FRAIBERG
Nel 1940, si laurea come assistente sociale alla Wayne State University.
Tra il 1965 ed il 1979, diventa professore ad Ann Arbor nel Michigan come direttore del Child
Development Project per famiglie disagiate, dove struttura la metodologia della psicoterapia
genitore-bambino.
Nel 1970, si trasferisce a San Francisco dove, presso il General Hospital, avvia l’Infant
Mental Health Program, un programma di intervento rivolto a famiglie svantaggiate con
bambini fino ai 3 anni di vita (tra l’altro, tuttora in corso): va direttamente a casa delle
famiglie ad alto rischio psicosociale e si inventa la psicoterapia genitore-bambino che lei
definisce “in cucina” proprio perché le vai a cercare dentro le case le situazioni che
possono mettere a rischio lo sviluppo del bambino, a partire dalle relazioni precoci
disfunzionali.
A lei dobbiamo l’Home Visiting: visita domiciliare che porta operatori e operatrici nelle case
delle madri con rischio psicosociale e psicopatologico per sostenere la relazione
madre-bambino (oggi non è una psicoterapia, è un sostegno psicopatologico, però nasce da
questa cosa qui di Selma Fraiberg che invece era psicoterapia).
Nel 1979, consegue l’abilitazione come psicoanalista della American Psychoanalytic
Association.
Verso la nascita della psicoterapia genitore-bambino:
il percorso clinico e di ricerca di Selma Fraiberg
L’osservazione dei bambini
“Gli anni magici”: ciechi presso il “Family
Focus sulla Service” di New Orleans: La psicoterapia
centralità dei legami Uso dell’osservazione genitore-bambino
familiari sullo sistematica → definizione delle
sviluppo del peculiari linee di sviluppo dei
bambino. bambini ciechi e del ruolo
esercitato dalla qualità
dell’accudimento genitoriale sul
loro sviluppo.
L’influenza dei legami familiari sullo sviluppo del bambino
A partire dalla sua celeberrima opera Gli anni magici, la Fraiberg, attraverso un rigoroso
approccio scientifico, inizia a ricercare indizi che potessero fornire una chiara descrizione dei
meccanismi che sottendono un adeguato sviluppo psicologico del bambino.
Il focus della sua attenzione si è diretto dapprima sul bambino e sul suo mondo interiore, per
poi estendersi alle figure a lui più vicine significative → “il bambino non esiste da solo”
(Winnicott, 1960), grazie ai contributi di Winnicott, si accorge che è impossibile non
estendere il focus di interesse a chi circonda il bambino.
Il caso del piccolo Eddie (descritto in Gli anni magici) la porta a considerare il ruolo
fondamentale svolto dalle figure genitoriali sullo sviluppo del bambino.
In particolare, si sottolinea come, anche IN PRESENZA DI UN GENITORE
MALTRATTANTE, DISTACCATO E BRUTALE, la presenza amorevole dell’altro genitore
(o di una figura di attaccamento alternativa) possa rappresentare un fattore di
protezione per lo sviluppo del bambino.
Ad esempio, si riconosce il ruolo del papà (o chi per lui): anche quando c’è una madre con
una forte depressione che la porta a non essere disponibile per il bambino o a maltrattarlo, il
bambino è sicuramente esposto ad un rischio evolutivo, ma questo è ridotto se l’altro
genitore (o caregiver in generale) è una figura sufficientemente buona.
L’osservazione dei bambini ciechi
Questa esperienza (siamo nel 1960) le dà l’opportunità di fondere il metodo osservativo
(proprio della psicologia evolutiva) al metodo interpretativo (proprio del modello
psicoanalitico) → di collegare quindi la pratica di ricerca a quella clinica.
Già Anna Freud e Spitz avevano proposto un metodo osservativo del bambino.
Fraiberg comincia ad osservare un gruppo ristretto di bambini ciechi alla nascita e si chiede
se tutto quello che si sapeva dei bambini e del loro sviluppo corrispondesse davvero alla
realtà oppure se fosse frutto di bias, di pregiudizi.
↓
Attraverso l’osservazione sistematica di questi bambini, la Fraiberg sfata il detto che nei
ciechi “la mano sia l’occhio”
Questa era una convinzione che si aveva, secondo la quale il bambino cieco, non potendo
vedere gli oggetti, il suo occhio fosse la mano (mano = canale dell’osservazione), usavano
molto di più le mani rispetto ai bambini vedenti.
Da un’attenta osservazione analitica del loro comportamento dimostrano infatti che anche
loro utilizzano la bocca, ma utilizzano di più le mani rispetto a quanto facciano i bambini
vedenti perché costituiscono uno strumento per la bocca: una sorta di alleanza con la bocca
che la mano ha rispetto all’oggetto. Vero che i bambini non vedenti quando toccano l’oggetto
poi lo esplorano più con le mani, ma sempre col fine di portarlo alla bocca.
In questi bambini, infatti, la BOCCA continuava ad essere il centro del campo percettivo
ed il primo canale di rapporto con la realtà esterna (così come per i bambini vedenti):
le mani non venivano utilizzate per afferrare oggetti e trarne informazioni, ma erano rimaste
piuttosto ancorate ad una sorta di “alleanza con la bocca”.
Inoltre, attraverso l’osservazione, Fraiberg si accorge poi che i bambini non vedenti alla
nascita:
camminavano molto più tardi rispetto agli altri (1), non avevano un’autonomia di
➔ movimento, in quanto acquisivano molto tardi la capacità di deambulazione (anche a
5 anni)
presentano una sorta di stereotipia motoria (2) tipica dei comportamenti autistici,
➔ definita da dondolamento, oscillazioni, movimenti ripetuti con le mani e sfregamento
degli occhi.
