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GENERE E COSTITUZIONE

La questione di genere entra per la prima volta esplicitamente nello spazio costituzionale nel

secondo dopoguerra, con il suffragio universale del 1946, che consente alle donne di votare ed

essere elette. In Italia le componenti dell’Assemblea costituente sono circa il 3,7% e la loro presenza

rompe l’ordine “monogenere” della rappresentanza politica, cioè quell’implicito contratto sessuale

che confinava le donne nella sfera privata e riservava lo spazio pubblico agli uomini.

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Lo Statuto albertino non nominava il “sesso”, che era inteso come un fattore naturale, implicito, che

l’ordinamento non sentiva il bisogno di esplicitare perché dava per scontata l’esclusione delle donne.

La Costituzione repubblicana invece introduce il sesso come categoria giuridica esplicita proprio per

rimuovere le discriminazioni che su di esso si fondavano, nell’ambito della famiglia, del lavoro, della

sfera politica. Da fattore naturale e tacito, il sesso diventa così fattore esplicito e trasformativo e,

nominarlo significava e significa impegnarsi a trasformare l’ordine sociale che su di esso si regge.

In questo quadro, l’uguaglianza costituzionale diventa “sensibile al genere”, non è un punto di

arrivo statico, ma un obiettivo mobile, che si rinnova incessantemente man mano che nuovi ambiti

di disuguaglianza emergono e vengono contestati.

Il costituzionalismo moderno si fonda sull’idea del contratto sociale, ma tradizionalmente ha dato

per implicito un “contratto sessuale”, due forme di cittadinanza, una piena per gli uomini e una

subordinata o esclusa per le donne.

Si possono distinguere tre grandi fasi:

- costituzionalismo classico: il contratto sociale è narrato come neutro, ma in realtà

presuppone un soggetto maschile. Le donne sono collocate in uno spazio privato, al di fuori

dell’orizzonte dei diritti politici;

- secondo dopoguerra: con le costituzioni democratiche e laica del secondo dopoguerra si

afferma l’eguaglianza formale delle donne e si riconoscono i loro diritti politici, si rompe

giuridicamente il contratto sessuale, anche se le strutture sociali sottostanti restano a lungo

immutate;

- femminismo della “seconda ondata”: a partire dagli anni ’60-’70 il movimento femminista

denuncia i limiti di un’eguaglianza puramente formale e chiede cambiamenti sociali, culturali

e strutturali per rendere effettivi i diritti e l’empowerment delle donne. Le costituzioni

diventano terreno di rivendicazione e reinterpretazione.

L’articolo 3 Cost. esprime il cuore di questa trasformazione:

- al primo comma sancisce l’eguaglianza formale e la pari dignità sociale dei cittadini, “senza

distinzione di sesso, di razza, di lingua, di condizioni personali e sociali, di religione, di

opinioni politiche”;

- al secondo comma affida alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine

economico e sociale che, limitando di fatto libertà e eguaglianza, impediscono il pieno

sviluppo della persona e la partecipazione di tutti alla vita del Paese.

È una norma programmatica, una “polemica contro il presente”, la Costituzione non fotografa la

realtà ma si pone contro la situazione esistente, impegnando i poteri pubblici a trasformarla.

Nel 2003 questo quadro è stato rafforzato dalla modifica dell’art. 51 Cost., che impone alla

Repubblica di promuovere “con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”

nell’accesso alle cariche elettive e agli uffici pubblici. L’eguaglianza di genere diventa così un

obiettivo che la Costituzione affida al legislatore, alla giurisprudenza e alla società.

Parlare di genere e Costituzione è paradigmatico per almeno tre ragioni:

- eterogenesi dei fini: la Costituzione è scritta in un determinato contesto storico, con certe

finalità, ma nel tempo viene riutilizzata da soggetti e movimenti (fra cui il femminismo) che le

attribuiscono significati nuovi, spesso diversi da quelli originari;

- Costituzione come “living tree”: la Costituzione è un “albero vivente”, assorbe la linfa dei

movimenti sociali, cresce, si ramifica, produce nuovi significati, ridefinendo il perimetro dei

diritti fondamentali;

- funzione trasformativa del diritto costituzionale (art. 3, co. 2): il diritto costituzionale non è

neutro, può riprodurre le gerarchie sociali oppure metterle in discussione. L’art. 3, co. 2,

spinge verso un uso trasformativo del diritto, come strumento per la promozione

dell’uguaglianza sostanziale e la decostruzione delle strutture di potere, inclusi gli assetti di

genere. 86

DAL SEX/GENDER SYSTEM ALLA COSTUZIONE SOCIALE DEL SESSO

Nella teoria sociale, il genere nasce come categoria analitica per spiegare le diseguaglianze fra

uomini e donne che non possono essere ricondotte alla sola differenza biologica.

Gayle Rubin parla di sex/gender system, un insieme di processi, adattamenti, comportamenti e

rapporti attraverso cui ogni società trasforma la sessualità biologica in prodotti dell’attività umana e

organizza la divisione dei compiti tra uomini e donne, differenziandoli e gerarchizzandoli.

