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Un ambito di rilevante attualità, specie in relazione al sistema di responsabilità da reato degli enti ex

d.lgs. 231/2001, è quello delle interdizioni dagli uffici direttivi di persone giuridiche o imprese. In

presenza di reati societari, quali ad esempio il falso in bilancio, la condanna penale può comportare

per i soggetti apicali (ad es. amministratori delegati, membri del consiglio di amministrazione)

l’interdizione automatica dai relativi incarichi. In modo analogo, nei reati contro la famiglia, può

essere disposta la decadenza o sospensione della responsabilità genitoriale.

In relazione alle contravvenzioni, le pene accessorie sono previste in misura più contenuta,

limitatamente a specifiche ipotesi.

Una pena accessoria di particolare rilievo – ma di applicazione marginale – è rappresentata dalla

pubblicazione della sentenza penale di condanna, prevista in forma cartacea. Nella prassi, questa

sanzione è raramente disposta, essendo considerata potenzialmente lesiva del diritto alla

riservatezza del condannato e pregiudizievole rispetto al reinserimento sociale. Tuttavia, nell’attuale

contesto della società dell’informazione, essa potrebbe acquistare maggiore efficacia deterrente,

soprattutto nei confronti delle imprese: infatti, l’implicita riprovazione sociale connessa alla

diffusione pubblica della condanna potrebbe risultare più incisiva rispetto ad altre forme

sanzionatorie. Tale pubblicazione è configurata sia come pena accessoria obbligatoria, sia – in rari

casi – come pena autonoma, ma resta comunque di uso limitato da parte dei giudici.

Un altro capitolo importante riguarda le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, introdotte

dalla legge n. 689/1981, sulla base della constatazione che le pene detentive di breve durata

risultano inidonee a realizzare le finalità rieducative della pena, sia per la loro brevità sia per la

limitata pericolosità dei soggetti destinatari. In tale prospettiva, il legislatore ha previsto la

possibilità per il giudice di sostituire le pene detentive brevi con misure meno afflittive, ove

ricorrano i presupposti previsti dalla legge. Tali sanzioni non sono indicate all’interno delle singole

fattispecie incriminatrici, ma costituiscono un catalogo generale applicabile discrezionalmente dal

giudice.

Tra le sanzioni sostitutive più rilevanti si ricordano:

• Semidetenzione: originariamente applicabile per pene detentive inferiori a 6 mesi,

successivamente estesa a pene fino a 2 anni. Consiste nell’obbligo di trascorrere parte della giornata

in istituto penitenziario e parte impegnati in attività socialmente utili;

• Libertà controllata: inizialmente applicabile per pene superiori a 3 mesi, poi estesa a pene

superiori a 1 anno. Prevede obblighi di dimora, firma, e altre restrizioni;

• Conversione in pena pecuniaria: per pene detentive originariamente inferiori a un mese, poi

elevate a 6 mesi;

• Espulsione dello straniero: introdotta come sanzione sostitutiva per soggetti stranieri condannati

per reati con pena detentiva inferiore a 2 anni, qualora si trovino in condizione di irregolarità

amministrativa (ingresso o permanenza illegale sul territorio nazionale).

Infine, le sanzioni alternative alla pena detentiva – concettualmente distinte dalle sostitutive – sono

state introdotte con la legge n. 354/1975 (Ordinamento Penitenziario), con lo scopo di alleggerire il

sovraffollamento carcerario e consentire un trattamento più funzionale al reinserimento sociale del

condannato. Anche in questo caso, la scelta sanzionatoria si fonda su una valutazione discrezionale

del giudice e su presupposti oggettivi (gravità del reato, comportamento dell’imputato, recidiva,

ecc.).

Sanzioni alternative alla detenzione: evoluzione, struttura e funzione nel sistema

penitenziario italiano

Nel disegno originario del legislatore, le sanzioni alternative alla detenzione furono concepite come

strumenti volti a selezionare quei detenuti che, nel corso dell’esecuzione della pena, manifestassero

un atteggiamento di apertura verso il recupero della legalità e una concreta adesione ai valori

dell’ordinamento giuridico. A differenza delle sanzioni sostitutive, che mirano a prevenire

l’ingresso del condannato in istituto penitenziario, le sanzioni alternative si configuravano come

misure post-detentive, da applicarsi dopo un periodo di osservazione intramuraria, in presenza di

una prognosi favorevole di rieducazione.

Tali misure, proprio in ragione della loro struttura, potevano essere concesse anche per pene

detentive più elevate (fino a un massimo di tre anni). La decisione circa la loro concessione non era

fondata esclusivamente sul quantum edittale della pena, bensì su una valutazione personalizzata del

soggetto, fondata sull’osservazione condotta dagli operatori penitenziari. Questo approccio

aumentava le probabilità che il condannato rispettasse le prescrizioni imposte, rendendo più efficace

la funzione rieducativa.

Tuttavia, questo impianto ideale si è progressivamente scontrato con la strutturale crisi del sistema

penitenziario italiano, segnata da fenomeni cronici di sovraffollamento carcerario. A tal riguardo, si

segnala la sentenza della Corte EDU “Torreggiani e altri c. Italia” (2013), che ha riconosciuto la

violazione dell’art. 3 della Convenzione per i Diritti dell’Uomo (trattamenti inumani e degradanti),

connessa proprio alle condizioni detentive nel nostro Paese.

