Estratto del documento

L’art. 51 non offre strumenti per stabilire quando e come un diritto debba

prevalere su un divieto o su un’altra posizione giuridica. Tuttavia, la soluzione a

questi conflitti dipende strettamente dalla natura delle norme coinvolte, e in

particolare dalla fonte gerarchica da cui derivano.

Nel nostro ordinamento, norme potenzialmente in conflitto possono

appartenere a livelli diversi, come nel caso dei diritti fondamentali sanciti dalla

Costituzione (es. diritto di difesa, di sciopero, di cronaca). Proprio su questi

diritti si sono sviluppati, storicamente, importanti interventi della Corte

Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità di norme punitive pre-

costituzionali contrastanti con diritti costituzionali sopravvenuti. Questi diritti

costituzionali hanno forza auto-applicativa: la loro efficacia diretta consente

di bloccare eventuali conseguenze penali derivanti da atti che siano

espressione legittima del diritto stesso.

Il riconoscimento di un diritto non può essere considerato in modo assoluto,

poiché ogni diritto si relaziona con altre posizioni giuridiche rilevanti. Di qui

nasce il problema cruciale del bilanciamento tra interessi costituzionali

contrapposti.

Un esempio emblematico è il diritto di cronaca (art. 21 Cost.): diritto

individuale e collettivo, fondato sulla trasparenza e sulla libertà di

informazione. Tuttavia, il suo esercizio può entrare in tensione con il diritto

alla riservatezza (art. 2 e art. 13 Cost.), imponendo una valutazione caso per

caso. In questi contesti, non è sufficiente fare riferimento al codice penale. È

necessario un lavoro interpretativo, affidato in larga parte alla giurisprudenza,

che individua una “sfera di liceità” per ciascun diritto, modellata sui concreti

interessi in gioco e sul tipo di soggetto coinvolto (personaggio pubblico vs

cittadino privato).

Criteri generali per risolvere le antinomie

In linea di principio, il giurista dispone di alcuni criteri orientativi per risolvere le

antinomie:

• Gerarchia delle fonti (lex superior derogat legi inferiori)

• Successione nel tempo (lex posterior derogat legi priori)

• Specialità della norma (lex specialis derogat legi generali)

Tuttavia, l’applicazione di questi criteri non è sempre lineare: una norma di

fonte costituzionale, benché superiore, può avere contenuto generale; al

contrario, una norma inferiore può essere più specifica.

Un esempio emblematico riguarda il diritto di sciopero, il cui riconoscimento

costituzionale ha portato all’abrogazione o all’illegittimità di norme penali che

lo sanzionavano. Anche in questo caso, la giurisprudenza costituzionale ha

svolto un ruolo essenziale nel concretizzare l’equilibrio tra norme confliggenti.

Art. 51 Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere.

L'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine

legittimo della pubblica autorità, esclude la punibilità.

Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell'autorità, del reato risponde sempre il pubblico

ufficiale che ha dato l'ordine.

Risponde del reato altresı ̀chi ha eseguito l'ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire

a un ordine legittimo.

Non è punibile chi esegue l'ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla

legittimità dell'ordine.

La questione sull’adempimento del dovere è stata affrontata storicamente nel

passato (es. I processi di Norimberga). La prima cosa da definire è quale norma

giuridica può fondare una pretesa di comportamento la quale legittima il

comportamento e l’inadempimento della condotta: la norma deve essere una

norma pubblica.

Nel nostro ordinamento, la rilevanza dell’adempimento di un dovere è

riconosciuto solo per norme pubbliche: coincide con impostazioni di tipo

pubblicistico già presenti nel Codice Rocco.

In secondo luogo, la previsione della norma dispone che l’adempimento del

dovere esclude la punibilità se posto da un ordine legittimo o da una norma

giuridica: la norma prevalente è quella che fonda la non punibilità della

posizione del soggetto subordinato. Il nostro ordinamento specifica la questione

dell’ordine perché pone un distinguo molto importante per analizzare la portata

della non punibilità. Questo limite è quello che viene definitivo il carattere

vincolante dell’ordine. La non punibilità è limitata nei casi in cui l’ordine per

l’individuo sia a sua stessa volta vincolato. Bisogna individuare che vi sia un

rapporto di vincolatività dell’ordine: nei casi in cui vi sia un rapporto di

dipendenza gerarchica che sostanzialmente si ha esclusivamente nei casi di

forze dell’ordine o militari.

Non basta neanche questo: il nostro ordinamento riconosce un criterio per altro

poi affermato a livello internazionale nelle famose decisioni del tribunale di

Norimberga. L’ordine è vincolante sempre quando non abbia un contenuto

manifestamente criminoso. Non basta che ci sia il rapporto gerarchico anche

all’interno delle forze di polizia o militari. Occorre che l’ordine non abbia un

contenuto per cui in maniera evidente, chiara, immediata, si colga che sia priva

di contenuti di liceità.

