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II
polimerasi II), questo contiene due fattori che a sua volta sono XPB e
XPD che hanno un’azione elicasica sui due filamenti in senso opposto
(uno in direzione 3’ e uno in direzione 5’). Questo fattore apre una sorta
di bolla nel DNA in corrispondenza del punto in cui vi è il difetto. Si
aggiunge poi un fattore detto XPG.
Gli eventi successivi sono descritti dopo perché comuni ai due processi
NER.
Transcription coupled NER: è un meccanismo di riparazione legato alla
trascrizione, non riguarda tutto il genoma ma le aree del DNA che
vengono trascritte, quindi quelle fondamentali perché codificanti e vitali
per la cellula. Il danno viene
individuato dalla polimerasi II
durante la trascrizione. In questa
riparazione agisce la RNA
polimerasi II che deve
sintetizzare un RNA messaggero,
intanto mentre denatura il
filamento avanza trascrivendo
l’RNA, quando incontra un dimero
di pirimidine si arresta perché è
in grado di riconoscere un danno.
Qui agiscono CSA e CSB che
fanno arretrare la polimerasi che
ridissocia e reclutano TH F, XPG
II
e altri. Quindi si passa da una
fase di trascrizione a una fase di
riparazione. È dunque la
polimerasi che mentre effettua la
trascrizione di tratti codificanti si
accorge che il DNA è malformato
e ha dei danni consistenti e
quindi richiama tutte le proteine
necessarie per la correzione di
questo errore.
Entrambi i processi arrivano al
punto in cui sul DNA aperto a bolla si ha legato XPG e TH F, a questo
II
punto interviene RPA che tiene aperta la bolla permettendo il legame di
altre proteine al complesso. Interviene dunque XPA che si lega nel sito
presunto danneggiato e ha il compito di verificare che l’errore ci sia
realmente (questi meccanismi potrebbero essersi formati anche per un
errato arresto della polimerasi senza necessariamente la presenza di un
danno). Se XPA riconosce che c’è veramente un danno iniziano i processi
di taglio (se XPA non si lega il complesso si disassembla). Viene reclutato
dunque XPF che insieme a XPG sono delle nucleasi, che permettono il
taglio a monte a valle del danno, vengono rimossi circa una trentina di
nucleotidi. Poi intervengono le polimerasi replicative (δ e ε) che riparano
il filamento che mediante una ligasi viene saldato a quello già presente.
BER (base excision rapair): riparazione dei danni che interessano le basi.
Si può formare un sito abasico per idrolisi della base dallo scheletro
zucchero fosfato (che permane intatto), oppure per una rimozione attiva
della base stessa perché riconosciuta come danneggiata. Ci sono enzimi
detti DNA glicosilasi che sono in grado di riconoscere delle
modificazioni specifiche delle basi, queste agiscono andando a rimuovere
le basi riconosciute come scorrette dallo scheletro, quindi anche in
questo caso si ottiene un sito abasico. Esempi di glicosilasi:
UNG=riconosce la presenza di uracili nel DNA; OGG1 = individua basi
ossidate, MPG= riconosce purine alchilate; MBD4 = pirimidine
mismatches. Non riconoscono la distorsione strutturale ma riconoscono
proprio delle modificazioni specifiche chimiche.
Il sito abasico deve dunque essere riparato, la formazione di siti abasici
viene riconosciuta da un’endonucleasi APE, che fa un taglio in 5’ subito
dopo il sito abasico (crea un nick nel filamento che contiene il sito
abasico). È la presenza del Nick che innesca dei meccanismi di
riparazione.
Short patch: interviene una polimerasi che sostituisce un singolo
nucleotide, riconosce il nick e sostituisce quello abasico utilizzando l’altro
filamento come traccia. È la polimerasi β che si lega grazie al fattore
XRCC1. Interviene a questo punto la ligasi III che fa a richiudere il
filamento formando il legame fosfodiestereo.
Long patch: è dato da una polimerasi δ o ε che intervengono in
collaborazione con PCNA, queste sono più processive e sintetizzano un
filamento di circa 10 nucleotidi, questo filamento viene sintetizzato
scalzando il tratto con
il nucleotide abasico,
si forma una falda. A
questo punto la FEN1
(flap endonucleasi)
taglia il frammento
che aveva creato la
falda e che era
rimasto attaccato per
un nucleotide. A
questo punto
interviene la ligasi I
che salda il
frammento. Questo
processo utilizza quasi
tutti gli stessi
componenti molecolari della replicazione del filamento discontinuo.
