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DALL’ANALOGICO AL DIGITALE

Il terzo millennio è considerato il periodo della rivoluzione digitale.

Protagonista di questo periodo è l’immagine digitale.

La digitalizzazione porta con sé una serie di problematiche:

Mette in discussione il concetto di indicalità (immagine

 indice): il rapporto fra l’immagine, la realtà e il suo referente.

Passaggio dallo statuto chimico-fisico (pellicola) a quello

 matematico (digitale): si parla di EPOCA POST-

FOTOGRAFICA.

Le immagini digitali possono avere un potere distruttivo e

catastrofico, perché possono manipolare facilmente la realtà.

Ci possiamo domandare, quindi, se il passaggio da analogico a

digitale è davvero un cambiamento epocale (una rivoluzione)

oppure è la sola fotografia analogica a dover essere ritenuta

l’autrice di questo cambiamento.

Se così fosse non dovremmo parlare di cambiamento, ma di

trasformazione. Cambia il supporto, ma non cambia il rapporto tra

immagine, realtà e punto di vista.

Mitchell contraddice tale pensiero affermando che “per quanto

un’immagine digitale possa essere simile ad una fotografia

pubblicata su un giornale, differisce profondamente da una

fotografia tradizionale quanto questa differisce da un quadro”.

Quindi, con il digitale la realtà potrebbe esistere solo nella testa del

fotografo, così come lo era nell’immagine icona.

Il presupposto di attendibilità dell’immagine sembra che, secondo

Mitchell, si sposti dalla foto al suo realizzatore. Quindi, il principio di

autorevolezza non sta più nel mezzo ma nell’esecutore

dell’immagine.

Uno dei problemi del passaggio dall’analogico al digitale è la

mancanza di certezza che il supporto chimico-fisico della pellicola

dava. E’ proprio per questo che la fiducia deve

essere riposta in chi scatta la fotografia.

L’immagine indice, nell’analogico, è l’immagine che porta con sé il

suo referente: quello che noi vediamo è la dimostrazione che nel

passato, quella stessa cosa, è esistita veramente.

Quello che viene a mancare nel passaggio dall’analogico al digitale

è la possibilità di considerare l’immagine come indice. Questo

perché l’immagine nel digitale passa da essere immagine indice ad

immagine icona.

L’immagine icona presuppone l’utilizzo di codici che permettano di

interpretare il messaggio. C’è distacco tra la raffigurazione visiva e

la realtà assoluta, ossia quella che esiste a prescindere

dall’intervento umano.

Non tutti pensano che il passaggio dall’analogico al digitale possa

rappresentare un’epoca post-fotografica. Tra i vari autori troviamo

Marra con il suo libro “immagine infedele”.

Per Marra la fotografia digitale è una falsa rivoluzione, che rientra

nel conflitto tra il vecchio e il nuovo. Marra analizza la divisione tra i

nostalgici dell’analogico e i sostenitori del digitale.

APOCALITTICI: temono che il passaggio dall’analogico al digitale

possa far terminare la funzione della costruzione dell’identità

personale e sociale dell’immagine fotografica. Credono che il

digitale possa rappresentare la morte della fotografia e della pratica

fotografica. Per gli apocalittici,

l’analogico è un mezzo emotivo e sincero in relazione alla realtà; il

digitale invece è un mezzo freddo e apatico.

Per Marra la fotografia continua a conservare la sua funzione,

nonostante questo passaggio da analogico a digitale. Anzi, il

digitale per certi aspetti può amplificare le capacità emozionali.

L’introduzione di nuove tecnologie dà nuovo vigore alla pratica

fotografica.

La vera questione su questo passaggio è il CONCETTO DI VERITA’,

che gira intorno al referente.

Per gli apocalittici, la fotografia analogica è priva di manipolazioni, a

differenza di quella digitale che porta ad una perdita di oggettività.

Per gli integrati, il digitale offre nuove possibilità di interpretazione

della realtà. Inoltre, offre una nuova forma di linguaggio.

Marra si colloca tra gli apocalittici e gli integrati (coloro favorevoli al

digitale).

Per Marra si assiste ad una conversione dei vecchi media

analogici. Non c’è alcuna perdita della realtà con il digitale.

In particolare, dice: “le fotografie di

viaggio digitali continueranno a testimoniare che noi in quel posto ci

siamo effettivamente stati né più né meno di quanto riuscivano a

fare le vecchie diapositive con le quali allietavamo le serate di

malcapitati amici al termine delle vacanze. La stessa cosa si può

dire per le fotografie di cosiddetti momenti topici della vita

familiare: nascite, battesimi, compleanni, matrimoni. Si potrà dire

che questi eventi sono veramente accaduti perché una fotografia,

seppur digitale, lo testimonierà.”

Quindi per Marra non c’è nessun passaggio epocale/rivoluzionario.

Si mantiene lo stesso concetto di verità, perché

l’immagine continuerà a testimoniare che il suo referente è esistito

ed era reale, a prescindere dalla forma con il quale viene scattata.

