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Le fasi del mais sono molto monitorate
in ambiente agricolo per osservare e
prevedere lo scostamento stagionale
dell’optimum della produttività. Infatti
la durata di ogni fase dipende da: le ore
di luce giornaliere, quindi dalla durata
del ciclo diurno in relazione alle
stagioni; le temperature diurne e
notturne, dovute al clima; i fattori
fisiologici della specie, che risultano
però dall’adattamento alle condizioni
precedenti.
- Il rilevamento dei tipi funzionali
permette di definire quali di questi
siano i più vincenti nell’habitat studiato,
e come variano da un sito ad un altro in
relazione alle condizioni generali.
- La biodiversità si valuta relativamente a tre criteri o misure. L’Alpha-diversità è la ricchezza specifica media
in specie all’interno di un habitat, si può misurare con l’indice di entropia di Shannon: quest’ultimo considera
sia la presenza che l’abbondanza relativa delle specie in termini di numero di individui o copertura
percentuale della superficie. La Beta-diversità è la ricchezza di specie lungo gradienti o transetti che
comprendono più habitat: a parità di lunghezza del transetto, maggiori sono il numero di habitat e le loro
differenze reciproche, maggiore è il numero di specie rilevate. Si misura con l’indice di Whittaker o con
l’indice di Jaccard. La Gamma-diversità o diversità regionale è la ricchezza in specie di un’ampia area che
raggruppa numerosi rilievi di vegetazione: si esprime con il numero totale di specie, oppure di specie uniche,
per unità di superficie.
I rilievi floristico-vegetazionali permettono di capire le potenzialità dell’ambiente, monitorare lo stato di
conservazione ed attuare strategie di ripristino degli habitat degradati. A tale proposito si è effettuato un
monitoraggio dei prati aridi delle Prealpi: erano un tempo adibiti a pascolo o utilizzati per la fienagione, ma
in seguito all’abbandono da parte dell’uomo, questi habitat sono soggetti a scomparsa a causa della forte
colonizzazione spontanea delle comunità limitrofe di arbusti. I plot sono stati posizionati sia nelle aree
colonizzate che in zone in cui sono stati tagliati gli arbusti. Grazie ai primi si è potuta osservare la variazione
del numero e dell’abbondanza delle specie, nonché le loro modificazioni morfologiche; dagli altri plot è stata
osservata la modalità di ripresa del pascolo. Nell’area parco è importante gestire e conservare la biodiversità,
anche se in alcuni casi verrebbe perduta naturalmente. Altri studi si sono effettuati sul recupero ambientale
delle cave abbandonate. L’obiettivo è stato quello di individuare le specie che meglio riescono a colonizzare,
ripristinare e stabilizzare questi ambienti soggetti ad asportazione del suolo, smottamenti frequenti e forte
erosione superficiale. Si vuole assolutamente evitare la colonizzazione da parte di specie esotiche invasive, e
la conseguente perdita di specie endemiche: il ripristino deve ricondurre alla vegetazione preesistente. Una
volta individuate le specie dalle caratteristiche desiderate, si procede con la loro
piantagione. Un altro tipo di studio prevede la costruzione di Species
Distribution Models (SDM), modelli statistici che combinano le osservazioni
sulla distribuzione e variazione spaziale delle specie in un territorio con i
parametri ambientali. Si basano sulla trasposizione del concetto di nicchia
ecologica di una specie, cioè la precisa funzione ecologica che una specie compie
nel proprio habitat, in uno spazio matematico a n dimensioni descritto da n
variabili ambientali, solitamente climatiche. Nella figura, degli esempi di modelli
di nicchia costruiti con una, due e tre variabili: si ricordi che all’interno di ogni
nicchia così individuata, ad esempio quella relativa alla temperatura, la specie
assume una distribuzione normale attorno all’optimum. Quindi, il modello viene
costruito utilizzando le informazioni sperimentali su distribuzione spaziale e
variabili climatiche – le quali rappresentano le nicchie – in un certo territorio. Il modello viene poi utilizzato
a scopo predittivo: inserendo nuovi valori dei parametri climatici sullo stesso territorio, si otterrà come
output la variazione della distribuzione spaziale delle specie, o addirittura si potrebbe osservare la loro
scomparsa; altrimenti, con un’estrapolazione, si può prevedere la presenza e la distribuzione all’interno un
nuovo territorio – o di un’area più ampia attorno a quella campionata – delle specie studiate, semplicemente
inserendo come input i valori dei parametri climatici del nuovo territorio. Ad esempio, viene calcolato lo
slittamento a latitudini maggiori dell’areale di Ambrosia artemisifolia, fenomeno tipico dovuto al
surriscaldamento globale. Svariati altri studi hanno previsto, simulando diversi scenari climatici, una perdita
del 60% della flora alpina entro la fine del secolo in Alpi, Appennini, Pirenei, Balcani e Scandinavia.
Biodiversità nel tempo e nello spazio
Non è facile nemmeno per gli specialisti darne una definizione. Vi sono tante domande che occorre porsi per
inquadrare il problema: cos’è la biodiversità? È data solo dal numero di specie che si trovano in una data
area? Se è molto più di questo, come può essere misurata? Tutte le specie hanno egual peso? La biodiversità
dovrebbe comprendere la diversità genetica al di sotto del livello di specie? Ci sono validi indicatori per
stabilire che la biodiversità di un’area è maggiore di quella di un’altra? Fino a che punto la biodiversità nei
vari gruppi tassonomici può essere calcolata per estrapolazione, o meglio, in che misura i campioni possono
essere reputati rappresentativi?
Nel 1992 secondo la Convention on Biological Diversity, dal quale nome, per contrazione, è nato quello della
biodiversità, «Diversità Biologica significa la variabilità di tutti gli organismi viventi in tutti gli ambienti,
comprendenti quello terrestre, marino e gli altri sistemi acquatici e la variabilità dei sistemi ecologici di cui
gli organismi fanno parte; tutto ciò include diversità all’interno del livello di specie, fra le specie e fra gli
ecosistemi». Perciò si parte con la considerazione della diversità genetica a livello del singolo organismo e tra
gli organismi della stessa specie; si passa alla diversità tassonomica, ossia quella interna alle biocenosi ma
anche tra le biocenosi stesse; si arriva alla diversità ambientale che comprende, in ordine decrescente di
scala, gli ecosistemi, i paesaggi e i biomi. Chiaramente, se si considerano gli ecosistemi, sono incluse anche le
funzioni legate ai cicli biogeochimici ed ai flussi di energia e di materia all’interno delle catene alimentari.
Una materia così complessa rende difficile la misura.
Il numero di specie sulla Terra è ancora sconosciuto, e le stime a riguardo sono poco significative. Comunque,
sono state descritte quasi due milioni di specie, contro l’ipotetico numero reale di dieci milioni, sul quale gran
parte degli studiosi si accordano. Si ritiene che le specie ad oggi mancanti si debbano ricercare soprattutto
tra gli invertebrati, i batteri e i funghi, ciò significa che abbiamo già descritto gran parte di cordati e delle
piante, in particolare quelle vascolari. Tuttavia, molta della conoscenza mancante riguarda le funzioni
ecologiche degli organismi conosciuti, perciò non è possibile in tutti casi capire quali siano le modalità di
conservazione adeguate o, più semplicemente, quali siano i rischi che corre una specie. Per ciò che concerne
i batteri, non è possibile applicare lo stesso concetto di specie che si usa per gli altri ordini. Conosciamo solo
le specie batteriche che riusciamo a coltivare, siano esse importanti per lo studio di patologie che affliggono
l’uomo e le piante, per le eccezionali simbiosi che mettono in atto, per la fermentazione industriale o per le
capacità degradative degli inquinanti. Fino a poco tempo fa non si aveva idea di quale fosse la flora batterica
in alcun ambiente. Solo con le recenti tecniche, che permettono l’analisi delle sequenze dell’RNA ribosomiale
16 S, si è in grado di valutare la diversità batterica: in pratica, si definiscono al posto delle specie le classi OTU
(Operational Taxonomic Unit), includendo in ognuna tutti i batteri le quali sequenze di rRNA 16 S sono uguali
tra loro almeno al 97%. La nostra stima a riguardo è cambiata radicalmente:
La vita sulla Terra è quindi dominata dai batteri, come è sempre stato, e si ipotizza che siano presenti un
miliardo di differenti OTU.
È noto che la biodiversità aumenta dai poli all’equatore già dai tempi di Von Humboldt, dato il gradiente
positivo di temperatura, disponibilità idrica e stabilità ambientale. Ma recentemente l’interesse è incentrato
in aree relativamente ristrette in cui la ricchezza in specie è elevatissima, si tratta degli Hot spots di
biodiversità del pianeta. Si individuano seguendo due criteri: devono contenere almeno 1500 specie
endemiche di piante vascolari terrestri, numero che ammonta allo 0,5% della flora mondiale; devono essere
gravemente minacciati, ossia l’ambiente naturale deve avere subito una perdita di almeno il 70% della
propria superficie. Si considerano le piante vascolari in quanto rappresentano il gruppo meglio conosciuto.
Sebbene ricoprano solo l’11,8% del globo, questi punti caldi comprendono il 44% delle specie di piante
vascolari ed il 35% dei vertebrati. Ma anche all’interno degli Hot spots l’ambiente prettamente naturale
costituisce in media solo il 12,2%, data la presenza antropica, quindi ne consegue che l’enorme biodiversità
presente si concentra su appena l’1,4% della superficie terrestre. Nonostante la grande ricchezza di specie
gravemente minacciata, non sono considerati negli hot spots il bacino amazzonico, il bacino del Congo e la
Nuova Guinea, perché attualmente mantengono i loro ecosistemi naturali su più del 30% della loro superficie.
Gli hot spots di biodiversità spesso coincidono con le aree più sovrappopolate e povere del pianeta, per cui
sono soggette ancora di più ai rischi di sfruttamento e distruzione.
Ad oggi, la paleontologia ha avuto modo di studiare solamente gli eucarioti, quindi se ci riferiamo alla
biodiversità del passato dobbiamo basarci unicamente su questi dati. È emerso che nel corso della storia vi
sono stati drastici cali della biodiversità, di cui i più importanti sono conosciuti col nome di estinzioni di massa,
e rappresentano dei riferimenti per evidenziare il passaggio da un’era all&rsqu