Il quarto comma dell’art 51 prevede questo importantissimo limite:

Non è punibile chi esegue l'ordine illegittimo, quando la legge non gli consente

alcun sindacato sulla legittimità dell'ordine

Questo limite serve per garantire l’efficacia dell’uso della forza pubblica: questa

mancanza di base di legittimazione dell’operato pubblico. Se il capopattuglia

impartisce un ordine palesemente illecito o comunque inidoneo alle

competenze e attività delle forze dell’ordine, da lì si ricava l’illiceità

apparente.

L’art. 51 comma 4 c.p. esclude la punibilità di chi sia tenuto ad eseguire un

ordine illegittimo, quando non abbia la possibilità di sindacarne tale carattere.

La norma ha lo scopo di non compromettere l’efficacia coercitiva dei

poteri pubblici: in presenza di organi strutturati gerarchicamente, si

preferisce attribuire la responsabilità al superiore che ha impartito l’ordine,

piuttosto che costringere chi è tenuto ad eseguirlo a indugiare per timore di

esporsi alle conseguenze penali del fatto commesso nell’adempimento del

dovere.

Tuttavia, questa scelta incontra un limite implicito, legato agli stessi

presupposti del dovere di obbedienza a carico dell’esecutore: benché la norma

preveda l’assenza di un potere di sindacato sulla legittimità dell’ordine, anche

nei casi in cui il vincolo gerarchico sia particolarmente rigido (come, ad

esempio, nell’ordinamento militare), l’inferiore deve comunque rifiutarsi di

eseguire l’ordine nei casi di:

• illegittimità formale (ad esempio, incompetenza del soggetto a emanare

l’ordine, mancanza della forma prescritta);

• contenuto manifestamente criminoso dell’ordine stesso.

Fondamento della non punibilità dell’esecutore.

La realizzazione dell’ordine nel mondo esterno conserva un disvalore, come

dimostra l’affermazione di responsabilità a carico di colui che ha impartito

l’ordine criminoso. Il vincolo gerarchico, infatti, non elide l’illiceità dell’atto

eseguito. Tuttavia, è la posizione dell’esecutore, obbligato ad adempiere, che

gli impedisce di valutarne la legittimità, giustificando così la sua non punibilità.

Secondo la dottrina prevalente, il fondamento della non punibilità

dell’esecutore risiede nell’assenza di colpevolezza: il soggetto si trova in

una situazione di impossibilità di sindacato sull’ordine ricevuto, tale da

escludere il dolo o quantomeno da integrare una causa di errore inevitabile su

un elemento del reato (art. 47 c.p.). Si tratta dunque di una forma di scusante

fondata sull’affidamento legittimo nel funzionamento della gerarchia. Una parte

della dottrina minoritaria, invece, ritiene che l’art. 51, comma 4 c.p.,

configuri una vera e propria causa di giustificazione autonoma, e che

l’atto eseguito perda il suo disvalore penale in forza dell’obbligo di obbedienza.

Secondo questa impostazione, l’illecito viene escluso in radice per effetto della

posizione di subordinazione.

Soggetti legittimati a invocare scriminanti nel ricorso pubblico alla

violenza

Nel nostro ordinamento il monopolio statale della forza legittima solo specifici

soggetti a esercitare coazione fisica, in casi tassativi, entro i limiti fissati dalla

legge. In questo contesto, la scriminante dell’esercizio di un diritto o

adempimento di un dovere (art. 51 c.p.) assume rilievo particolare per i

pubblici ufficiali, i quali possono fare ricorso alla forza fisica in funzione del

proprio ufficio.

Si tratta di una scriminante autonoma, introdotta con il Codice Rocco, che ha

un valore residuale rispetto ad altre cause di giustificazione, come la legittima

difesa (art. 52 c.p.) o lo stato di necessità (art. 54 c.p.), ed è funzionale

all’esercizio del potere di coazione fisica legittima.

Soggetti legittimati:

• Pubblici ufficiali, ai sensi dell’art. 357 c.p., nell’adempimento di un dovere

inerente al proprio ufficio.

• Privati, quando siano formalmente richiesti dal pubblico ufficiale, secondo

quanto previsto dallo stesso art. 357, c. 2, c.p. e da norme speciali (ad es. art.

383 c.p. sull’arresto da parte del privato su richiesta dell’autorità).

Requisiti della scriminante:

• La finalità non è meramente formale, ma deve consistere nel concreto

adempimento di un dovere di ufficio.

• È necessaria una lettura oggettiva e funzionale della condotta: essa

dev’essere strumentale al perseguimento dei fini dell’ufficio, non arbitraria o

eccedente.

Il ricorso alla forza deve rispondere alla necessità di:

• vincere una resistenza (art. 337 c.p.);

• superare una violenza posta in essere dal soggetto passivo (art. 336

c.p.);

• impedire la consumazione di gravi reati, come quelli contro l’incolumità

pubblica, la sicurezza dello Stato, o altri delitti violenti.

Approccio dottrinale:

• La dottrina prevalente ritiene che questa scriminante non operi in modo

automatico, ma richieda una valutazione ex ante della proporzionalità e

della necessità del mezzo coercitivo utilizzato.

• Secondo un’impostazione più garantista, la legittimità della violenza pubblica

si misura anche alla luce del

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Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

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