vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Santa Maria di Popolo, la Cappella Cerasi di Michelangelo Merisi. In quel caso, se prendiamo San Luigi dei
Francesi, tutte le questioni furono sollevate e si accanirono sul quadro d’altare: lì c’era un San Matteo con
l'angelo che venne rifiutato a Caravaggio sicché ne dovette fare un altro. Non meno la cappella Cerasi sul
capo altare ha Annibale Carracci, quindi l'Ascensione della Vergine di Annibale Carracci, dove Caravaggio
interviene sulle pareti laterali.
Ora, il valore di posizione ha storicamente avuto un peso rilevantissimo. Se si pensa che quando il cardinale
Paleotti, alla fine del cinquecento, Paleotti è l'autore di un trattato sugli errori dei pittori che scrive nel 1582,
quel trattato si riferisce soprattutto agli errori di Michelangelo (Caravaggio), ma di tutti i pittori che non
rispettino le norme fissate dalla cultura della controriforma in materia di soggetto possibile da
rappresentare, quindi è un decalogo di quello che i pittori possono fare e di quello che devono evitare e fa
parte di tutta un'abbondante letteratura controriformistica
che risponde a una disposizione di una sessione del Concilio di Trento, una sessione tardiva, era quasi
Natale nel 1563, i cardinali dedicano due righe del Concilio di Trento, quindi una breve discussione, alle
immagini. Però fanno una cosa che avrà una ricaduta enorme sulla letteratura artistica perché delegano il
controllo delle immagini sacre ai vescovi locali, per cui il potere centrale, i teologi del Concilio di Trento, non
si assumono una responsabilità diretta ma decentralizzano il controllo delle immagini. Naturalmente non è
un atto di generosità, ma è il contrario, è la possibilità di avere un controllo capillare sul territorio affidato ai
vescovi. Questo, inutile dirlo, genera il proliferare di una letteratura artistica controriformistica, cioè trattati
sugli errori dei pittori o semplicemente normative su come bisogna regolarsi in fatto di materia religiosa,
che imbattono tutta l'Italia almeno dal 1560 in poi. Detto ciò, Paleotti, in questo caso che scrive nel 1582,
aveva addirittura aspirato all'ipotesi di fare un indice dei quadri proibiti, così come c'era un indice dei libri
proibiti. Ma l'idea
fu respinta dalle cariche ecclesiastiche perché si pensò che mentre bruciare i libri era un affare piuttosto
privato perché si può dare poco clamore a un rogo di libri mentre spiccare un quadro dall'altare,
trasportarlo per la città in un posto dove lo si deve incenerire, genera molto più trambusto e attenzione che
non bruciare nascostamente i libri.
Allora Palerotti rinuncia all'idea di un indice e il controllo delle immagini religiose diventa ancora più
capillare ed è lì che si parla del valore di posizione e cioè la casistica investe non soltanto certi artisti e certi
soggetti ma anche il posto in cui si trovano. C'è un decorum, il decoro del luogo. Il decorum, in questa
mentalità controriformistica, è sostanzialmente la pertinenza dell’oggetto alla sua destinazione. E questa
destinazione può essere una destinazione di luogo, o una destinazione d'uso, una destinazione di tempo e
così via.
Per esempio, è un errore di decoro che Caravaggio abbia messo dentro la cena in Emmaus, quella che oggi è
nella Pinacoteca di Brera, un certo frutto fuori stagione, perché quando avviene la cena in Emmaus non può
essere fiorito quel frutto.
Si tratta di una potentissima limitazione della fantasia, del <<capriccio>>. Dovevano limitare il capriccio, la
fantasia dei pittori. Allora, lì c'è un errore di decoro in termini di tempo, non è rispettato il tempo storico in
cui avviene la cena in Emmaus e quindi ci sono dei frutti fuori stagione su quel tavolo. C'è anche un decoro
di luoghi, Michelangelo è un grande artista ed eccelle nel nudo, come si sa da Vasari in poi, ma i suoi nudi
della Cappella Sistina commettono un errore di decoro rispetto al luogo in cui sono stati figurati, se quella
fosse una cappella di un privato committente, si può circondare di tutti i nudi che vuole, non disturba la
cosa ai teorici della controriforma; ma c'è un oltraggio del luogo, un peccato di decorum rispetto al luogo, se
quei nudi sono collocati in una cappella papale. Questo è il decoro e dentro questa casistica si parla dei
valori di posizione dei dipinti,
non va bene il San Matteo e l'Angelo della Cappella Contarelli perché appena entri in quella cappella di San
Luigi dei Francesi è la prima cosa che vedi, si ha di fronte, i laterali non sono meno scandalosi di come
apparve il San Matteo e l'Angelo, ma stavano sui lati e dunque non avevano quella centralità di posizione
che li rendeva così sospetti alla cultura della Controriforma, tanto da inficiarne la messa in opera e la
continuazione delle esposizioni
dell’altare e così via. Ci sono molti di questi errori di posizione, oppure di queste collocazioni, che finiscono
col favorire gli artisti, perché essendo dei laterali sono meno sotto l'occhio della censura.
