GENERAZIONE DI CELLULE DENDRITICHE DA PRECURSORI STAMINALI
questa procedura è un po’ meno efficace del fatto che
EMATOPOIETICI (cellula CD34+) :
io possa partire da CD14 e prevede una iniziale separazione immuno-magnetica per CD34,
quindi utilizzo degli anticorpi monoclonali anti-CD34 coniugati alle biglie che vanno ad
indentificare le CD34, le quali le trovo soprattutto nel midollo osseo, nel sangue di cordone
ombelicale ed anche nel sangue periferico del soggetto adulto ma in quantità e frequenza
sicuramente più bassa. Una volta ottenute le cellule CD34, quindi precursone ematopoietico,
si hanno diversi stadi di differenziazione in vitro: una prima fase che prevede l’aggiunta di
un po’ diverso, con più citochine rispetto a quello che si era visto
un cocktail di citochine
partendo da CD14, perché qui siamo uno o due step più indietro, si parte dal precursore,
quindi è necessario dare degli stimoli proliferativi maggiori, quindi GM-CSF, TNF alfa,
ci sono alcune discordanze sull’utilizzo di quest’ultima, perché sembra
SCF, FLT3-L, (IL-4,
che in alcuni casi possa migliorarne l’efficacia, in altri casi sembra cambi il fenotipo).
Questo processo nel complesso dura più tempo, circa 10-12 giorni e si ottiene, dopo circa
una settimana un precursore intermedio, dove si riduce l’espressione di CD34, si acquisisce
l’espressione di CD14 e dell’HLA-DR, come se si “ripercorresse” in vitro la
differenziazione del precursore ematopoietico a monocita, come se rappresentasse il
monocita di partenza. Dopo circa 10-12 giorni si genera la cellula dendritica, che ha perso il
CD14 completamente, che esprime un po’ di marcatori di co-stimoli, comunque
un’espressione non molto alta, come si ottiene partendo direttamente dai monociti. Quindi
diciamo che la procedura che ci permette di ottenere le cellule dendritiche a partire da
precursori ematopoietici è più scarsa, in quanto queste cellule sono meno capaci di
rispondere allo stimolo maturativo in vitro ed anche dal punto di vista del fenotipo non
quindi è un protocollo un po’ meno efficace.
esprimono a pieno le molecole di co-stimolo,
In figura è rappresentato un confronto tra le DC ottenuti da diversi protocolli, si vede la risposta
allo stimolo maturativo quindi all’LPS, quindi per quanto riguarda:
Le DC ottenute da monociti CD14, si nota che la risposta è massimale, si up-regola
completamente CD40L e viene fuori un’espressione intorno al 60-70% al CD83;
Le DC ottenute da CD34 si ha un’efficienza di maturazione più bassa, quindi CD40L si up-
regola ma non al 100%, e non si vede l’espressione di CD83; questo un po’ migliore in
anche se saranno sicuramente cellule meno efficaci nell’indurre
presenza di IL-4,
l’attivazione del linfocita T, rispetto a quelle ottenute dai monociti.
Il protocollo migliore è quello che prevede la separazione dei monociti CD14 e poi
differenziamento in vitro, quindi secondo protocollo visto. Fino ad adesso, attraverso il
citofluorimetro, abbiamo visto il fenotipo di queste cellule, quindi l’espressione di marcatori di
membrana. Ma, un’altra tecnica che ci consente di valutare se effettivamente la DC che abbiamo
ottenuto sarà funzionale nella fase iniziale, cioè quella di cattura dell’antigene, può essere
l’ANALISI DELLA FASE DI CATTURA DELL’ANTIGENE nella quale si può utilizzare
ALBUMINA associata al fluorocromo, quindi viene studiata la capacità di queste cellule di
catturare l’antigene, che in questo caso è albumina-FITC, questo può essere valutato con il
la localizzazione dell’albumina-fitc,
microscopio confocale, il quale permette di valutare che
all’inizio, quando la cellula capta la molecola si ritrova all’interno della cellula, e poi piano
piano si troverà nei frammenti più piccoli, esposti in membrana dopo 8-10h, quindi si riesce a
capire se, la cellula ottenuta in vitro è in grado di svolgere effettivamente la sua funzione di
cattura dell’antigene. Il microscopio confocale consente di visionare anche gli stadi di cattura
dell’antigene, distinguendo dov’è collocata la fluorescenza all’interno della cellula. Stessa cosa
può esser fatta al citofluorimetro, andando in questo caso, a valutare solo la fluorescenza, quindi
non posso dire dov’è localizzata .
In questa immagine vedete di nuovo un confronto, mentre prima avevamo detto che in presenza
aumentava un po’ l’espressione di CD83, quindi sembrava una cellula un po’ più pronta
di IL-4
ad indurre uno stimolo al linfocita T, tra i due protocolli quindi ottenimento dei DC da CD34,
vedete in questo caso che in presenza di IL-4, ottengo una minor intensità di fluorescenza, cioè
la percentuale di cellule positive per Albumina è la stessa ma con intensità di fluorescenza più
bassa, quindi minor capacità di cattura dell’antigene. Tutti questi studi e questi confronti mi
servono per poter poi utilizzare correttamente le cellule dendritiche in colture in vitro
nell’attivazione del linfocita T.
