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Appunti e approfondimenti relativi allo studio del libro consigliato: “Officina ferrarese” Pag. 1
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Si condensa quindi questo sistema che stiamo studiando, che è un sistema di tardo Trecento che ha come

base l’elaborazione del linguaggio tardo giottesco sul quale si innestano alcune componenti (es. miniatura e

gotico internazionale).

Per quanto Longhi per ora non lo sviluppi molto il riferimento che fa a Siena, mette in relazione Giovanni di

Paolo e in particolare il San Giovanni Battista ai piedi della croce con l’altro Battista, il quale si presenta tutto

arcigno, spigoloso, trattato come se fosse inciso.

Ancora una volta stupisce la grande capacità di Longhi nel trovare una corrispondenza tra i due personaggi.

Uno si presenta più spigoloso, l’altro più addolcito, ma si capisce che la matrice è la stessa, che i due pittori

dialogano fra di loro.

Detto ciò, il libro fa uno scatto in avanti.

“Fin qui, dunque, si avverta, bolognesi, modenesi e padovani a Ferrara; ma nessuna pittura ferrarese

propriamente detta.”

Longhi dice che tutti gli artisti che abbiamo studiato finora (bolognesi, modenesi, padovani) sono a Ferrara,

ma nessuna pittura ferrarese è propriamente detta.

Finora ci ha parlato di un affluire a Ferrara di artisti che vengono da fuori.

“Un altro affresco della Mostra (M 5) comprende due scene, l'una con l'Incoronazione della Vergine, l'altra,

frammentaria, con una Adorazione dei Magi.”

Un altro affresco della mostra comprende due scene: in una troviamo l’incoronazione della Vergine e

nell’altra, frammentaria, l’adorazione dei Magi (ciò che è rimasto è solo la madonna col bambino, ma si

intuisce che si tratta di una scena rappresentante l’adorazione dei Magi).

“Il catalogo le accomuna entrambe sotto la denomina di «Frescante della fine del '300»; ma i due brani

rivelano due pittori diversi. L'autore dell'Incoronazione sembra uno scarso seguace delle maniere veronesi

dei tempi di Turone [maestro veronese]; l'altro, della Madonna col Bambino adorati dai Magi (tav. 9), è un

maestro bellissimo, tipicamente «padano», cugino spirituale di Tommaso da Modena, di Altichiero, sebbene

non identificabile con alcuno dei migliori trecentisti settentrionali conosciuti fin oggi.”

Lui vede due mani diverse, da una parte una mano veronese dall’altra, che più ci interessa, vede un maestro

che ricorda Tommaso da Modena, Altichiero, del quale dice:

“Che intensità fisionomica, che verità particolare di persona e di momento nel viso vivace, guardingo della

Vergine.”

Guardando le due Vergini con gli occhi di Longhi, notiamo la differenza: la Madonna dell’incoronazione va in

una direzione di maggiore soavità e dolcezza, mentre più vispa e incisa la Madonna col Bambino.

Mentre anche dal punto di vista della resa naturalistica il rinascimento italiano è molto più sintetico si pensi

a Masaccio dove non c’è quasi paesaggio (nel tributo della Cappella Brancacci c’è solo uno sfondo di

montagne) in Van Eyck vediamo esattamente il contrario: se c’è un albero lo disegna foglia per foglia, su

ogni foglia c’è un colpetto di luce e su ogni colpetto di luce un riflesso etc. La

prospettiva italiana è un concetto mentale perché nessuno vede come Brunelleschi dove tutto è

equilibrato, tutto rientra mentre la realtà è molto più confusa, è piena di interferenze rispetto a quella

costruzione concettuale che è il rinascimento fiorentino e che è qualcosa che non ha riscontro nel reale.

Tutto sommato le città ideali del rinascimento italiano sono delle proiezioni mentali di un ordine, di una

composizione perfetta ed equilibrata con un solo punto di fuga intorno al quale ruota tutto; i fiamminghi

non fanno così ma continuano anche in piena rivoluzione rinascimentale a mantenere forte il senso della

mutevolezza e della particolarità del reale di loro infatti si dice che sono “amanti dei particolari” ma è

riduttivo dire ciò in quanto dietro c’è proprio una diversa concezione del modo di guardare al mondo: nella

concezione fiamminga abbiamo un’attenzione alla dispersione visiva mentre gli italiani cercano la

concentrazione visiva. Questa tendenza fiamminga alla dispersione nei particolari ha un sostrato filosofico

di collegamento con il mondo medievale, il rinascimento nordico non taglia mai i ponti con ciò che c’è stato

prima; invece è più radicale la differenza nel rinascimento fiorentino italiano, non che personaggi come

Brunelleschi, Donatello o Masaccio volessero rinnegare tutto ciò che era venuto prima ma sicuramente

dare una svolta sì.

Tornando a Longhi: è vero che la Madonna col Bambino ha a che fare con questa cultura, che non conta

sulla dolcezza delle forme, ma sulla forza espressiva di quelle forme.

“Appartiene ancora al Trecento, fra le pitture esposte, la serie di Santi, resti di un polittico (M 11) già nella

Chiesa di San Paolo.”

Il libro continua dicendo che appartiene ancora al Trecento la serie di Santi (sono 16; nel catalogo del 1933

possiamo osservarne alcuni).

Longhi prende in esame questi Santi provenienti dalla Chiesa ferrarese di S. Paolo, probabilmente facenti

parte di un unico insieme (polittico).

[Il polittico con santi datato 1369-1385 e attribuito a Stefano Veneziano, proveniente dalla chiesa di S. Paolo

a Ferrara e oggi conservato nella Pinacoteca di Ferrara di Palazzo dei Diamanti.]

