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La cancellazione produce l’estinzione della società, con la conseguenza che da tale momento i
creditori non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, nonché dei
liquidatori che abbiano causato per propria colpa il mancato pagamento (art. 2313).Al fine di evitare
possibili frodi per collusioni fra liquidatori e soci a danno dei creditori, i creditori insoddisfatti
potranno chiedere il fallimento della società entro un anno dalla sua cancellazione dal registro
imprese.
SEZIONE IV → la società in accomandita semplice 1. Nozione
La presenza di due distinte categorie di soci caratterizza la sas: i soci accomandatari, che
rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali; i soci accomandanti, che
rispondono nei limiti del proprio conferimento (art. 2313). La disciplina di questo tipo sociale non
si discosta in buona sostanza da quella della snc, a cui è fatto espresso rinvio (art. 2315), se non per
il correttivo dovuto all’introduzione dell’elemento capitalistico della partecipazione dei soci
accomandanti, limitatamente responsabili.
La distinzione fra soci accomandatari e accomandanti si pone come elemento d’identità di tale tipo
societario, anche se l’organizzazione dei poteri di gestione non assume, in questo tipo sociale,
alcuna connotazione di carattere corporativo, come accade invece per la società in accomandita per
azioni. E’ solo fatto divieto all’accomandante di ingerirsi nell’amministrazione della società
(divieto di immistione), attesa la sua qualità di socio a responsabilità limitata: la funzione gestoria
è riservata in via esclusiva ai soci accomandatari, in funzione della responsabilità illimitata e
solidale di questi ultimi. La sas è dunque uno strumento utile per convogliare mezzi finanziari
necessari allo svolgimento di attività economiche da parte di piccole e medie imprese, anche se
nell’attuale sistema la sua diffusione è limitata, dal momento che una qualsiasi violazione del
divieto di immistione espone l'accomandante, oltre alla perdita del beneficio della responsabilità
limitata, anche al rischio del fallimento “in ripercussione” in caso di dichiarazione di fallimento
della società (art. 147 l. fall.).
2. L’atto costitutivo e la ragione sociale
L’atto costitutivo della sas deve indicare, oltre gli elementi di cui all’art. 2295, i nomi dei soci
accomandatari e dei soci accomandanti (art. 2316). Esso è soggetto a pubblicazione mediante
iscrizione nel registro imprese con le modalità previste per la registrazione dell’atto costitutivo di
snc (art. 2296).
Un aspetto peculiare all’accomandita riguarda la formazione della ragione sociale. Questa deve
comprendere il nome di almeno uno dei soci a responsabilità illimitata (accomandatari) con
l’indicazione di società in accomandita semplice anche abbreviata (sas), salva, come avviene per le
snc, la possibilità di conservare nella ragione sociale il nome del socio receduto o defunto. In essa
può figurare anche il nome di un accomandante, se vi consente, ma in tal caso egli “risponde di
fronte ai terzi illimitatamente e solidalmente con i soci accomandatari per le obbligazioni sociali”.
Il consenso dell’accomandante a che il proprio nome figuri nella ragione sociale si presume
quanto nel senso che sarà tenuto a dimostrare la propria ignoranza circa l’inclusione del suo nome
nella ragione sociale medesima.
La perdita del beneficio della responsabilità limitata da parte dell’accomandante è qui generalmente
giustificata in ragione dell’affidamento che i terzi ripongono in ordine alla responsabilità illimitata
a cui è soggetto, nelle società personali commerciali, il socio il cui nome compaia nella ragione
sociale.
3. L’amministrazione della società
Divergenze di notevole rilievo distinguono la sas dalla snc in ordine all’attribuzione dei poteri di
gestione. L’art. 2318 dispone che “l’amministrazione della società può essere conferita solo a soci
accomandatari”. I soci accomandanti sono esclusi dall’amministrazione della società. Per tali
soci l’art. 2320 prevede l’espresso divieto, rigorosamente sanzionato e già riferito, di ingerirsi
nell’amministrazione. I soci accomandanti concorrono invece alla nomina e alla revoca degli
amministratori nominati con atto separato. I principi che presiedono all’attività gestoria e ai poteri
di rappresentanza sono gli stessi previsti per gli amministratori di snc.
Gli amministratori, scelti fra i soci accomandatari, sono nominati nell’atto costitutivo o con atto
separato. In questo ultimo caso, salva diversa disposizione dell’atto costitutivo, per la nomina degli
amministratori e per la loro revoca “sono necessari il consenso dei soci accomandatari (tutti) e
l’approvazione di tanti soci accomandanti che rappresentino la maggioranza del capitale da essi
sottoscritto” (art. 2319).
Da ciò conseguono due corollari:
a) alla revoca degli amministratori nominati nell’atto costitutivo si applicano le disposizioni previste
per la snc;
b) l’accomandante potrà chiedere giudizialmente la revoca degli amministratori per giusta causa
(art. 2259).
