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REALISMO
Modello razionale
Modello lineare basato sul paradigma dell’attore razionale, secondo cui lo stato è razionale ed
unitario; consta di 5 fasi:
1. si identifica il problema
2. si identificano gli obiettivi da perseguire
3. si elencano le alternative possibili
4. analisi costi benefici delle alternative
5. scelta razionale (che massimizza i benefici per minori costi)
Critiche: la razionalità umana è limitata da vari fattori (incompletezza delle informazioni, difficoltà
di previsione, variabilità del comportamento umano); il policy making è un processo non lineare,
ma graduale e caotico; il processo decisionale è collettivo, coinvolge vari attori che spesso sono in
contrasto tra loro, l’analisi è quindi non razionale ma di parte.
LIBERALISMO
Modello organizzativo
I decision-makers saltano le fasi dell’identificazione degli obiettivi e delle alternative, puntando,
invece, per la maggior parte delle decisioni, su procedure operative standard; le decisioni infatti
consistono perlopiù in risposte standardizzate, perché in politica i grandi cambiamenti sono rari,
anche a causa dell’inerzia amministrativa.
Modello burocratico
La decisione è il frutto di un processo di bargaining tra membri o strutture della burocrazia che
rappresentano interessi divergenti.
Modello pluralista
Il processo decisionale non dipende tanto dalle strutture burocratiche ma più da quelle della
società civile, quali gruppi d’interesse, opinione pubblica, multinazionali, che per favorire una
certa scelta possono mobilitare i mass-media, le lobby e le loro strutture politiche. Le decisioni
dunque riflettono i diversi interessi della società.
MARXISMO
I decision-makers non operano scelte reali, il loro ruolo è limitato; le azioni sono determinate dagli
interessi, e questi sono dati dalla struttura del sistema, le decisioni dunque sono dettate dagli
imperativi economici della classe dominante.
COSTRUTTIVISMO
I decision-makers non sono altro che ratificatori dell’interesse che si costituisce, secondo il classico
schema costruttivista, in società; quindi non bisogna concentrarsi troppo sui governanti, ma più su
quegli attori che possono influenzare le idee ed il dibattito pubblico (es. Elon Musk).
CAPITOLO 8: Economia Politica Internazionale
IPE Come disciplina
Emerge come campo di studio delle ri a inizio anni ’70, si concentra sull’analisi del rapporto tra
politica ed economia, che corrisponde nel contesto globale al rapporto tra stati e mercati.
Per quanto riguarda le definizioni di politica economica ce ne sono varie, una è riprese dalla parola
da greca da cui economia è derivata, ossia oikonomia, che significa letteralmente gestione della
casa la politica economica viene definita come la gestione delle risorse economiche.
Nel corso dei secoli la definizione che si è affermata è stata quella data dagli economisti classici
come Smith, Ricardo, Marx… che sostenevano che economia e politica economica fossero
sinonimi.
Negli anni ’60 gli economisti adotteranno un’ulteriore definizione, che è quella più attiva ancora
oggi: la politica economica è l’applicazione della metodologia economica agli eventi socio-politici;
metodologia economica = individualismo metodologico, cioè l’individuo, che è unità d’analisi, è un
attore razionale che ha come obiettivo la massimizzazione dei profitti; applicare questo metodo in
politica significa considerare lo stato (unità d’analisi) come l’individuo razionale, e quindi come un
attore che cerca di massimizzare i propri interessi.
Varie critiche sono state mosse contro questa definizione, la più comune sostiene che lo stato non
è come l’individuo, perché è per definizione composto da una serie di soggetti differenti, che
hanno interessi differenti tra loro.
Paradigmi
Le teorie della IPE si suddividono in due principali approcci o scuole
Approcci ortodossi
- Neorealismo/Mercantilismo: è’ conosciuto anche come nazionalismo o protezionismo, è
l’espressione delle aspirazioni degli stati di sviluppare la propria potenza, e fu la teoria
economica dominante nei secoli XVI – XVIII.
Il mercantilismo ha come assunto principale l’idea che l’economia di un paese debba
essere subordinata agli interessi politici dello stato e, in primo luogo, a quello della sua
sicurezza (primato della politica sull’economia). La ricchezza è un mezzo per incrementare
il potere dello stato, e il potere a sua volta deve garantire prosperità. Le relazioni
economiche sono un gioco a somma zero (conflittuali), perciò bisogna aumentare i
guadagni relativi piuttosto che la produzione complessiva, per farlo bisogna che le
esportazioni siano maggiori delle importazioni, e si favorisce ovviamente la produzione e
l’occupazione nazionale.
Secondo Gilpin il mercantilismo può esser benigno se gli interessi nazionali sono difesi
senza che siano danneggiati quelli di altri, o maligno se invece si danneggiano altri stati
come accadeva con l’imperialismo.
