità dell'atto con la reintegra del posto di lavoro. Qualsiasi altro provvedimento, dal trasferimento alla modifica delle mansioni, preso in base a dei motivi discriminatori ha sempre come pena la nullità dell'atto.

I decreti legislativi n. 215 e 216 del 2003, attuando direttive europee, vietano le discriminazioni, ovvero le differenze di trattamento, connesse alla razza e all'origine etnica della persona (215), religione, convenzioni personali, handicap, età e orientamento sessuale della persona (216) applicando i principi generali di discriminazione diretta e indiretta.

C'è da specificare che, ad esempio con riferimento all'età, possono essere delle ragioni giustificatrici, che sono però delineate dal

legislatore.ATTI DISCRIMINATORI: art. 15 Statuto dei lavoratori

È nullo qualsiasi patto od atto diretto a:

  1. Subordinare l'occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad una associazione sindacale, ovvero cessi di farne parte;
  2. Licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero.

Michela Sedda73

Le disposizioni di cui al comma precedente si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età, di nazionalità o basata sull'orientamento sessuale o sulle convinzioni personali.

DISCRIMINAZIONE DI GENERE

L'art. 37 della Costituzione afferma un principio di parità sul lavoro tra uomini e donne. "La donna

La lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.

La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.

La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.

Fino all'anno 1960, in realtà, esistevano due livelli retributivi: uno per gli uomini, ed uno per le donne, il quale era più basso (anche se a parità di mansioni e di ore lavorative) in quanto si rendeva che la donna rendesse meno sul lavoro rispetto all'uomo. Questa disparità viene cancellata negli anni 60 con le sentenze della Corte di cassazione, in quanto dichiarata come disparità discriminatoria facendo riferimento

all'inquadramento professionale e non in base al rendimento della prestazione lavorativa (parità retributiva voluta inizialmente dalla Francia in quanto era l'unica che rispettava la parità retributiva). La possibilità per la lavoratrice donna di accedere ad ogni mansione lavorativa si ha, per la prima volta ed in via generale, con la legge n. 903/1977. Per discriminazioni di genere (dalla l. n. 903 del 1977 alla l. n. 198/2016 (Codice delle pari opportunità) si intendono: 1 - DISCRIMINAZIONE DIRETTA (art. 25, co. 1, Codice P.O.) Il legislatore afferma il divieto di discriminazione diretta, ovvero qualsiasi disposizione/criterio/patto/atto/comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso, o anche un comportamento che sia meno favorevole in ragione di maternità o paternità rispetto ad un altro lavoratore, uomo o donna che sia, salvo che riguardino requisiti essenziali.

allo svolgimento dell'attività lavorativa. Es: se ci si ritrova a dover sostituire una lavoratrice in stato di gravidanza è possibile assumere a termine. Nel caso in cui, la lavoratrice assunta dovesse risultare anche lei in stato di gravidanza non è possibile, per il datore di lavoro, licenziare la suddetta lavoratrice, in quanto il licenziamento per maternità è nullo e prevede reintegra.

2 - DISCRIMINAZIONE INDIRETTA (art. 25, co. 2, Codice P.O.)

Il legislatore afferma anche il divieto di discriminazione indiretta, ovvero una discriminazione che si configura in una disposizione/criterio/atto/comportamento/patto apparentemente neutro, ma mettono un lavoratore di un determinato sesso in svantaggio rispetto ad altri lavoratori di altro sesso. RILEVA L'EFFETTO DISCRIMINATORIO salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa.

Si parla, ad esempio, di una disposizione che per l'assunzione richiede

una certa altezza del soggetto (almeno 1,75 m), oppure di una disposizione che tratta di un premio per i lavoratori full-time, andando ad escludere quelli a part-time, uomini o donne che siano.

Michela Sedda743 - MOLESTIE DI GENERE (art. 26 Codice P.O.)

Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.

LA QUESTIONE DELL'EFFETTIVITÀ DELLA TUTELA (prova della discriminazione) - Art. 40 Codice P.O.

Non tutti questi casi di discriminazione sono illegittimi. Queste discriminazioni possono essere legittime solo a condizione che riguardano requisiti essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa.

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A.A. 2022-2023
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SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher mikisedda di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Siena o del prof Faleri Claudia.