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La possibilità di adoperare luce visibile è preferita in quanto l’utilizzo della

radiazione ultravioletta comporta una maggiore attenzione e precauzioni da

adottare (la radiazione è pericolosa per l’operatore e può provare danni alla

vista, in tal senso, occorre provvedere ad una certa schermatura dell’impianto,

in modo tale che la luce venga mandata direttamente sul catalizzatore e non

sia esposta alla vista degli operatori o dei tecnici; bisogna tenere conto di

opportuni sistemi di protezione con conseguente incremento dei costi; diverso

è il discorso della luce nel range del visibile, non saranno necessari dispositivi

di protezione -riduzione dei costi-; se poi un catalizzatore può essere attivato

dalla radiazione ultravioletta nonché da una gran parte di lunghezze d’onda

nella regione del visibile è possibile impiegare anche la luce solare: ciò è un

gran vantaggio, in quanto il catalizzatore è ecosostenibile). Uno degli obiettivi

della fotocatalisi è essere in grado di realizzare un processo completamente

ecocompatibile, che si svincoli dall’utilizzo di ulteriori sistemi energetici al di

fuori della luce solare che viene adoperata allo scopo di attivare

fotocatalizzatori previamente modificati.

I fotocatalizzatori eterogenei sono catalizzatori in polvere che vengono dispersi,

parliamo di reazioni in bulk: si pensi al trattamento delle acque reflue, qui i

fotocatalizzatori sono dispersi nella soluzione acquosa in cui dobbiamo andare

a rimuovere i contaminanti d’interesse.

Talvolta, quando il catalizzatore è in polvere è possibile prevederne il recupero

e il riutilizzo; al tempo stesso, si preferisce supportare il catalizzatore su un

materiale macroscopico in quanto le possibilità di recupero sono superiori.

L’obiettivo nel processo è riuscire ad ottenere queste specie ossidanti

altamente reattive (si parte da un fotocatalizzatore idoneo, preparato con un

certo processo di sintesi: l’operatore deve essere in grado di sintetizzare

nanoparticelle fotocatalitiche estremamente attive o efficaci; l’efficacia di un

fotocatalizzatore si vede nella sua capacità di assorbire l’energia luminosa che

gli viene data e non disattivarsi durante il processo).

Perché abbiamo introdotto le bande? Perché si richiede che il materiale sia un

semiconduttore? È importante perché tramite il trasferimento degli elettroni da

una banda ad un’altra siamo in grado di ottenere specie ossidanti altamente

reattive in grado di degradare i contaminanti. Abbiamo una certa energia

luminosa, che dipende dalle caratteristiche del catalizzatore, che irradia il

fotocatalizzatore stesso. Questa è un’energia sufficiente che garantisce il

passaggio di un elettrone dalla banda di valenza alla banda di conduzione e

quando ciò avviene si genera una coppia buca-elettrone. Il processo è il

seguente:

La buca è presente, nel momento in cui avviene il trasferimento, nella banda di

valenza (buca elettronica con una carica positiva), l’elettrone invece si è

trasferito nella banda di conduzione (carica negativa). La coppia buca-elettrone

è altamente reattiva: innanzitutto è una coppia instabile, l’elettrone infatti

tende a ritornare nella sua posizione iniziale (fenomeno indesiderato nella

fotocatalisi: la ricombinazione; questa infatti, non è una condizione di equilibrio

ma una situazione di instabilità) ma se forniamo un’energia sufficiente e il

fotocatalizzatore mostra tutta una serie di caratteristiche intrinseche tali da

evitare la ricombinazione dell’elettrone, si genera questa buca altamente

reattiva e si favorisce la formazione di specie altamente ossidanti come radicali

ossidrili e lo ione superossido.

L’elettrone e la vacanza si possono spostare alla superficie, andando così a

reagire con le specie chimiche presenti. Genereranno così:

- per riduzione di O lo ione superossido (reazione tra acqua e lacuna

2

elettronica);

- per ossidazione di H O radicali ossidrilici (reazione tra ossigeno ed

2

elettrone).

Si sono ora formate queste specie reattive altamente ossidanti quale il radicale

ossidrilico e lo ione superossido che vanno ad interagire con le molecole di

inquinante e vanno a degradarle.

Come vanno ad interagire? Vanno ad interagire con le molecole di inquinante

che si sono adsorbite sulla superficie del catalizzatore, dopodiché andranno ad

interagire con i restanti contaminanti presenti nella soluzione liquida.

Questo è il meccanismo generale; al fine di evitare la ricombinazione per

esempio, è possibile andare ad introdurre sulla superficie del catalizzatore altre

sostanze attive quali i metalli nobili.

La presenza di un metallo nobile interviene nell’evitare la ricombinazione e

quindi la disattivazione del catalizzatore stesso; tuttavia è anche possibile, con

delle modifiche alla struttura cristallina delle nanoparticelle fotocatalitiche,

andare a ridurre l’energia di band gap: in particolar modo, si può parlare di

drogaggio o dopaggio quando si crea una modifica nel reticolo cristallino con

conseguente cambiamento nell’energia assorbibile dal semiconduttore e

modifica dell’energia di band gap.

Il processo fotocatalitico viene adoperato nella rimozione di composti inquinanti

nelle acque di scarico industriali.