Non-homologus end-joing:
1) ovvero
saldatura delle estremità in caso di
rottura di doppi filamenti (c’è un
metodo che serve anche nella
ricombinazione del DNA, in crossing
over). Quando la doppia elica è
spezzata non si può usare uno dei
due filamenti come templato
(riparazione dei DBS, double strand
break). Nel riparare questi danni la
cellula può introdurre degli errori, in
particolare la
cellula non riesce
a capire se i due
frammenti prima
della rottura
appartenevano a due zone contigue. Il
sistema riconosce solo se il filamento non
ha termine ma non quale era l’altro frammento adiacente che si è rotto. La
cellula non è detto che sia in grado di giuntare i punti giusti. Le parti tagliate
sono riconosciute da due proteine che si attaccano alle estremità (proteine Ku)
e attirano la DNA-PKcs, cioè la DNA chinasi che è in grado di fosforilare Ku70 e
Ku80, che tendono ad attirare un doppietto simile. Quindi due estremità con un
doppietto proteic Ku si attirano a vicenda e si affiancano. Queste Ku hanno
anche attività elicasica con separazione delle due eliche, si formano delle
estremità coesive, in quanto sono estremità a singolo filamento. Viene
promosso l’appaiamento di queste estremità coesive a singolo filamento per
microomologia (nella migliore delle ipotesi erano contigue quindi si spera che ci
siano delle piccole zone di complementarietà in cui sono possibili degli
appaiamenti che permettano di appaiare le due estremità). La chinasi attiva
anche una proteina Artemis che va a tagliare le zone di Flap che sono le zone a
singolo filamento in cui non è avvenuto l’appaiamento. Una volta tagliate
XRCC4 richiama la DNA ligasi IV che va a saldare i due filamenti della doppia
elica. Nella zona di appaiamento le due sequenze sono state appaiate
forzatamente quindi sono per forza state introdotte delle mutazioni (processo
utilizzato per introdurre delle mutazioni nelle immunoglobuline in cui risulta
utile). Giunzione forzata di estremità che non risultano essere omologhe.
SDSA: Modo alternativo di riparazione di Double strand break per un
meccanismo simile alla ricombinazione. La cellula può sfruttare l’altro
cromosoma omologo, essendo cellule diploidi, che si suppone integro in quel
punto, come stampo per sintetizzare un frammento omologo. Le estremità che
sono pari perché il taglio è fatto negli stessi nucleotidi in entrambi i filamenti del
cromosoma danneggiato viene modificato in modo da allungare l’estremità 3’
rispetto a quella 5’ (in realtà è quella 5’ che si accorcia per l’azione
esonucleasica di un enzima) e portarla per un tratto a singolo filamento, questa
estremità è detta ricombinogenica. Si apre l’elica nel cromosoma omologo e qui
si appaia il singolo filamento che è stato sintetizzato usando come stampo il
cromosoma omologo integro. Infine avviene la saldatura. In questo processo si
possono avere delle mutazioni per riconversione genica.
Ricombinazione DNA:
Processo voluto e naturale perché porta a variabilità genetica. Permette di generare
nuove combinazioni di geni in un genoma. Innanzitutto la variabilità si ottiene per
mutazione in quanto i processi di riparazione non sono perfetti. Ma si ottiene anche da
un processo di ricombinazione, si parla di ricombinazione omologa quando avviene tra
i due cromosomi omologhi nelle cellule gametiche (uno ereditato dal padre e uno dalla
madre), non sono uguali ma molto molto simili. Lo scambio di materiale genetico si
basa sull’omologia, la ricombinazione è un processo casuale, e più due geni sono
distanti più è probabile che possano ricombinare tra loro. Le mappe genetiche si
costruiscono basandosi sulle frequenze di ricombinazione (la massima frequenza di
ricombinazione è 50%). La ricombinazione omologa avviene nei gameti a livello della
meiosi, coinvolge sempre e solo due cromatidi (quelli affiancati e non quelli esterni).
La ricombinazione tra due sequenze omologhe prevede la rottura e lo scambio tra
molecole di DNA. Per studiare la ricombinazione vengono usati dei marker genetici per
verificare se una molecola è ricombinante o meno. I marcatori sono geni che esistono
in forme alleliche diverse e servono per capire se è avvenuta o meno la
ricombinazione.
Uno dei primi ad affrontare il problema è stato Holliday, il quale iniziò a studiare il
processo di ricombinazione che poi venne
migliorato e corretto. Questo sosteneva per
esempio presi due cromosomi con due geni
presenti in combinazioni alleliche diverse, uno con
A e B e l’altro con sequenze alleliche omologhe a’ e
b’ (sequenze simili ma diverse per pochi nucleotidi)
perché avvenga la ricombinazione si formeranno
due nick nelle sequenze omologhe seguiti da uno
scambio incrociato dei filamenti. I filamenti si
riappiano scambiati e le due molecole di DNA
formano un chiasma. Nella prima ipotesi sostiene
che il chiasma potesse migrare lungo la molecola
di un certo tratto creando una zona in cui due
singoli filamenti sono appaiati scambiati, zona
duplex (doppia elica data da singoli filamenti di
provenienza diversa). Le due eliche sono appaiate
e si devono separare per poter andare incontro alla
meiosi, questo secondo Holliday avveniva per
risoluzione del chiasmo, ovvero per inversione del
chiasmo dovuta alla rotazione di due dei filamenti
intorno a uno tenuto come perno. Si forma dunque
la croce di holliday o forma aperta. Ci sono dunque
due possibili piani di taglio per separare le due
molecole, a seconda di quale dei due tagli ottengo una molecola ricombinante oppure
no (la probabilità è del 50%). Se taglio secondo un piano ottengo una molecola ibrida
non ricombinante (questa ha un tratto centrale ibrido duplex ma i marcatori corretti
sono ancora abbinati sullo stesso filamento A→B e a’→b’), mentre nell’altro caso
ottengo una molecola ricombinante con lo stesso un filamento centrale duplex (A→a’ e
B→b’), 50% di possibilità che con il processo avvenga o meno la ricombinazione.
Questo modello è stato successivame