Questi bambini sono nati con tutto quello che gli serve per camminare al tempo giusto (non
hanno ritardi cerebrali o muscolo-scheletrici), allora perché il ritardo nel deambulamento?
Perché questi bambini arrivano a manifestare quadri molto simili a quelli dei bambini
autistici, possibile che sia solo il fatto che non vedono?
Nel rispondere a queste domande, la totale assenza di dati longitudinali sui bambini ciechi
indusse la Fraiberg ad ampliare il suo campione e seguirlo nel corso dello sviluppo per
vedere all’interno di questo percorso elementi adattivi o disadattivi e cosa c’è effettivamente
di diverso dal bambino che tipicamente sa vedere dalla nascita.
Utilizzo della telecamera per l’osservazione sistematica del comportamento del
bambino. La telecamera con l’Infant Research diventerà necessaria.
(1) Fraiberg, dopo aver osservato molti bambini, si accorge che lo sviluppo dell’Io seguiva
le stesse tappe nei bambini vedenti e non vedenti: forse non era la vista di per sé a
determinare questa deviazione dello sviluppo, ma qualcos’altro…
Infatti questi bambini inizialmente si dovevano adattare all’ambiente con delle strategie
specifiche alla nascita, poi però ad un certo punto, tra i 7 e i 15 mesi di vita, lo sviluppo dei
bambini non vedenti - a livello affettivo, relazionale e comportamentale - si riallineava a
quello dei bambini vedenti.
Infatti, questi bambini tra i 7 e i 15 mesi, al pari dei bambini vedenti sperimentavano la paura
dell’estraneo, respingevano i loro abbracci e le loro cure, piangevano per protesta e
venivano consolati solo dall’abbraccio della madre.
MOTIVO:
Rispetto all’orientamento nell’ambiente, più che affidarsi al canale visivo, si affidavano molto
al canale uditivo.
Nel tentativo di compensare l’assenza del flusso visivo, questi bambini tendevano a fare
affidamento più sul canale uditivo → prestavano infatti maggiore attenzione alla voce
materna rispetto ai bambini vedenti ed il loro sviluppo appariva più incoraggiante quando,
alle stimolazioni uditive, si accompagnavano anche adeguate stimolazioni tattili.
Fraiberg inoltre analizza nei bambini ciechi il concetto di costanza dell’oggetto:
i bambini ciechi, così come i bambini vedenti, nel momento in cui l’oggetto non era
fisicamente presente e se lo rappresentavano, cominciavano a “cercare nel buio”.
Studiando la costanza dell’oggetto si accorge che non solo entravano in reazione con la
madre tramite il canale uditivo, ma che potevano rappresentarsi l’oggetto (*Winnicott).
Mentre nel bambino vedente è la percezione visiva ad orientare la costanza dell’oggetto, nel
bambino che non vede l’oggetto deve essere rappresentato attraverso il canale uditivo.
Nel bambino vedente è la percezione visiva ad unire gli schemi motori e tattili, invece il
bambino cieco deve inferire che sia il suono a connotare l’oggetto che ha tenuto in mano
qualche minuto prima, capacità che si ottiene nel bambino solo verso i 10-11 mesi → Se
suonava la campanella alla quale Robbie (un bambino di 10 mesi) era molto
affezionato, questo iniziava ad eseguire il movimento dell’afferrare e del lasciare la
presa (cominciava a cercarla nel buio).
Siccome in tutti gli esseri umani la coordinazione udito-manuale è più tardiva rispetto alla
coordinazione visivo-manuale (a livello cerebrale si stabilizza dopo), questi bambini
necessariamente presentavano un ritardo perché bisognava aspettare che si raggiungesse
un livello di sviluppo cerebrale e associazionistico tale per cui questi bambini potessero fare
affidamento sul canale preferenziale per concepire l’oggetto che sta fuori.
Quando il bambino non vede deve aspettare si formino le associazioni corticali e
sottocorticali tra lo stimolo uditivo e la prensione: anche nei bambini vedenti, la
coordinazione udito-prensione si sviluppa più tardi della coordinazione visione-prensione.
Questo non era un ritardo in quanto tale, ma l’attesa che a livello dello sviluppo si
creassero normalmente le condizioni per arrivare a possedere tale cosa.
(2) Fraiberg aveva notato che le madri di questi bambini (spesso provenienti da classi
sociali molto svantaggiate) non trovavano piacere nell’interazione nella vicinanza fisica con il
loro bambino, del quale non riuscivano a stimolare la crescita e lo sviluppo.
Soprattutto nota che lo sviluppo dei bambini non vedenti era tanto più simile a quello dei
bambini vedenti - anche se con un po’ di ritardo - quando quella madre che lo chiamava era
anche una madre sensibile, affettuosa e particolarmente responsiva.
La condizione deficitaria del bambino produceva un calo dell’attitudine materna:
questa carente capacità materna andava, a sua volta, a limitare le potenzialità di sviluppo
del bambino stesso.
Lo sviluppo deficitario del bambino cieco non era solo l’effetto dell’incontro tra un potenziale
maturativo svantaggiato ed un ambiente di accudimento non adeguato, quanto piuttosto
l’esito dell’influenza reciprocamente esercitata da entrambi i poli della relazione.
Il campo relazionale diventa l’elemento fondante dell’esper