Inoltre, Marra sostiene che il cuore delle macchine fotografiche

digitali è di tipo analogico. Se la pellicola è ricoperta da

un’emulsione fotosensibile (sensibile ai raggi della luce), il sensore

è un microchip in silicio ricoperto da piccoli elettrodi che addensano

gli elettroni sulla base della quantità di luce che li colpisce. Quindi, il

sistema secondo Marra è analogico per entrambe le macchine.

La differenza tra i due è che, nel digitale, esiste un sistema che

trasforma un segnale analogico in un sistema digitale, ovvero c’è un

sistema che passa da un messaggio continuo (analogico) ad uno

discontinuo o discreto.

Questo non significa che si perda la qualità e la capacità

dell’immagine di veicolare un’informazione e il suo rapporto con la

realtà.

Il messaggio continuo è un messaggio che non ha bisogno di un

codice per essere interpretato, al contrario del messaggio

discreto.

Da tale differenza ci si ricollega alla distinzione di Pierce tra

immagine indice e immagine icona.

Immagine indice: immagine che porta con sé il suo referente, che

non ha bisogno di un codice per essere interpretata.

Immagine icona: immagine che ha bisogno di regole interpretative

che sono legate ad un codice.

Da qui la distinzione tra l’analogico (messaggio senza codice,

continuo, che produce un’immagine indice) e il digitale (messaggio

che ha bisogno di una codifica, messaggio discreto o discontinuo,

che produce un’immagine icona).

Per Marra, nonostante la fotografia passi da indicale a iconica, non

vuol dire che l’immagine digitale non mantiene il suo rapporto con

la realtà. Questo è vero se si fa riferimento all’immagine diretta,

ovvero che non passa da una mediazione.

Nel momento in cui facciamo riferimento a programmi di

manipolazione digitale, che permettono di cambiare la realtà, allora

qualche problema può avvenire.

La trasformazione, secondo Marra, avviene a livello di supporto ma

non a livello di rappresentazione (quello che vedo è quello che è

stato).

Però è difficile pensare che la fotografia digitale non cambi niente

nel suo rapporto con la realtà.

Lo sviluppo tecnologico sta vanificando la distinzione di fondo che

esisteva tra un’immagine fotografica e un’immagine pittorica. Con

l’immagine digitale si può dire che il referente si sia staccato dal

suo supporto. Ciò annulla il concetto di registrazione oggettiva e

incontrovertibile della realtà, però diversamente dalla pittura,

l’immagine simula il più possibile la realtà.

Davvero la scomparsa della pellicola, che viene sostituita da un

supporto digitale, è la fine di un’epoca? C’è chi pensa che la

fotografia digitale porti con sé un paradosso.

Lev Manovich dice che il digitale non solo non uccide l’analogico,

ma addirittura lo rinvigorisce (es. il ritorno al vinile, alla polaroid).

Per i denigratori del digitale c’è una notevole differenza di

risoluzione dell’immagine tra l’analogico e il digitale. Ovvero si

assiste a quello che Mitchell definiva un impoverimento

qualitativo, quantitativo e culturale dell’immagine.

Manovich afferma però che “l’evoluzione tecnologica risolverà il

problema dell’impoverimento qualitativo”.

Per quanto riguarda l’impoverimento culturale, il

digitale porterà ad un aumento dell’informazione, una divulgazione

maggiore e un migliore accesso allo strumento fotografico.

Un’altra questione che solleva Mitchell è il ruolo della

manipolazione. Nonostante ammetta che già in tempi

analogici era possibile manipolare l’immagine in camera oscura,

Mitchell sostiene che la vera immagine fotografica è quella diretta,

non manipolata, che esce dalla pellicola.

Al contrario, la fotografia digitale indiretta provoca una frattura

culturale, essendo molto più simile alla pittura e quindi riferibile al

mondo dell’immaginario.

Manovich, invece, afferma che la fotografia diretta non è mai

esistita. Anche in epoca analogica esisteva la

manipolazione (soprattutto in ambito pubblicitario/propagandistico).

Anche la distinzione tra pittura e fotografia è sempre stata una

distinzione falsa. Inoltre afferma come il 3D (la realtà virtuale) possa

essere ancora più realistico di una tecnica analogica, nonostante sia

una tecnica digitale.

DIGITALIZZAZIONE E RICERCA VISUALE

Sociologici come Harper si sono interessati ai nuovi supporti digitali,

ma nello studio di questi bisogna stare attenti a non privilegiare i

contenitori rispetto ai contenuti.

La digitalizzazione si concentra su 4 caratteristiche: condivisione,

autonomia, economia e multimedialità.

I prodotti multimediali sui CD-ROM consentono una fruizione più

libera da parte degli utilizzatori, ovvero permettono di costruire

percorsi personalizzati. Harper sottolinea che questi prodotti

possono contenere un incredibile numero di immagini gestite

attraverso sistemi di catalogazione.

La digitalizzazione trasforma il rapporto tra oggetto culturale,

creatore e fruitore perché i nuovi media diventano soggetti e

oggetti della produzione culturale ovvero il medium diventa a sua

volta oggetto culturale.

Per questo motivo, i nuovi media non vanno considerati solo come

mezzi pi&ugra

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Scienze politiche e sociali SPS/08 Sociologia dei processi culturali e comunicativi

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher vani07 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia visuale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Siena o del prof Nasi Lorenzo.
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