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Roma Augustea; Lucano vuole smascherare la realtà imperiale per la quale i romani
sono diventati una massa di schiavi.
Seneca (autore di tragedie in cui mette in evidenza in quali abissi sprofonda l’uomo
quando viene dominato dalle passioni e prendono il sopravvento sulla ragione; Lucano
è influenzato da queste tragedie) fa un discorso diverso, ma analogo: aveva creduto a
Nerone a cui dedica un trattato, però si rende conto che questo esperimento è fallito.
Ritiene che l’unico spazio di libertà concesso all’uomo sia la propria interiorità. Cambia
anche lo stile assieme agli argomenti, è uno stile anticlassico (fatto di frasi breve,
antitesi, figure retoriche anticlassiche). Si è parlato di questa letteratura come
Barocca, quindi esuberante.
Nell’età Flavia, dopo altre guerre civili per determinare la successione alla dinastia
Giulio-Claudia, ci sarà un altro tentativo di restaurazione della Roma Augustea, quasi
un ritorno ad Augusto con Vespasiano e anche in letteratura si ha un ritorno alla
letteratura augustea, vengono scritti importanti poemi epici come la Tebaide di Stazio,
le Argonautiche di Valerio Flacco e i Punica di Silio Italico sulla 2° guerra punica –
opere ampie, che cercano di tornare allo stile ed ideologia dell’Eneide però non
possono fare a meno di dimenticare la grande lezione lucanea. Non possono tornare a
Virgilio facendo finta che Lucano non ci sia mai stato; infatti, risentono del Bellum
Civile di Lucano. La discordia civile ritorna in questi poemi, Stazio lo trasferisce dalla
storia romana al mito (Tebaide – scontro fratricida e quindi coincide con la guerra
civile).
A cavallo fra I secolo d.C. e II secolo è Tacito (più grande storiografo di Roma) autore di
Istorie e Annales, la Germania, L’Agricola.
Successivo, del II secolo è Apuleio, autore di un romanzo.
Verso la fine del II secolo d.C. e nel III assume importanza la letteratura cristiana
antica, in latino che si chiama letteratura apologetica (epoca delle persecuzioni e per
questo vuole difendere il cristianesimo nella polemica con il paganesimo). Gli
apologisti come Cipriano risentono nelle loro opere di Seneca (il quale aveva parlato
nelle sue opere della lotta del saggio con le avversità così questi scrittori parlano delle
sofferenze, violenze che subiscono i cristiani ad opera dei loro persecutori) -> saggio
vittima delle avversità della sorte modello dei cristiani vittime dei loro persecutori
(riecheggia Seneca in scritti degli apologisti, apologia = “difesa”).
Lingua e stile in generale - Gli aspetti linguistici e stilistici del latino
Ad ogni genere corrisponde un determinato stile e anche un livello linguistico
differente. Come tra i generi distinguiamo quelli alti da quelli di livello basso, così sul
piano linguistico distinguiamo differenti livelli espressivi. Il latino è una lingua che è
stata usata per secoli e si è trasformata nel tempo (diacronicamente). Ecco perché
distinguiamo il latino arcaico, di età classica (Cicerone, Cesare), il latino di età
augustea. Naturalmente in ogni epoca ci sono differenze che si collegano al genere, al
grado culturale di colui che parla. Un ambito importante da considerare in latino è il
sermo quotidiano (“linguaggio colloquiale delle persone dotte”), il latino di Plauto e
Terenzio è il latino della conversazione ma il latino di Cicerone (delle Orazioni è
elevato, diverso da quello delle lettere private, adopera lo stile della conversazione,
ma è pur sempre il latino di una persona dotta), il linguaggio quotidiano è presente
anche nelle opere di Seneca in età imperiale. È una componente importante della
lingua e letteratura latina.
Il diverso livello stilistico, in latino il termine standard per “spada” è “gladius”. In un
poema come l’Eneide, le occorrenze di gladius sono nulle; eppure, è un poema di
battaglia. Virgilio adopera il sinonimo dotto di gladius, “encis”. In Lucano le
occorrenze di “gladius” si equivalgono a quelle di “encis”. Perché questo? Il poema di
Lucano non celebra imprese gloriose, le guerre civili sono catastrofi, è un evento
traumatico, allora il poeta non ricorre al termine dotto ma al termine standard per
indicare la drammaticità di un evento da non esaltare.
Altro aspetto importante è che l’obiettivo della lingua parlata, con un familiare, amico
è essere espressivi, efficaci. Diverso se dobbiamo svolgere un discorso formale.
L’espressività è una caratteristica del linguaggio parlato, del sermo quotidiano. La
poesia si differenzia dal linguaggio standard perché deve essere espressiva, altrimenti
è piatta come la lingua della prosa. Non è raro, infatti che il linguaggio poetico
recuperi delle espressioni del linguaggio della lingua quotidiana perché convergono la
ricerca dell’espressività.
Esempio: “andare” in latino è “ire” (verbo standard), però è un verbo poco espressivo,
prive di carica espressive. Il linguaggio colloquiale adoperava un altro verbo, cioè
“vado” che significa “andare”.