Le cellule dendritiche possono essere ottenute anche già come tali, perché quello che abbiamo
visto fino ad ora sono modi per ottenerle in vitro e fare in modo che si possa arrivare alla fine
della coltura con un numero di cellule importanti per poter condurre degli esperimenti. Questo
perché i monociti circolanti sono circa il 15-20% delle cellule mononucleate, quindi se io parto
da una sitazione in cui ho tanti monociti, io li differenzio in cellule dendritiche quindi otterrò
tante DC, anche se la resa è di circa il 30%, non tutti i monociti si differenziano, però riesco a
tenere milioni di cellule dendritiche. Potrei ottenere però le DC direttamente da sangue
periferico perché queste ci sono, anche se in % molto basse: le mDC (DC1) sono lo 0,6% delle
cellule mononucleate, le pDC (DC2) sono lo 0,4%. Questo come posso farlo? Direttamente con
la separazione immunomagnetica, abbiamo detto che le DC1 esprimono BDCA1, quindi
utilizzando un anticorpo monoclonale coniugato ad una biglia anti-BDCA1 posso separare
questa linea da sangue periferico, l’importante è che questa operazione venga fatta su cellule
CD19-, perché BDCA1 è espressa anche dai linfociti B; quindi prima devo togliere i linfociti B
per negativo, e poi sulle cellule CD19- posso andare ad arricchire per BDCA1, però immaginate
che le cellule che ottengo sono quelle fisiologicamente che si avvicinano di più alla realtà
perché sono le cellule dendritiche circolanti, quindi sicuramente non sono state tenute in vitro,
per alcuni versi possono essere migliori anche se ne ottengo un numero veramente basso.
Stessa cosa per quanto riguarda le DC2, queste esprimono BDCA1 BDCA4 e CD123, quindi
soprattutto per BDCA1+ e BDCA4+ che sono marker selettivi, posso fare un arricchimento
immunomagnetico combinando i due marcatori, quindi mettere insieme 2 anticorpi coniugati a
microbiglie e arricchire questa popolazione, però in questo caso la % è ancora più bassa. Ad
ogni modo, come ho ottenuto queste cellule dendritiche, quindi o in vitro o tramite tecnica
immunomagnetica diretta, le posso utilizzare per indurre una risposta antigene-specifica. Quindi
le posso utilizzare in coltura come cellule presentanti l’antigene ai linfociti T, il rapporto
solitamente è 1:1 o 1:5 per avere una risposta efficace da parte del linfocita T. Nel caso in cui io
ottenga le DC direttamente da sangue periferico del soggetto, è meglio irradiarle per evitare la
presenza di altre cellule inquinanti, quindi se nella mia separazione diretta delle DC BDCA1 mi
è rimasta una piccola frazione di linfociti T, questi poi potrebbero attivarsi e dare una risposta
diversa da quella che poi io voglio studiare quando faccio la co-coltura, quindi è sempre bene
irradiarle, in quanto questo blocca unicamente la proliferazione delle cellule senza andare ad
incifiare la capacità di cattura dell’antigene, né la produzione di citochine. Nelle DC ottenute in
vitro, diciamo che l’inquinante seppur ci fosse, viene eliminato durante tutti i processi di
coltura.
Lezione 1 06/05 Tani Vittorio
Parleremo di microscopia, di allestimento preparati da vedere al microscopio e allestimento di
colture cellulari.
Iniziamo a trattare dei microscopi, iniziando a parlare dell’occhio. L’occhio è l’organo della vista,
fa parte della sensibilità speciale, uno dei cinque organi dei sensi. Perché parlo dell’occhio? Perché
è un modello di sistema ottico, semplice e al tempo stesso limitato. L’occhio presenta una lente che
è il cristallino e dei fotorecettori rappresentati dai coni e bastoncelli che si trovano sulla retina. La
luce entra nella pupilla, attraversa il cristallino e forma sulla retina un’immagine invertita. Questi
segnali vengono trasdotti dai coni e bastoncelli a cellule di natura nervosa, neuroni polari e
multipolari i cui assoni vanno al nervo ottico e dal nervo ottico a livello del diencefalo, da cui si
propagano tratti che vanno all’encefalo, dove l’immagine invertita viene compensata
(dall’encefalo).
Il cristallino è una lente che serve per la messa a fuoco dell’oggetto, è una lente che è collegata a dei
processi ciliari che appartengono al muscolo ciliare che si accomoda, cioè si deforma proprio per
consentire la messa a fuoco dell’oggetto. Nella parte posteriore del globo oculare si trovano i
fotorecettori, coni e bastoncelli, i coni sono deputati alla visione dei colori, i bastoncelli sono
deputati alla visione del crepuscolo. Ogni fotorecettore abbiamo detto essere neuroni specializzati
nella trasmissione del segnale nervoso.
Se io ho questa penna, ma voglio vedere una scritta piccola, cosa faccio? Avvicino la penna. Ma
quanto posso avvicinare? Posso avvicinare fino al punto prossimo. Cos’è? La distanza minima con
la quale posso mettere a fuoco, che corrisponde a 25cm. Cosa succede al di sotto dei 25cm? Vedo
sfuocato. Qual è la massima distanza che posso vedere? All’infinito. La lente dell’occhio lavora,
mette a fuoco oggetti compresi tra il punto prossimo (25 cm) a un punto remoto che è infinito. Al di
sotto dei 25 cm, per mettere a fuoco, osservare organismi, organuli più piccoli, devo ricorrere
all’utilizzo di uno strumento quale il microscopio (guardare piccolo dal greco). Cosa fa il
microscopio? Supera il limite dell’occhio umano e va in particolar modo a giocare su due parametri
fondamentali della microscopia, l’ingrandimento e la risoluzione, cioè col microscopio sono in
grado di ingrandire l’immagine, perché aumento il numero di pixel di un&rsquo
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