- Il genere è dunque un fattore di ordine sociale, non coincide con il sesso biologico, ma è il

risultato di un lavoro di costruzione culturale che attribuisce ruoli, valori, aspettative e potere

a corpi sessuati in modo diverso.

Una parte della teoria femminista ha a lungo concepito il rapporto sesso/genere come rapporto tra

un “dato naturale” e una costruzione sociale.

- Nicholson usa la metafora di un “comune attaccapanni biologico”, esiste un supporto

biologico (maschile/femminile) su cui la società appende una serie di caratteristiche, ruoli e

aspettative che costituiscono il genere.

In questo schema:

- il sesso appare come fattore neutro, materiale, naturale;

- il genere è invece l’insieme delle caratteristiche che decidiamo di associare a un sesso

piuttosto che all’altro.

Ma proprio questa impostazione rischia di reintrodurre un determinismo biologico, dando per

scontato che la base sessuale sia chiara, binaria e neutra, e che il problema sia solo ciò che vi si

“appende” sopra.

A partire dagli anni ’90, anche l’idea che il sesso sia un dato puramente biologico viene messa in

discussione, quando Judith Butler mostra che, se si porta alle estreme conseguenze la distinzione

tra sesso e genere, anche ciò che chiamiamo “sesso” risulta costruito, non è un fatto naturale neutro,

ma il prodotto di discorsi scientifici, pratiche sociali e interessi culturali e politici.

In questa prospettiva, il sesso stesso può essere visto come una costruzione sociale, “forse è

sempre stato già genere”, e quindi la distinzione tradizionale tra sesso (dato naturale) e genere

(costruzione culturale) tende a dissolversi.

Il genere diventa il sistema attraverso cui i corpi vengono resi comprensibili, classificati e regolati.

Anche la biologia, come mostrano le ricerche di Anne Fausto-Sterling, non è neutra, le categorie con

cui descrive i corpi umani riflettono spesso aspettative culturali e uno schema binario che non rende

conto della reale varietà dei corpi.

Alla luce di queste critiche, il genere può essere visto come un vero e proprio codice:

- un codice analitico, perché serve a interpretare e organizzare la realtà sociale;

- un codice binario e relazionale, perché divide uomini e donne assegnando loro ruoli diversi;

- un codice gerarchico, perché non si limita a distinguere, ma ordina e dà un valore, il

maschile è trattato come norma universale, mentre il femminile viene spesso rappresentato

come secondario, derivato o subordinato.

GENERE E COSTITUZIONE

Secondo la prospettiva proposta da Pezzini, il rapporto tra genere e diritto è circolare:

- il genere costruisce il diritto, le regole sociali di genere diventano categorie giuridiche, il diritto

si appropria di quelle differenze e le positivizza;

- il diritto costruisce il genere, utilizzando la sua forza normativa e le sue istituzioni, il diritto

produce e riproduce gerarchie di genere, conferendo loro legittimazione e stabilità.

Da qui l’ambivalenza del diritto, da un lato, strumento di potere “non neutro”, spesso utilizzato per

mantenere le strutture di dominio esistenti, dall’altro, soprattutto in prospettiva costituzionale,

potenziale strumento trasformativo, capace di orientare la società verso l’uguaglianza (art. 3, co. 2).

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Nel rapporto tra genere e Costituzione possiamo distinguere tre grandi piani di analisi, che si

intrecciano ma meritano di essere separati:

- genere come costruzione sociale (asimmetrica) del maschile e del femminile;

- genere come identità fuori dal determinismo biologico (questioni trans);

- genere come superamento del binarismo e del dimorfismo sessuale.

GENERE COME COSTRUZIONE SOCIALE DEL MASCHILE E DEL FEMMINILE

L’art. 29 Cost. riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio e

stabilisce che il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi “con i limiti

stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.

- Questa clausola dell’unità familiare è stata a lungo interpretata dalla Corte costituzionale in

modo da giustificare una serie di asimmetrie di genere, soprattutto nel diritto di famiglia,

considerate funzionali alla “unità” del nucleo.

Un terreno esemplare di questa tensione è la disciplina del cognome dei figli, dove, per consuetudine

radicata, il cognome paterno veniva attribuito automaticamente ai figli, senza che ciò fosse scritto in

modo espresso nella legge.

Quando ne viene denunciata la possibile incostituzionalità in rapporto agli artt. 3 e 29 Cost., la Corte

costituzionale nega il contrasto con la Costituzione, sostenendo che l’unità familiare giustificherebbe

il mantenimento di una regola “radicata nel costume sociale” come criterio di tutela della famiglia

fondata sul matrimonio.

- Con la sentenza n. 61 del 2006 la Corte non dichiara l’illegittimità della disciplina, ma

riconosce che l’automatismo del cognome paterno è “retaggio di una concezione patriarcale

della famiglia” e di una potestà maritale tramontata, non più coerente con il principio di

eguaglianza uomo-donna.

- La svolta arriva con la sentenza n. 286 del 2016, che dichiara l’illegittimità costituzionale della

norma nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere al figlio

anche il cognome materno.

Qui l’unità familiare viene reinterpretata alla luce del

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Scienze giuridiche IUS/08 Diritto costituzionale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher sofia.magnii di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto costituzionale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Penasa Simone.
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