Infine, la critica del testo si collega al problema della tradizione dei testi. Leggiamo
questi testi perché ci sono giunti attraverso i manoscritti. La critica del testo cerca di
definire il testo da cui discende tutti i manoscritti che abbiamo, questo testo, da cui
discendono i manoscritti che sono in nostro possesso, si chiama ARCHETIPO.
Anzitutto si mettono a confronto i manoscritti nella recensio (lingua critica del testo è
latino). Possiamo trovarci davanti a lezioni diverse che sono corrette dal punto di vista
grammaticale ma cosa ha scritto l’autore probabilmente?
I filologi per sanare le corruttele del testo usano 2 criteri fondamentali: una prima
domanda è “quale termine è più probabile si sia corrotta nell’altro?” È più probabile
che l’amanuense dalla parola più difficile sia passato in una più semplice. Un altro
criterio è quello della “lectio difìcilio” cioè lezione più difficile, se nei manoscritti
abbiamo due lezioni ugualmente valide dal punto di vista grammaticale, è più
probabile che la parola originaria sia quella più difficile che quella più facile perché
quando copiamo un testo siamo portati a semplificare, banalizzare, quindi è probabile
che il termine più difficile sia quello autentico.
Latino, martedì 01/03
La letteratura romanza è una letteratura che è espressa in lingua neolatina. I metodi
filologici sono gli stessi della filologia classica applicata ai testi classici, greci e latini.
Quando si leggono questi testi classici, i problemi testuali non sono pochi e inoltre non
abbiamo gli autografi ma solo copie di copie che sono state esposte a corruttele di
ogni genere. Ci sono testi la cui traduzione manoscritta si dice più tormentata
(Petronio, romanzo satirico); mentre ci sono autori che godono di discreta tradizione
manoscritta (Cicerone, Seneca, Virgilio).
Ci sono due principi:
Uno fa riferimento al quesito (reso in latino “utrum in alterum abiturum erat” –
quale dei due termini era destinato a trasformarsi nell’altro?) quale dei due
termini si è corrotto nell’altro dei due?
Anche per ragioni paleografiche, la paleografia studia le scritture antiche. La
paleografia latina studia le varie grafie utilizzate dall’antichità fino all’età umanistica;
ci aiuta a ragionare sulle parole che abbiamo di fronte. Il criterio della verosimiglianza
paleografica è importante: ci troviamo davanti ad una parola corrotta (senza senso),
con piccoli di cambiamenti di lettera, abbiamo una parola che si addice al contesto;
quindi, con un intervento minimo possiamo costituire il testo corretto.
La critica del testo non è una scienza assoluta, sono argomenti, considerazioni più o
meno probabili.
L’altro è la Lectio Dificilior Potior (“lezione più difficile è la più valida”) per il
principio che dal termine più difficile, il copista abbia compiuto una sostituzione
del termine dotto con il termine più usuale. Esempio: “pericolo” è standard,
mentre “periglio” è dotto. Se diamo da copiare un testo ad una persona che non
ha familiarità con termine dotto, può sostituire “periglio”, la parola “pericolo”.
Questo principio si può applicare a varianti tradìte (latinismo, “consegnare,
tramandare i testi”). Si applica a testi di tradizione manoscritta (che tramandano il
testo, appunto).
Lo scopo della filologia è quello di ricostruire l’archetipo (da cui discende la tradizione
manoscritta).
Come procede il filologo? Con la collazione (confronto) dei manoscritti; prende
un’edizione a stampa e con questa edizione confronta i manoscritti disponibili. Il testo
viene dato dalla concordanza (che dia un senso, sia accettabile dal punto di vista dello
stile) dei manoscritti. Per fare un’edizione critica bisogna conoscere bene il latino,
l’autore, il contenuto, lo stile, l’argomento. Il primo compito del filologo è quello di
eliminare dai testimoni, il non considerare i manoscritti che sono copie di altri che
sono in nostro possesso. Se ho un manoscritto e ne ho anche un altro che si dimostra
essere la copia di quello precedente e lo scopro (perché magari il secondo riproduce il
testo di A con errori propri); ai fini della costituzione del testo B è utile o no? no,
perché è una copia. L’antigrafo (manoscritto da cui la copia deriva) lo abbiamo e non
si tiene conto della copia. È un’idea le che non sempre è possibile realizzare. I
manoscritti che abbiamo sono in gran parte, salvo casi rari, manoscritti contaminati: è
raro che si limiti a riprodurre il testo di un altro aggiungendo i suoi errori, gli
amanuensi copiavano da fonti, modelli, antigrafi diversi. Quindi, non sono copie fedeli
di un solo modello, ma derivano da più modelli. L’editore (colui che realizza l’edizione
critica) non può eliminare quel codice, deve considerato e poi valutare le singole
varianti perché quel testimone può essere portatore di varianti corrette, valide. È raro
che sia possibile l’eliminatio delle fonti.
Altro principio fondamentale si deve a Giorgio Pasquali, filologo che doveva recensire
un manualetto e da cui è nato “La storia della traduzione e critica del testo”: un
capitolo di questo testo si intitola “rechentiores non deteriores”: