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LO STATO REGIONALE
L’ORIGINE DELLO STATO REGIONALE
Lo stato regionale fu un’invenzione dei costituenti, che avevano di fronte solo due modelli: unitario e federale. La prima vera
esperienza di stato regionale sarà quella italiana: le regioni non erano mai esistite se non come grandezza geografica usata
per le statistiche. L’idea dello stato federale regionale, in realtà, si parlava già dall’800: c’è una riflessione nata intorno a
Cattaneo, lombardo, che diventa fautore di un sistema politico basato su una confederazione di stati italiani. nasce l’idea
dei federalisti di mettere insieme le varie unità politiche, idea opposta rispetto a quella nata alla fine degli anni ’90 di
differenziare i vari territori. Quando finalmente si arriva all’unità d’Italia, lo Stato diventa centralizzato (ispirato al regno
francese) e c’è la piemontesizzazione; sotto lo Statuto albertino non si metterà mai in discussione lo stato unitario.
Nel ‘900, tornerà l’idea regionalista ma su altre basi ideologiche. Una delle spinte decisive alla nascita dello stato regionale
era quella del regionalismo, nato grazie a Luigi Sturzo negli anni ’20: le regioni avrebbero dovuto avere autonomia anche dal
pov normativo e non solo politico. si ricerca l’idea di una democrazia pluralista. Questa idea non si afferma per via
dell’avvento del fascismo, che comporta un rafforzamento dello stato unitario. Solo alla caduta del fascismo, quando la guida
del paese va alle forze del CLN, si riaffaccia l’idea del regionalismo, portata avanti dalla DC, che voleva dare alle regioni poteri
politici e legislativi. In Assemblea costituente, ci fu questo scambio di idee: la DC che voleva il regionalismo e altre forze che
non lo volevano, ad es. i comunisti. Alla fine, la spunta l’idea democristiana, che vedeva il regionalismo come l’avviamento di
una democrazia pluralista anche dal pov territoriale.
Un’altra spinta fu quella della necessità di istituire comunque le regioni speciali, isole e regioni del nord: queste erano già
state istituite o comunque promesse, quindi non si poteva non istituirle. Lo statuto della Sicilia venne approvato addirittura
prima di eleggere la Costituente, cioè nel 1946. Nel settembre 1946 si tengono degli accordi per il Sud Tirolo, in cui l’Italia si
impegna a riconoscere a questa zona delle forme di autonomia, anche se esse erano ancora da definire. A questo punto, si
decide di estendere la regionalizzazione a tutto il territorio, dividendo tra regioni speciali e ordinarie. Queste ultime, a
differenza delle speciali, sono prive di radici e di storia. L’elenco delle regioni è nell’art. 131 della Costituzione e al 132 si
prevede anche un provvedimento complesso per modificare tale elenco, che fu utilizzato solo una volta per separare Abruzzo
e Molise. Riguardo alla regionalizzazione, un fondamento imprescindibile dell’Italia è che la Repubblica è una e
indivisibile, ma promuove le autonomie locali (art. 5): quindi, la Costituzione non potrà mai ammettere un progetto politico
che preveda la secessione di qualche regione, in quanto l’indivisibilità è il principio supremo della repubblica. Quando, negli
anni ’90, si affacceranno delle nuove forze politiche che gridano alla secessione, si approverà una riforma che dà alle regioni
ordinarie autonomia molto più ampia in campo legislativo, amministrativo e finanziario.
LA LENTA ATTUAZIONE DELLE REGIONI ORDINARIE
Quando entra in vigore la Costituzione, gli statuti delle regioni speciali vengono approvati subito nel 1948, tranne quello del
Friuli nel 1963. Le regioni ordinarie, invece, vengono attuate all’inizio degli anni ’70. Questo accadde sia per ragioni culturali,
infatti, come detto, le regioni ordinarie non avevano radici storiche e non c’era quindi una spinta autonomista per formare
questi territori, mancava lo spirito regionalista e i cittadini si sentivano più legati ai comuni piuttosto che alle regioni. Inoltre,
c’erano anche ragioni politiche: il partito democristiano cercava di rallentare questo procedimento, in quanto temeva che
nella maggior parte delle nuove regioni ci sarebbe stata una maggioranza di preferenza per le sinistre e non per la DC.
Successivamente, nel 1968 viene approvata una legge che prevede l’elezione dei Consigli regionali e si mette così in moto il
potere legislativo delle regioni. Ci sono poi una serie di leggi delega, con successivi decreti legislativi, che trasferiscono le
funzioni amministrative dallo Stato alle Regioni. Negli anni ‘70, viene approvata la prima generazione di statuti delle regioni
ordinarie. Tuttavia, manca ancora un aspetto da attuare, cioè quello di finanziare queste regioni: è qui che il disegno
regionale vede la sua attuazione più parziale e riduttiva sono gli anni della riforma tributaria, tutta incentrata sullo stato,
e quindi anche il finanziamento delle regioni ordinarie diventa totalmente dipendente da quello dello stato: è una finanza
detta derivata. Ciò segna un ulteriore solco nel binario tra le regioni speciali e quelle ordinarie, infatti la finanza delle regioni
speciali era più agevole.