Per fronteggiare tale emergenza sistemica, si è progressivamente modificato l’originario assetto

delle sanzioni alternative, ampliandone lo spettro applicativo e semplificando le procedure di

accesso. In particolare, si è affermata una prassi per cui l’ammissione alle misure alternative può

avvenire sin dalle prime fasi dell’esecuzione penale, purché sia formulata una prognosi favorevole

da parte degli operatori penitenziari. Inizialmente previsto dopo tre mesi, tale termine è stato

successivamente ridotto a un solo mese.

Tuttavia, al fine di impedire che anche soggetti condannati per reati di media o elevata gravità

potessero accedere indiscriminatamente a tali misure, il legislatore ha introdotto limiti più

stringenti, ancorando l’accesso al tetto della pena inflitta e alla valutazione del magistrato di

sorveglianza, competente in materia.

Le differenze fondamentali tra sanzioni sostitutive e sanzioni alternative possono essere così

sintetizzate:

1. Tetto della pena:

• Le sanzioni sostitutive si applicano per pene brevi, inferiori a soglie edittali predeterminate (es. <

2 anni);

• Le sanzioni alternative sono accessibili anche per pene fino a tre anni, previo giudizio di idoneità

rieducativa.

2. Organo competente:

• Le sanzioni sostitutive sono disposte dal giudice della cognizione;

• Le sanzioni alternative sono concesse dal magistrato di sorveglianza, su proposta

dell’amministrazione penitenziaria.

Affidamento in prova al servizio sociale (art. 47 O.P.)

È considerato il “fiore all’occhiello” della riforma penitenziaria del 1975 e rappresenta una svolta

culturale nell’ottica del diritto penitenziario contemporaneo. Ispirato ai modelli dei paesi

anglosassoni, questo istituto si fonda sulla sospensione dell’esecuzione della pena detentiva a

condizione che il condannato osservi specifiche prescrizioni stabilite dal tribunale di sorveglianza,

all’interno di un programma di trattamento individualizzato. A differenza della sospensione

condizionale della pena (art. 163 c.p.), che comporta la semplice inattività dell’organo esecutivo,

l’affidamento in prova impone obblighi concreti e si fonda su un’interazione attiva tra soggetto,

autorità giudiziaria e servizi sociali.

Detenzione domiciliare (art. 47-ter O.P., Legge Gozzini 1986)

Consente l’esecuzione della pena detentiva presso il domicilio del condannato, per pene non

superiori a due anni. Rappresenta una misura residuale rispetto all’affidamento in prova, in quanto è

destinata a soggetti per i quali non è formulabile una prognosi positiva di rieducazione. Viene

applicata in contesti di vulnerabilità, disagio familiare, età avanzata o infermità.

Semilibertà (art. 48 O.P., come modificato dalla L. 2010/19)

Consente al condannato di trascorrere parte della giornata all’esterno dell’istituto penitenziario, per

svolgere attività lavorative, formative o terapeutiche, rientrando in carcere solo nelle ore notturne.

Rappresenta una forma di graduale reinserimento sociale, riservata generalmente alla fase finale

della pena.

Pena detentiva, forme alternative e riforme recenti: un’analisi critica e sistemica

1. La pena detentiva come privazione della libertà nel tempo

La pena detentiva si fonda sul principio della privazione temporanea della libertà personale. Essa

non si limita a limitare fisicamente i movimenti del condannato, ma incide sulla sovranità

individuale sul proprio tempo. Il soggetto è sottratto al mondo esterno e privato della possibilità di

autodeterminarsi nella gestione quotidiana della propria esistenza: l’imposizione di ritmi, spazi e

comportamenti imposti dallo Stato rappresenta il nucleo della coercizione detentiva.

Da una prospettiva marxista, la pena detentiva assume una funzione eminentemente ideologica e

disciplinare. Essa non è solo strumento di neutralizzazione della devianza, ma dispositivo attraverso

cui la classe dominante consolida i propri rapporti di produzione e il controllo sociale. Il carcere,

nella lettura marxista (si pensi a Rusche e Kirchheimer, Punishment and Social Structure, 1939),

riflette la struttura economico-sociale della società e cambia forma e funzione in relazione ai

rapporti di forza tra le classi. La privazione della libertà non è dunque solo una punizione, ma un

meccanismo di addestramento alla subordinazione, utile a perpetuare la divisione sociale del lavoro.

Detenzione domiciliare: tra teoria e limiti applicativi

La detenzione domiciliare – disciplinata dall’art. 47-ter O.P. – è stata introdotta come misura

alternativa alla detenzione ordinaria, per favorire la rieducazione del condannato in un ambiente più

favorevole alla socializzazione. Tuttavia, essa non è esente da criticità:

• In primo luogo, non rappresenta una vera forma di detenzione in senso classico, essendo

sprovvista delle caratteristiche proprie dell’ambiente carcerario;

• In secondo luogo, l’effettività del controllo è strettamente legata all’uso di strumenti tecnologici

(come il braccialetto elettronico), la cui affidabilità tecnica e diffusione capillare sono tuttora

limitate.

Il progetto di riforma del 2014, inserito nella legge

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Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

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