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La fotocatalisi eterogenea

La fotocatalisi eterogenea rientra perfettamente nei processi di ossidazione avanzata (AOP), ovvero tutti quei processi di ossidazione che avvengono a temperatura e pressione ambiente. Il vantaggio di questi processi è quello di operare in presenza di condizioni blande e che sono basati sull’utilizzo di specie ossidanti altamente reattive. Praticamente, questi processi sono in grado di produrre specie ossidanti come radicali ossidrili o altri, per esempio, radicali superossido che sono altamente reattivi e sono in grado di degradare sostanze difficilmente degradabili, per esempio sostanze biorecalcitranti (che non riescono ad essere rimosse con i convenzionali metodi di trattamento; parliamo sia di sostanze organiche, tipo i coloranti presenti tra i reflui dell'industria tessile oppure sostanze inorganiche, tipo metalli che si riscontrano sia nelle acque reflue che nelle acque di falda). L'efficacia del processo fotocatalitico dipende dalle caratteristiche del fotocatalizzatore ma anche dalle condizioni operative.

Principi della Green chemistry

Consideriamo ora i principi della Green chemistry; il processo fotocatalitico, infatti, essendo un AOP (opera in condizioni di temperatura e pressione ambiente, quindi condizioni blande) si può dire processo ecocompatibile e green anche perché non prevede altri tipi di reagenti: il fatto stesso di impiegare un fotocatalizzatore ci svincola dall’utilizzo di sostanze chimiche potenzialmente tossiche per la degradazione dei contaminanti. Se noi abbiamo dei contaminanti sia in fase liquida che gas, generalmente la rimozione chimica degli stessi viene effettuata tenendo conto di specifici reagenti, vedi processi di coagulazione o ossidazione che può essere effettuata a partire da cloro, permanganato di potassio ecc. (tanti reagenti a seconda del processo che vogliamo sfruttare per la degradazione di un contaminante che ovviamente vanno ad introdursi all’interno del sistema e quindi si vanno ad introdurre altri reagenti che potrebbero essere potenzialmente tossici e poi dal loro utilizzo potrebbe derivare la formazione di sottoprodotti di reazione che potrebbero essere più tossici del contaminante di partenza). Nel caso della fotocatalisi questa cosa non avviene: il fotocatalizzatore è la chiave della rimozione dei contaminanti indesiderati; si esclude la possibilità di impiegare altri agenti chimici e quindi la fotocatalisi può rientrare in un processo che va a rispettare i principi della Green chemistry.

  • È meglio prevenire la formazione di rifiuti che trattare o ripulire i rifiuti dopo che si sono formati.
  • I metodi di sintesi dovrebbero essere ideati per incorporare il più possibile nel prodotto finale tutti i materiali usati nel processo.
  • Se possibile, le metodologie di sintesi dovrebbero essere ideate per usare o generare sostanze poco o per nulla tossiche verso la salute umana e l'ambiente.
  • Dovrebbero essere ideati prodotti chimici che mantengano l'efficacia funzionale, riducendo la tossicità.
  • L'uso di sostanze ausiliarie (come solventi, agenti di separazione, etc.) dovrebbe essere reso non necessario se possibile e innocuo, se necessario.
  • I fabbisogni di energia dovrebbero essere valutati per il loro impatto ambientale ed economico e minimizzati. Le reazioni di sintesi dovrebbero essere condotte a temperatura e pressione ambiente.

In questa definizione rientra perfettamente la fotocatalisi; essa non solo può essere utilizzata per eliminare sostanze difficilmente rimovibili, ma può essere utilizzata anche per convertire sostanze in altre, quindi la sintesi di determinati composti in condizioni operative meno severe.

  • Una materia prima dovrebbe essere rinnovabile piuttosto che esauribile, quando ciò sia fattibile tecnicamente ed economicamente.
  • La formazione di derivati non necessari (blocking group, protezione/deprotezione, modifiche temporanee di processi fisico/chimici) dovrebbe essere evitata se possibile.
  • I catalizzatori (il più possibile selettivi) sono superiori ai reagenti stechiometrici.
  • I prodotti chimici dovrebbero essere ideati in maniera tale che alla fine della loro funzione non persistano nell'ambiente e si degradino in prodotti innocui.
  • È necessario sviluppare ulteriormente le tecnologie analitiche per permettere il monitoraggio in tempo reale durante i processi ed il controllo prima della formazione di sostanze pericolose.
  • Le sostanze usate in un processo chimico e la loro forma dovrebbero essere scelte in modo da minimizzare il potenziale per gli incidenti chimici (includendo emissioni, esplosioni ed incendi).

Catalizzatori: Omogenei e eterogenei

La fotocatalisi rientra anche con la definizione di catalizzatori che devono essere più selettivi possibile. I catalizzatori, in qualsiasi ambito della catalisi, possono in primo luogo essere distinti in catalizzatori omogenei o eterogenei:

Un catalizzatore è detto omogeneo se si trova nella stessa fase dei reagenti. Il vantaggio dei catalizzatori omogenei sta nel miglior contatto con i reagenti; questo è al tempo stesso uno svantaggio, perché è difficile separare e recuperare il catalizzatore alla fine della reazione. Un catalizzatore omogeneo risente molto delle condizioni in cui si trova, delle condizioni dell’ambiente: se noi abbiamo un catalizzatore omogeneo e questo opera in certe condizioni di pH, se si assiste durante il processo ad una variazione dello stesso, il catalizzatore potrebbe fare precipitato e quindi non può più esplicare la sua funzione - catalizzare la reazione.

