Introduzione alla diagnosi
La diagnosi serve per la formulazione del caso ponendo le basi per il successo di un trattamento psicologico o di una psicoterapia. Aiuta i clinici a collaborare e comunicare tra loro. È categoriale e descrittiva, funzionale. Alcuni elementi diagnostici possono mutare nel tempo, e la diagnosi può cambiare concettualizzazione dinamica a causa di elementi che insorgono nella vita del soggetto o di alcuni trattamenti.
Organizzazione, struttura e funzionamento delle personalità
Non tutti i trattamenti hanno la funzione di cambiamento di personalità ma anche solo di supporto per trovare delle risorse più efficaci per adattarsi all’ambiente. Possono aiutarci a comprendere il disturbo nel suo complesso.
Organizzazione
Fanno riferimento al modello di Paolina Kember che vede i disturbi di personalità sulla base di vari livelli di organizzazione. Da una più sana di tipo nevrotico (soggetto ha un buon rapporto con la realtà, è integrato con la realtà, meccanismi difensivi evoluti e maturi che gli consentono un buon adattamento all’ambiente) a personalità ossessivo-compulsiva e isterica trattamento di tipo espressivo orientato dalla psicoanalisi, sono in grado di tollerare frustrazioni.
- Organizzazione di personalità Borderline “alta”: ancoraggio alla realtà non sempre ottimale
- Organizzazione di personalità Borderline “bassa”
- Organizzazione di personalità psicotica: meccanismi difensivi immaturi, in grave difficoltà, non hanno elementi per convivere con la vita di tutti i giorni, inclini ad avere scivolamenti verso un’organizzazione di tipo psicotico quando non riescono a gestire alcuni stress della vita, quindi hanno degli scompensi trattamento di tipo supportivo.
Struttura
Elementi difficilmente modificabili che fanno parte della persona, come il temperamento o gli oggetti interiorizzati, la struttura morfologica interna. Per essere modificati c’è bisogno di molto tempo.
Funzionamento
Elementi più facilmente modificabili che fanno riferimento ad alcuni modi di leggere la realtà come il sistema cognitivo, le strategie di coping, possono essere modificati per aiutare ad avere un adattamento migliore all’ambiente circostante.
Meccanismi di difesa
I meccanismi difensivi possono essere considerati dei normali processi che emergono in una situazione di disagio. Questi meccanismi si riscontrano nell’ambito dei colloqui clinici e possono essere presenti anche in situazioni di colloquio di orientamento, peritale, diagnostico o di ricerca, nel corso dei quali la persona senta la necessità di difendere se stessa da una condizione che, a qualche livello, la minaccia.
Modo in cui tutti noi affrontiamo gli stress interni ed esterni, modalità inconsapevoli, per questo è difficile coglierli (diversamente dai meccanismi di coping che sono consapevoli). Alcuni elementi emergono anche nel colloquio clinico, ci sono dei modi specifici per comprenderli, processi normali che insorgono nella nostra vita quotidiana oggetto di numerose riflessioni teoriche.
Teorizzazioni storiche
- Klein (1930): i meccanismi di difesa sono considerati principi organizzativi della vita psichica che organizzano il mondo interno del soggetto, dei bambini.
- Kohut (1984): declina le difese come una protezione della fragilità del Sé; i meccanismi di difesa sarebbero finalizzati alla tutela dei deficit del Sé.
- Bowlby (1988): le difese hanno prevalentemente un significato ambientale e interpersonale (relazionale) significato di tipo adattivo per adattarsi all’ambiente e interpersonale per difenderci dalle relazioni.
- Westen (1999): le difese sono “uno sforzo motivato inconscio teso a minimizzare le emozioni dolorose o a massimizzare gli affetti piacevoli.”
Le difese oggi
Alla luce della ricerca empirica attuale, i meccanismi di difesa possono essere definiti come: “sentimenti, pensieri o comportamenti tendenzialmente involontari (inconsci), che sorgono in risposta a percezioni di pericolo per il soggetto e sono finalizzati, in modo più o meno adattivo, a nascondere o alleviare i conflitti o gli agenti stressanti che danno origine ad ansietà od angoscia” (Lingiardi, 2002).
Spesso la messa in atto di un comportamento di angoscia rappresenta un meccanismo di difesa immaturo; la spinta ad agire non è filtrata da nessun elemento di riflessività, si passa direttamente all’azione (acting-out), poi chiaramente va considerato il contesto e la situazione. Definizione abbastanza completa che vede come il meccanismo può essere sotto forma di sentimento, pensiero o comportamento, che spesso non sono volontari. Sono al di fuori della consapevolezza.
I meccanismi di difesa
- Hanno la finalità di prevenire un trauma (es. disturbo di personalità) funzionalità adattiva
- Sono inconsci
- Sono reversibili: possono cambiare ed evolvere in qualche modo se i meccanismi utilizzati sono disadattivi, da meccanismi più involuti a più evoluti/maturi e viceversa
- Possono essere sia adattive che patologiche quando sono mature vs immature
- Hanno prevalente funzione intrapsichica: permettono al soggetto di regolare il proprio mondo interno, quindi gli aspetti più profondi
- Primo tentativo di sistematizzazione: “L’Io e i meccanismi di difesa” (A. Freud, 1936); meccanismi studiati come intuizioni prima di questo testo
Coping e meccanismi difensivi
Il maggiore punto di convergenza fra questi due processi è che entrambi vengono attivati quando il soggetto si trova di fronte ad una situazione di disequilibrio psicologico, e quindi, possono essere considerati entrambi processi adattivi per ridurre l’aspetto negativo, elementi di rabbia, per tornare ai sentimenti di base, funzione di natura pragmatica.
Coping
- Ridurre l’affetto negativo
- Tornare velocemente all’affetto di base
- Affrontare o risolvere il problema: modalità consapevole di affrontare il problema
- Conscio
- Intenzionale
- Non organizzato gerarchicamente
- Situzionale
- Normalità
Difese
- Evitare situazioni di ansia eccessiva
- Ripristinare un livello di funzionamento confortevole
- Inconsci
- Involontarie
- Organizzati gerarchicamente da un livello più involuto ad uno più evoluto
- Disposizionali
- Patologia
Meccanismi difensivi: quando vengono considerati normali o patologici?
Tutto questo si può fare in modo automatico senza bisogno di un atto di volontà. Tre criteri distinguono l’uso adattivo o disadattivo delle difese:
Scopo
Se le difese vanno nella direzione della soluzione del conflitto in termini realistici (affrontare la realtà senza evitarla), sono adattive (favoriscono l’adattamento alla realtà) mature, far emergere e elaborare il conflitto. Sono disadattive se vanno nella direzione dell’evitare il conflitto, immature.
Modalità d’uso
Una difesa è adattiva quando è flessibile cioè appropriata alla situazione, e quando il suo uso è limitato ad essa. È disadattiva quando è rigida (inflessibile), automatica e generalizzata (applicata a tutte le situazioni). La prima è una risposta alla realtà, la seconda è una reazione ai propri impulsi.
Effetti
La difesa è adattiva se permette di controllare il conflitto, in quanto protegge e abilita la persona a funzionare meglio. È disadattiva se perpetua (alimenta) il conflitto o crea ulteriori svantaggi alla personalità intera.
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