4. L’accomandante e il divieto di immistione
La distinzione dei ruoli che, nell’accomandita, competono all’una e all’altra categoria di soci
inibisce all'accomandante l’attività gestoria. L’art. 2320, nel disciplinare il relativo divieto di
immistione, stabilisce che i soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né
trattare o concludere affari in nomi della società. Ciò significa, per un verso, che agli accomandanti
è impedito l’esercizio di quei poteri di amministrazione, sia esterna sia interna, che a titolo
originario spettano per legge agli accomandatari; per altro verso, che detti poteri gli accomandanti
non possono esercitare neppure in forma delegata mediante attribuzione di mansioni institorie. E’
fatta salva solo la possibilità per gli accomandanti di compiere singoli affari in forza di procura
speciale.
La violazione del divieto comporta per il socio accomandante due sanzioni:
a) la perdita del beneficio della responsabilità limitata;
b) la possibile esclusione (volontaria) dalla società, a norma dell’art. 2286.
Mentre quest’ultima sanzione è solo eventuale e dipende dalla volontà degli altri soci, la prima è
automatica e necessaria: il compimento anche di un solo atto di gestione rende responsabile
l'accomandante nei confronti dei creditori sociali non solo per le obbligazioni che fanno capo alla
società al momento dell’atto d’ingerenza, ma anche per le obbligazioni future. Inoltre, in caso di
fallimento della società, il curatore, dando prova dell’ingerenza dell’accomandante, potrà chiederne
il fallimento.
Il rigoroso divieto non può giustificarsi esclusivamente in chiave di tutela dei creditori sociali. Le
relative sanzioni operano infatti in ogni caso, anche quando costoro siano resi edotti di trattare col
socio accomandante, ragione per cui non vi sarebbe ragione di tutelarne l’affidamento. Più
verosimile è invece ritenere che il divieto sia espressione del principio, comune a tutte le società
personali, della indissociabilità del potere di gestione dalla responsabilità personale illimitata dei
soci amministratori. Una tale connessione assicura nell'ambito del sistema delle società di persone
un governo responsabile dell’impresa.
Il socio accomandante, nell’ingerirsi nell’amministrazione della società, viola i limiti del ruolo che
gli compete. Egli invade la sfera delle attribuzioni proprie degli accomandatari, ponendo in tal
modo le premesse per un uso distorto dell’istituto. Nulla osta poi a che l’atto di ingerenza sia
riguardato come momento di emersione di una probabile “gestione occulta” dell’accomandante,
attuata con istruzioni informali impartite agli accomandatari o mediante accordi interni con
costoro.
La ratio della sanzione, che soddisfa dunque esigenze relative all’identità strutturale della
compagine sociale, impone di ritenere - laddove si parla di “responsabilità illimitata e solidale
verso i terzi” - che una tale responsabilità si estende anche ai rapporti interni.
5. Poteri e diritti dell’accomandante
La partecipazione degli accomandanti all’esercizio comune dell'impresa sociale si realizza nel
riconoscimento agli stessi di poteri e diritti.
Con riguardo all’attività di gestione, l’art. 2320 consente all’accomandante di agire in nome della
società in forza di procura speciale per singoli affari. Per affare può intendersi non
necessariamente un singolo atto giuridico, bensì anche un’operazione comprensiva di una pluralità
di atti, purché finalizzati ad un risultato economico unitario. Alla procura può equipararsi la
ratifica dell’affare eventualmente intrapreso dall’accomandante in via autonoma. Una serie di
procure che si succedessero nel tempo con una certa frequenza potrebbe determinare un’indiretta
violazione del divieto di immistione, come ad esempio accadrebbe qualora il potere di rappresentare
la società fosse conferito mediante il rilascio di procure in bianco.
Agli accomandanti è consentito inoltre prestare la loro opera sotto la direzione degli amministratori
(art. 2320): essi possono quindi essere assunti come dipendenti della società. Nell’ambito di un
rapporto di subordinazione è del tutto lecita l’attribuzione degli stessi, da parte degli amministratori,
anche di mansioni di direzione nei rapporti interni. L’accomandante, se l’atto costitutivo lo
prevede, può infine dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni. Tale categoria di
operazioni deve essere precisata nell’atto costitutivo e che parla di “determinate operazioni” non
può avere carattere generico. Ciò accadrebbe se l’atto costitutivo prevedesse ad esempio
l’autorizzazione dell’accomandante per tutti gli atti di straordinaria amministrazione. E’ plausibile
che anche in questo caso l’assenso manifestato dall’accomandante lascerebbe impregiudicata ogni
possibilità di scelta degli amministratori in merito al compimento dell’operazione. Quanto ai
poteri di controllo, l’accomandante può compiere “atti di ispezione e sorveglianza” e, in ogni
caso, ha “diritto di avere comunicazione annuale del bilancio e del conto dei profitti e delle
perdite e di controllarne l’esattezza, consultando i libri e gli altri documenti della società”. (art.
2320). A questo proposito si è posto il problema se l’accomandante abbia diritto d’intervento in
sede di approvazione del bilancio. Dai più al quesito è stata data risposta positiva, non implicando
la comunicazione, obbligatoria in ogni caso, esclusione dall&rsq