- Neoistituzionalismo/Liberalismo: esponenti del liberalismo economico sono Smith,
Ricardo e Pareto; questa scuola di pensiero, affermatasi nel XIX secolo, mira alla gestione
ottimale di un’economia di mercato che conduca all’efficienza produttiva, quindi alla
crescita economica e dunque alla ricchezza individuale. Tale gestione ottimale si realizza
con il non intervento della mano visibile (ossia quella statale), e con la gestione autonoma
del mercato (mano invisibile), che solo così può massimizzare sia per stati che per individui
i benefici (il guadagno è di tutti, il gioco è a somma positiva).
Gli assunti principali sono che l’unità d’analisi sono le famiglie e le imprese (quindi
consumatori e produttori), con particolare attenzione alle organizzazioni internazionali e
alle multinazionali, che hanno molto potere nell’influenzare gli interessi degli stati, e che le
relazioni sono regolate da leggi economiche (economia > politica e in più l’economia
influenza la politica la libertà economica genera la libertà politica).
Approcci critici
- Neomarxismo: importanti esponenti di questa corrente sono Wallerstein, Arrighi, Amin,
Cox; gli assunti base sono gli stessi del paradigma marxista delle RI; invece aspetti specifici
sono il primato dell’economia (la politica è determinata dalla struttura capitalistica), classi
sociali come unità d’analisi (le relazioni tra classi definiscono le ri), e infine relazioni
economiche conflittuali (gioco a somma zero).
I suoi esponenti si concentrano sul sottosviluppo, inteso come un risultato del capitalismo
mondiale, esso è necessario per permettere lo sfruttamento da parte dei paesi ricchi.
- Neogramscianesimo: i gruppi economici non sono fissi, ma si modificano nel corso della
storia es. gli interessi del proletariato urbano italiano nell’800 e nel 2000 sono diversi
all’interno dei gruppi economici anche ci sono differenti interessi politici ed economici (es.
operai inglesi favorevoli all’euro/sfavorevoli all’euro).
- Neocostruttivismo: la realtà non è materiale ma ideologica, cioè fondata sulle idee, in
particolare sono i vari paradigmi economici che producono le azioni (se prevale l’idea
neoliberista ci sarà una certa politica, se prevale l’idea keynesiana ce ne sarà un’altra) le
idee (e quindi anche ciò che le crea e diffonde, quindi mass media, tg, social, giornali…)
formano le politiche.
Da Bretton Woods al Washington Consensus
Anche nel campo dell’economia politica internazionale sono il paradigma realista (nella sua visione
mercantilista) e quello liberale che si sono rivaleggiati come modelli dominanti; all’inizio del XX
secolo questo posto viene preso dal liberalismo economico, imposto dalla pax britannica, ma la
crisi del 1929 innesca una trasformazione radicale a favore del mercantilismo. Solo dopo la
seconda guerra mondiale, con gli accordi di Bretton Woods del 1944, si ripongono le basi per un
assetto liberale, questa volte con un nuovo egemone, gli USA.
La potenza egemone quindi, come insegna la teoria della stabilità egemonica, introdusse nuove
regole economiche internazionali, che non trovarono opposizioni significative, e che quindi
portarono all’abbandono dei progetti mercantilisti (protezionisti) da parte delle potenze
nazifasciste, in favore di un’apertura economica regolata, con stabilità dei cambi ancorati al
dollaro, a sua volta ancorato alla convertibilità con l’oro.
A inizio anni ’70 una serie di fattori mettono in crisi il modello di Bretton Woods: crisi economica
perdita di competitività degli USA Nixon sospende la convertibilità del dollaro con l’oro a
motivo del crescente deficit di bilancio e dell’inflazione crescente, che erano dovuti ai costi della
guerra del Vietnam e all’indebolimento del dollaro saltato l’ancoraggio del dollaro all’oro, il
governo non può più scegliere quanto può oscillare il valore del dollaro mercati protagonisti
assoluti delle oscillazioni delle valute abbandono politiche keynesiane neoliberismo 1989
Washington Consensus (pacchetto di 10 direttive di politica economica destinate ai paesi in via di
sviluppo, che erano necessarie per poter accederei ai prestiti delle istituzioni economiche
internazionali), che in sostanza era: riduzione spesa pubblica + deregolamentazione +
privatizzazioni + liberalizzazione fine anni’90 indebolimento Washington Consensus, per via
delle crisi finanziarie che i paesi sottosviluppati hanno subito (la liberalizzazione finanziaria non era
stata accompagnata da adeguate garanzie in termini di istituzioni e di regolamentazione, ciò portò
sì ad una crescita economica, ma anche soprattutto ad una crescita delle disuguaglianze).
Politica Economica Europea
Le teorie di EPE sono macroteorie che si occupano dei grandi eventi dell’integrazione europea,
dando prevalenza agli elementi economici su quelli politici, che non vengono però comunque
trascurati.
La teoria neofunzionalista è stata coniata ad hoc per spiegare il processo d’integrazione europea,
che viene definito come un evento unico nella storia; il maggior esponente è Ernst Haas, secondo
cui le istituzioni europee sono soggetti che hanno la capacità di modificare le politiche degli stati,
esse esistono perché hanno un obbiettivo, che è quello di realizzare la comunità politica
sovranazionale.
Tre assunti del neofunzionalismo:
- Il processo d’integrazione &egr