Dunque, il valore di posizione che invoca Longhi a queste date invece quattrocentesche per motivi
cronologici non può avere a che fare con quello che questa categoria di valore di posizione prenderà nel
500, quindi qual è il riferimento concettuale che ha in mente Longhi quando parla di una coerenza di questi
tre tondi, di questi medaglioni, questa collana che si articola alla base dell'opera.
Perché di valore di posizione lui parla, ce lo dimostra, ed è un valore di posizione, non della natura
contenutistica di cui abbiamo appena parlato, perché abbiamo parlato di come questa categoria si evolve
nel tempo e determina una certa letteratura. Ma da dove proviene il valore di posizione? Qual è il
riferimento nel quattrocento, quale storico ha parlato di composizione, quale teorico ne ha parlato, c'è già
uno dei libri fondamentali della teoria artistica quattrocentesca che è il De pictura di Leon Battista Alberti,
siamo nel 1436, quella è l'opera che fonda. Dei valori della composizione, di logica della historia, di
simmetria delle parti, la letteratura artistica quattrocentesca è piena, sostanzialmente, c'è un filone che
parte da Leon Battista Alberti e che arriva poi ai trattati matematico-prospettici di fine secolo.
Quindi il valore di posizioni invocato da Longhi sta tutto nella logica della fisicità dell’operanon sta nella
logica del contenuto educativo dell'opera, come sarà successivamente, perché si parte dalla fine per
misurare la differenza di questo concetto che è un concetto antico, decoro, citato nella versione
cinquecentesca, deriva dalla formula
“id quod decet”, ciò che è coerente, ciò che è decoroso, che è uno dei canoni dell'antichità
classica, l'armonia, la coerenza, eccetera. Ma il concetto si evolve nel tempo, attraversa la letteratura
artistica e Longhi lo usa nel senso tutto quattrocentesco di historia, compositio, venustas che sono i termini
usati da Leon Battista Alberti e dai trattati teorici, De pictura, De architectura, il De statua, insomma lui è un
intellettuale impressionante per il numero di opere che ha scritto. questo è il riferimento Per cui il tema
dell’unità dell’opera è un tema importante, perché non è scelto a caso, queste parole sono le parole degli
studi, come dice lui, cioè parole di bottega, le chiama di bottega, ma dalla bottega passano alla critica d'arte.
Lui non ci ha detto che tutto ciò c'è in Alberti, lo dobbiamo sapere perché nell'espressione che ha usato di
unità dell'opera (che si tende a denominare coerenza dell'opera modernizzando il termine, ma l'espressione
unità dell'opera oggi suona antiquata rispetto alla coerenza compositiva)
non l’ha fatto a caso ma l'ha fatto perché è andato a pescare il concetto di unità dell'opera dentro la
letteratura artistica contemporanea e lo si trova nella letteratura artistica del primo quattrocento, dominata
dalla figura di intellettuale di Leon Battista Alberti. Quindi attenzione perché quelle norme che sono tutte
norme di tipo fisico, di composizione materiale dell'opera, non hanno niente a che vedere con i contenuti
che essa deve trasmettere, sono perfettamente in linea anche con un altro aspetto
Perché sempre nella letteratura artistica contemporanea cioè Alberti, un altro dei valori chesi suggeriva ai
pittori che volessero fare un'arte aggiornata e moderna, oltre a quelli già citati come la venustas, la bellezza,
la compositio, la coerenza, quella che stiamo chiamando unità dell'opera, c'era anche la varietas. Il pittore
non doveva annoiare, noi diremmo, il riguardante,
doveva salvaguardare la meraviglia del riguardante, la meraviglia, che è un termine antico, è quello che noi
oggi chiamiamo la sorpresa, la novità, la sensibilità che abbiamo al colpo di genio dell'artista che non replica
sé stesso, per esempio, quando si vede troppo uno stesso artista, dopo un po' ci si stanca, perché se ne
riconosce la formula, ripetuta all’infinito. Viceversa se si va a vedere una mostra di Picasso, non ci si annoia
mai, perché ti piaccia o no il pittore, cambia continuamente. Ecco questi valori erano ben noti anche alla
letteratura artistica antica e proprio Alberti suggeriva che i pittori variassero la gamma delle sfumature del
loro stile quindi non che dovessero abbracciare un'altra maniera stilistica ma certamente dovevano forzare
la loro tendenza, la loro vocazione stilistica a esprimersi nella varietà possibile a loro stessi; e allora letta così
la differenza di stile di queste tavolette rispetto alla tavola centrale non appare così incompatibile, c'è un
valore di posizione, ovvero stanno da un'altra parte, hanno una funzione diversa, perché hanno una
funzione narrativa: la predella ha sempre una funzione narrativa, nel centro sono rappresentati i
protagonisti della storia ma la storia poi è raccontata sotto nella predella come un romanzo a vignette, a
puntate, come una collana decorativa, come dice lui, dei medaglioni che sono delle memorie dei fatti
principali, quindi una diversa funzione, una diversa collocazione e perfino una variazione stilistica per cui
non può fare nelle storielle quella durezza che ha nella parte centrale che è volutamente idolatrica, lui ce
l’ha descritta come di un idolo antico che sta lì, non parla, non si muove, sta semplicemente di
fronte a noi, è salomonica. Per cui ci ha evocato tutta una serie di parole della stasi, ma della stasi che è
frutto di una cristallizzazione della ma