LA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE
Successivamente, si discute dell’opportunità di dare una migliore attuazione del modello originario e negli anni ’90 entrano
in scena delle nuove forze politiche secessioniste, che spingono alla seconda tappa della nostra storia regionale, che poi si
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concretizza con la riforma del Titolo V della Costituzione, l’unica vera estesa riforma che essa ha subito. Questa riforma è
costituita da 2 leggi costituzionali:
1. Legge costituzionale 1/1999: ha inciso sulla forma di governo e sugli statuti delle regioni ordinarie
2. Legge costituzionale 3/2001: ha inciso sugli articoli della costituzione che riguardano la funzione legislativa,
amministrativa e finanziaria; è stato anche rinnovato il controllo sulle leggi.
Il percorso che ha preceduto questa riforma è stato anomalo: le novità più interessanti delle 2 riforme sono state anticipate
da delle leggi ordinarie prima si tenta di introdurre queste modifiche in modo ordinario e poi le si consacra
introducendole in costituzione. In particolare, nel 1997 Bassanini introduce per la prima volta il principio di sussidiarietà
(poi inserito in costituzione): le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni (ente più vicino al cittadino) salvo che,
per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato. il principio dice che
ogni funzione deve essere attribuita al livello più adeguato, partendo da quello più vicino ai cittadini e allontanandosi piano
piano.
LA RIFORMA DI FORME DI GOVERNO E STATUTI
La forma di governo si riferisce al modo in cui sono ripartiti i poteri delle regioni, cioè legislativo ed esecutivo, tra i vari
organi fondamentali, e i rapporti tra questi organi. Gli organi necessari della regione sono: Presidente della Giunta, Giunta
(con i membri detti assessori) e Consiglio regionale.
Nel testo originario della costituzione, gli organi erano sempre gli stessi; il Consiglio svolgeva le funzioni legislative e quelle
regolamentari (è strano perché solitamente il Parlamento ha la funzione legislativa e il Governo approva i regolamenti:
invece, qui, la potestà legislativa e quella regolamentare sono date allo stesso organo). La Giunta aveva la funzione esecutiva
e il Presidente rappresentava la regione e promulgava le leggi, quindi aveva anche egli delle funzioni esecutive. Il Presidente
e i membri della Giunta venivano eletti dal Consiglio.
Questa forma di governo dava luogo a governi regionali molto instabili con continue crisi negli esecutivi, per cui si decide di
cambiare la forma di governo, anticipando questa scelta con una legge ordinaria del 1995: questa prevedeva che si indicasse
il candidato alla presidenza della Giunta, quindi si creava un vincolo politico alle urne, si sapeva già chi sarebbe stato
Presidente di una certa forza politica. Quindi, viene avviata in via surrettizia l’elezione diretta del Presidente. Era però un
vincolo in contrasto col testo costituzionale di allora, e quindi si decide di modificare anche la Costituzione.
Il nuovo Titolo V cambia gli articoli che disciplinavano le elezioni del Presidente e disegna una forma di governo detta
“transitoria”: la costituzione dice che la forma di governo sarà oggetto di scelta dei singoli statuti. Fino a quando gli statuti
non sceglieranno la forma di governo che preferiscono, la Costituzione disegna una forma di governo transitoria, cioè
provvisoria: questa forma provvisoria verrà poi confermata da praticamente tutte le regioni nei loro statuti. Prevede:
Elezione a suffragio universale diretto del Presidente: per questo, i Presidenti si dicono anche Governatori, poiché
sono eletti direttamente dal corpo elettorale
Il Presidente nomina e revoca gli assessori
Principio del “simul stabunt simul cadent”: così come può fare il Parlamento nei confronti del Governo, la Giunta può
votare la sfiducia nei confronti del Presidente. Secondo questo principio, l’approvazione della mozione di sfiducia o
la rimozione, l’impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie del Presidente comportano le
dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio. Qualche regione ha cercato di aggirare o rendere meno rigida
questa regola del “simul simul”: ad es. le Marche avevano previsto che, in caso di morte del Presidente, sarebbe
subentrato il vicepresidente. Ma ciò viene dichiarato incostituzionale: la Corte dice che, se si vuole l’elezione diretta
del Presidente, allora è obbligatoria la regola del “simul simul” poiché essa porta ad una maggior stabilità dei governi.
Anche per quanto riguarda gli statuti, viene cambiato l’art. costituzionale 123. I primi statuti degli anni ’70 venivano
deliberati dal consiglio regionale ma dovevano essere approvati da una legge della Repubblica. C’era quindi sempre il dubbio
se si trattasse di una fonte statale o di una fonte regionale. Gli statuti di questa prima generazione si assomigliavano un po’
tutti, in quanto venivano contrattati, se non imposti, dallo Stato.
Il nuovo art. 123, invece, prevede che ogni regione abbia uno statuto che determina la forma di governo. Lo statuto viene
approvato dal Consiglio regionale a maggioranza assoluta, attraverso 2 deliberazioni. L’unico controllo che può essere
effettuato su questi statuti è da parte del Governo, che può far nascere una questione di incostituzionalità entro 30 giorni
dalla pubblicazione. Quindi, il nuovo art. disegna lo statuto come una legge regionale ri