Il catalogo del 1933 dice che: per l’altezza delle figure, i caratteri dello stile, le tavolette delle tre Sante e

quelle dei santi Lorenzo e Stefano (riconoscibile dalla presenza della graticola sulla quale fu martirizzato),

secondo il catalogo si differenziano dalle altre, che sembrano collegate con l’arte veneta, tanto che tutta la

serie è stata tutta attribuita a Lorenzo Veneziano.

Se le sedici tavolette formarono un solo polittico è dunque da supporre che questo fosse dovuto alla

collaborazione di almeno due artisti.

Nel catalogo questa serie di tavolette viene collocata in area venta, ma non attribuite alla stessa mano.

Longhi scrive:

“Nota il catalogo che le figure femminili ed anche i Santi Lorenzo e Serafino [Stefano] paiono staccarsi dalle

tavole rimanenti con le figurazioni di altri santi anziani, più arcigni.”

Il catalogo dice che le tre figure femminili e i santi Lorenzo e Stefano paiono staccarsi dalle parti rimanenti;

potremmo dire che questi sembrano figure più dolciastre, con tratti più dolci, mentre le altre sembrano

essere più caratterizzati.

Secondo Longhi invece, osservando quindi questi personaggi (le tre sante e i santi Lorenzo e Stefano) ci

sembrano avere un po' la stessa faccia in pose un po' diverse e a furia di guardarle Longhi dice

“Ma, a guardar meglio, la varietà è quella degli schemi di rigore che ogni pittore di tradizione bizantina

s'affaticava ad imporre alla figurazione umana, una specie di classismo non fra i sessi soltanto, ma fra le età

dell'uomo.”

Vediamo quindi chi è Stefano veneziano.

“tanto conclusivi sono i legami di queste figure con quelle del trittico firmato da Stefano, e datato 1385, in

San Zaccaria di Venezia. Una data come questa può servire, con un minimo scarto, anche per i sedici santi di

Ferrara.”

È chiaro che un pittore del 1385, ormai di fine secolo, che ha una matrice bizantina si lascia un poco

trasformare dai tempi nuovi, ma la sua matrice resta quella.

Quando ci spostiamo su Venezia, diversamente da quando ci manda a Padova, a Modena o Bologna,

incrociamo sempre una cultura dominata dalla componente bizantina.

Anche in questo caso, osservando l’insieme del polittico, notiamo come i polittici veneziani siano inscindibili

da queste ricchissime cornici dorate e intagliate.

Osservando le figure per fare il confronto, notiamo i Santi che gli hanno fatto capire che si trattasse di un

pittore come Stefano veneziano, o se non proprio di lui, perché dice “Tutto mi torna, sono di fronte ad una

mano che somiglia a questa.”.

Osservando l’opera possiamo vedere come il tono dolce della Madonna al centro di questo trittico possa

ricordare le Sante che avevano ingannato gli estensori del catalogo, facendogli pensare che si trattasse di

due artisti diversi.

Essendo firmata e datata l’opera, è una prova che una cosa è la rappresentazione della figura femminile,

altro è quella della figura femminile.

Entriamo in un altro ragionamento…

“Dal cadere del Trecento fin circa il 1440 fu, anche per Ferrara, il tempo di quell'arte ricercata, studiosissima

di verità anche superficiali, di affetti e più di affettazioni, che circola in tante regioni d'Italia e di fuori, e che si

è perciò d'accordo a chiamare «gotico internazionale», sebbene proprio l'Italia abbia recato a quel moto

tanto complesso un apporto inconfondibile e ricco di umori personali.”

Il tardo gotico è un linguaggio di vasta distribuzione geografica, però è anche vero che l’Italia ha un tardo

gotico diverso (rispetto a quello che si ha in Germania, in Francia, in Olanda e altrove) cioè un tardo gotico

che non sacrifica mai del tutto la componente spaziale.

Il tardo gotico, difatti, altera un po' la componente dello spazio razionale se si pensa al proliferare di guglie,

pinnacoli tipiche del tardo gotico maturo: il gotico italiano non è come quello francese, per esempio, della

Sainte-Chapelle dove si vedono solamente le ossature e poi tutte le travi mentre la basilica di San Francesco

ad Assisi mantiene invece un suo muro e sul muro c’è l’affresco.

Quindi c’era in Italia una tradizione di conservazione della spazialità che invece era andata persa in altre

regioni d’Europa, in altri territori europei.

Quindi Longhi ora sta dicendo che da questo momento in poi, ovvero dalla fine del Trecento fino ai primi

quarant’anni del Quattrocento, anche in Italia vivono fianco a fianco il tardo gotico e la nuova arte

proto-rinascimentale e poi rinascimentale.

Non è che ad un certo punto arrivano i tre personaggi famosi (Donatello, Brunelleschi e Masaccio) e tutti gli

altri spariscono, a cominciare dal famoso concorso del 1401 per le porte del Battistero che fu vinto non

dall’avanguardia ma dalla cosiddetta “retroguardia” (ovvero Ghiberti); questo ci mostra come in realtà il

linguaggio dei nuovi, dei giovani non si affermi radendo al suolo tutto ciò che c’è prima.

Per cui, come dice Longhi, dalla fine del Trecento fino agli anni Quaranta del Quattrocento, la nuova cultura

quella umanistica, rinascimentale va di pari passo, e talvolta soccombe, alla cultura tardo gotica.

Allo stesso modo lo stesso Masaccio divise il lavoro per la cappella Brancacci con Masolino ma fu Ma

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Publisher
A.A. 2023-2024
5 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/04 Museologia e critica artistica e del restauro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ChiG01P di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Metodologie comparate della critica d’arte e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli o del prof Vargas Carmela.