Un catalizzatore è detto eterogeneo se non si trova nella stessa fase in cui sono presenti i reagenti. Può essere in forma di polvere o formato da un supporto (inerte o reattivo) su cui sono posizionati il catalizzatore vero e proprio, ed eventualmente composti per prevenire la sinterizzazione, oltre ad eventuali promotori (sostanze che agiscono in modo particolare migliorando o modulando la performance catalitica). Può essere più facilmente separato e poi riutilizzato più volte: questo implica dei benefici a livello di costi.

La sinterizzazione avviene in particolar modo nella catalisi tradizionale: ad alte temperature, si può verificare la formazione di un agglomerato e ciò comporta perdita di area superficiale e diminuzione di siti attivi. L’aggiunta di metalli limita il fenomeno. Nella fotocatalisi questo fenomeno non avviene in quanto le condizioni operative sono pressione e temperatura ambiente.

Il catalizzatore è dunque formato da un supporto e da una fase attiva; il supporto ha come compito quello di disperdere la fase attiva, dovrebbe presentare un’alta area superficiale. Non tutti i catalizzatori devono essere supportati e non tutti i supporti sono inerti alla reazione. La titania può essere adoperata senza supporto.

I materiali che fungono da supporti possono migliorare la distribuzione del catalizzatore: attraverso il supporto è possibile ottenere una distribuzione uniforme ed estesa della superficie catalitica, dunque una maggiore superficie specifica. Il catalizzatore può essere un materiale inerte (ad esempio l’allumina) o un ulteriore catalizzatore: nella fotocatalisi il supporto del fotocatalizzatore designato per il processo può essere un ulteriore fotocatalizzatore (il supporto tipicamente ha area superficiale alta mentre la fase attiva ha un’area superficiale più piccola).

Il supporto ha anche funzione meccanica: mantiene il catalizzatore nella zona dove deve avvenire la reazione, in particolar modo si vuole evitare la dispersione di fasi attive. Come supporto possiamo anche intendere un materiale macroscopico, non unicamente in polvere: esso non interviene nella reazione ma supporta la fase attiva; esso consente la separazione facile ed immediata del catalizzatore alla fine della reazione (esempio pellets di polistirene: ha natura meccanica, mantiene la fase attiva sulla sua superficie).

Caratteristiche dei supporti nella fotocatalisi

I supporti per la fotocatalisi devono presentare caratteristiche speciali: il catalizzatore deve assorbire luce, in quanto attivato dalla stessa, il supporto se macroscopico deve risultare trasparente alla radiazione; può accadere che il supporto sia costituito da un fotocatalizzatore in polvere contraddistinto da una più alta area superficiale: in questo caso vi può essere un effetto sinergico tra l’azione fotocatalitica del supporto e l’azione fotocatalitica del catalizzatore, quindi uniamo la funzionalità fotocatalitica di entrambi allo scopo di degradare i contaminanti.

Considerando i supporti macroscopici, dobbiamo avere che il materiale non debba assorbire luce perché limita l’assorbimento della stessa per la fase attiva, la quale si attiva in maniera meno funzionale (un esempio può essere il polistirene: funge solo da supporto meccanico, non assorbe luce; i supporti macroscopici sono tipicamente vetrosi o polimerici).

Un catalizzatore con supporto macroscopico viene rimosso in maniera più facile (ad esempio, basterebbe una griglia fine) dalla soluzione per poi essere impiegato più volte mentre un catalizzatore in polvere è più difficile da recuperare (ad esempio si può prevedere l’utilizzo di sistemi di filtrazione particolarmente costosi).

Fasi della fotocatalisi eterogenea

La fotocatalisi eterogenea può essere, come nel caso della catalisi classica, suddivisa in quattro fasi essenziali:

  • Trasferimento dei reagenti dal bulk alla superficie del catalizzatore.
  • Adsorbimento dei reagenti sulla superficie del catalizzatore, sui siti attivi che dipendono dall’area superficiale dello stesso.
  • Reazione chimica, nel caso della fotocatalisi possiamo fare riferimento a due meccanismi (quello più comune è quello di Langmuir Hinshelwood); la reazione avviene tra i reagenti adsorbiti e i reagenti adsorbiti e quelli che interagiscono con quest’ultimi senza essere adsorbiti sulla superficie catalitica.
  • Desorbimento dei prodotti.

Nella fotocatalisi l’aspetto limitante è sicuramente rappresentato dall’adsorbimento; per capire come avviene la degradazione fotocatalitica dei contaminanti occorre isolare il meccanismo di adsorbimento. Immaginiamo di fare un esperimento fotocatalitico: le lampade o la fonte luminosa non sono prontamente attivate, infatti non potremmo essere in grado di comprendere quando il contaminante è allontanato per adsorbimento o quando effettivamente è degradato. In primo luogo, quindi si fa avvenire l’adsorbimento in presenza di fonti luminose spenta al fine di non attivare il catalizzatore, avvengono solo le prime due fasi del meccanismo di adsorbimento. Ad un certo punto si andrà incontro ad un equilibrio di adsorbimento: tutti i siti attivi del ca...

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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher SilviaCai di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Processi chimici per le nanotecnologie e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Salerno o del prof Iervolino Giuseppina.
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