Le acque reflue industriali presentano una serie di contaminanti che

generalmente con i processi biologici (che sono alla base del trattamento delle

acque reflue in generale)

Le acque reflue sono di tipo civile ed industriale; quelle di tipo civile sono

prodotte dagli scarichi domestici od urbani mentre quelle di tipo industriale

derivano da scarichi industriali di varia natura.

Le acque di scarico civile ed in particolar modo domestico, presentano come

target la materia fecale, essa deve essere rimossa; per far ciò si fa riferimento

a processi biologici o microbiologici.

Nel caso delle acque reflue industriali possiamo avere vari tipi di inquinante, in

relazione al processo: ad esempio, le industrie tessili presentano vari tipi di

contaminanti quali dai coloranti, quelle conciarie adoperano nel processo di

concia, il cromo (il cromo esavalente è la forma più pericolosa), nelle industrie

alimentari per la produzione di olio di oliva, le acque di scarico industriale

possono presentare polifenoli.

Gli inquinanti che possono popolare le acque di scarico industriale sono di varia

natura e non si può pensare di applicare processi biologici: la biomassa

potrebbe essere avvelenata da queste sostanze; si propongono quindi processi

diversi ed innovativi, come ad esempio quelli di ossidazione avanzata.

Consideriamo una classe di inquinanti molto critica che può essere riscontrata

nelle acque di scarico industriali. Il fenolo viene, con una serie di passaggi,

ricondotta a molecole non inquinanti quali anidride carbonica e acqua: si parla

di mineralizzazione.

Il processo è complesso e non è detto che la conversione sia completa: il

catalizzatore nel processo può andare incontro a disattivazione o la cinetica

promossa dal catalizzatore risulta comunque lenta. Si può, in tal senso,

giungere alla formazione di composti intermedi (tipo benzochinone o acido

maleico): questo significa dire che il fenolo non è più presente, bisogna poi

valutare anche la tossicità dei composti intermedi.

Abbiamo diversi fotocatalizzatori, quello più noto è il biossido di titanio: è stato

uno dei primi fotocatalizzatori ad essere scoperto e presenta una serie di

caratteristiche che ne consentono un largo impiego. Esistono poi altri

fotocatalizzatori che presentano caratteristiche simili o completamente diverse

dalla titania e possono risultare più efficaci in determinati processi.

Uno dei più largamente utilizzati è la TiO : esso viene attivato a partire dalle

2

radiazioni ultraviolette, è economico (per via dell’alta disponibilità) e molto

efficiente nei processi fotocatalitici; viene utilizzato (E171) per diversi prodotti

(es. prodotti alimentari, dentifrici, vernici).

Di un fotocatalizzatore bisogna conoscere la struttura cristallina: questo è

possibile tramite gli XRD (essa può dare anche indicazione se sulla superficie

sono presenti specie attive; con gli XRF si può valutare la percentuale di specie

attive presenti sulla superficie del supporto). Con gli XRD è possibile vedere il

reticolo cristallino (il tipo o se il materiale è addirittura amorfo); ricordiamo che

se vogliamo ottenere un dato catalizzatore si parte dai sali precursori e si

utilizza un certo metodo di sintesi (tipicamente ci si porta dai sali a degli

ossidi); il materiale viene sottoposto a calcinazione: viene portato ad alte

temperature -programmate, si specifica anche il tempo-. La calcinazione

provvede ad impartire una certa struttura cristallina al materiale, nonché ad

allontanare delle impurezze derivanti dalla preparazione: uno stesso processo,

con diverse proporzioni dei reagenti, può restituire risultati diversi con strutture

più o meno cristalline. Per la titania, variando la temperatura di calcinazione, è

possibile andare a riscontrare una certa forma allotropica piuttosto che

un’altra; la titania presenta tre forme cristalline: il rutilo, la brookite e

l’anatasio. La forma più impiegata è l’anatasio: essa è il polimorfo più stabile a

bassi valori di pressione e temperatura e risulta la forma cataliticamente più

attiva. Come faccio ad individuare la forma allotropica? Tramite gli XRD, ma

anche tramite la caratterizzazione Raman (si avranno diversi spettri per i vari

polimorfi). Per i fotocatalizzatori i metodi di caratterizzazione più impiegati sono

il BET e la spettrofotometria UV-Vis.

Ci sono anche altri tipi di fotocatalizzatori interessanti oltre la titania: un

esempio può essere l’ossido di zinco, particolarmente attivo in presenza di un

alto COD nelle acque reflue, il solfuro di cadmio è particolarmente attivo nel

processo di produzione di idrogeno tramite fotocatalisi (la fotocatalisi

eterogenea non trova solo applicazione nell’abbattimento dei contaminanti, ma

è impiegata anche nel processo di water splitting o elettrolisi dell’acqua; la

titania in particolar modo è stato il primo fotocatalizzatore ad essere impiegato

in tal senso).

Per quanto il fotocatalizzatore possa risultare stabile, occorre comunque

valutare la possibilità o meno di un rilascio di sostanze indesiderate a seguito di

un certo ciclo di utilizzi (ad esempio nel trattamento delle acque reflue, anche

in relazione all’utilizzo che si farà dell’acqua depurata).

La titania e l’ossido di zinco hanno

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Publisher
A.A. 2019-2020
10 pagine
SSD Ingegneria industriale e dell'informazione ING-IND/24 Principi di ingegneria chimica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher SilviaCai di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Processi chimici per le nanotecnologie e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Salerno o del prof Iervolino Giuseppina.