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CAPITOLO I → L’IMPRENDITORE, L’IMPRESA E L’AZIENDA

SEZIONE I: 1. Evoluzione storica del diritto commerciale e attuale topografia normativa

Rispetto a varie altre soluzioni prospettate per la ricollocazione della materia di commercio,

prevalse l’idea di assorbirla nel codice civile, nell’ambito di un nuovo libro - il libro V - prima

denominato “Dell’impresa e del lavoro” e poi solo “Del lavoro”, costruito su una nozione

generalissima di imprenditore, suscettibile di estensione all’agricoltura.

In tale libro sono andate a confluire, rimodellate, le norme riferite all’imprenditore commerciale, ma

anche norme di diversa provenienza o di nuovo conio. Le disposizioni riguardanti il fallimento e gli

istituti connessi sono state invece collocate in una coeva legge speciale, da allora nota come “Legge

fallimentare”.

Nel libro IV sono stati collocati i tradizionali “contratti commerciali”, conclusi essenzialmente o

normalmente da un imprenditore commerciale: ciò allo scopo di unificare integralmente il diritto

delle obbligazioni e dei contratti nel senso della “commercializzazione” del diritto privato.

Ancora oggi il diritto commerciale designa convenzionalmente quella parte del diritto privato

comprendente le norme e gli istituti relativi all’impresa commerciale, alle società e al mercato,

in passato contenute nel codice di commercio del 1882 e oggi variamente sparse nel codice civile,

nella legge fallimentare e in altre leggi speciali, specialmente in tema di proprietà industriale.

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2. La definizione di imprenditore. I caratteri dell’“attivit ” e i suoi predicati

Il perno della definizione di imprenditore è rappresentato dall’elemento dell’attività, la quale

consta di atti, ossia di azioni incidenti su interessi propri o altrui, appartenenti non solo alla

categoria degli atti giuridici, ma anche a quella degli atti materiali.

L’atto giuridico coincide con quel particolare tipo di atto in cui l’azione dell’uomo è riconosciuta

idonea dall’ordinamento a produrre effetti giuridici non eteronomi. All’opposto, all’atto materiale

è l’azione, incidente su interessi propri o altrui nel mondo reale, da cui possono discendere effetti

giuridici meramente legali.

Le principali connotazioni dell’attività prescritte nella definizione dell’art. 2082 (definizione

dell’imprenditore) sono l’economicità e la finalizzazione alla produzione o allo scambio. Il

predicato “economica” indica essenzialmente che il risultato tipico dell’attività è suscettibile di

valutazione economica, e conseguentemente è idoneo a soddisfare interessi di natura patrimoniale.

Per quanto concerne poi l’autonomo requisito del “fine della produzione o dello scambio di beni o

servizi”, ossia di cose o altri risultati dell’attività connotati dall’attitudine a soddisfare bisogni o

interessi umani anche di natura non patrimoniale, va evidenziato che esso può essere

alternativamente integrato dal fine della produzione - riscontrabile laddove i beni e servizi prodotti

siano destinati all’autoconsumo ovvero siano erogati a terzi a titolo gratuito - o più frequentemente

dal fine dello scambio, postulante il ricevimento di una controprestazione.

3. Organizzazione e impresa nel codice civile. L’impresa comunitaria

Fra i predicati dell’attività elencati nell’art. 2082 vige l’aggettivo “organizzata”. Le tesi proposte

dagli interpreti circa i contenuti dell’organizzazione sono molteplici.

In sostanza, può parlarsi di “organizzazione di mezzi necessari” per l’esercizio di un’attività su due

piani: è organizzazione di mezzi necessari il coacervo di beni, diritti, persone immediatamente

impiegati per l’esercizio dell’attività, ma possono essere considerati come mezzi necessari già i

capitali occorrenti per acquisire i primi.

La maggior parte degli interpreti deduce che l’impresa coincide con quell’attività la quale sia

connotata dalle caratteristiche indicate nell’art. 2082; mentre secondo altri essa designerebbe

piuttosto l’organizzazione funzionale all’esercizio dell’attività stessa.

Si può dedurre che l’impresa presuppone che per l’esercizio di una determinata attività economica

al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi occorra un’organizzazione di mezzi; in

specifico, l’organizzazione necessaria acquista forma d’impresa quando è interessata da un vincolo

ideale o convenzionale di stabile destinazione al compimento di una serie indeterminata di affari e/o

operazioni produttive.

4. Il requisito della professionalità. Le imprese degli enti pubblici. Imprenditore individuale e

societario

L’ultimo dei requisiti menzionati nella definizione di imprenditore è quello richiamato

dall’aggettivo “professionalmente”. Generalmente, si reputa che tale requisito postuli

semplicemente un esercizio non occasionale dell’attività (compatibile anche con la sua eventuale

stagionalità).

Può ritenersi che solo gli enti pubblici che abbiano per oggetto esclusivo o prevalente un’attività

economica al fine della produzione e dello scambio di beni o di servizi, assumono la qualità di

imprenditore. Va solo segnalato che tale categoria (degli enti pubblici economici) è in via di

estinzione, avendo il legislatore a partire dagli anni 90 previsto con varie leggi la trasformazione dei

più importanti di essi in società per azioni partecipate dallo Stato o da enti pubblici territoriali.

Nel nostro sistema appare poter assumere la qualità di imprenditore non solo la singola persona

fisica, ma anche la società, centro di imputazione metaindividuale che nasce di regola allorquando

“due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica

allo scopo di dividerne gli utili” (art. 2247).

5. Le imprese di associazioni e fondazioni

La tesi favorevole all’attribuzione della qualità di imprenditore ad associazioni e fondazioni

esercenti imprese, ha per corollario che esse, se l’attività esercitata fosse commerciale, potrebbero

essere dichiarate fallite; il che mal si concilia con la mancata previsione nella legge fallimentare di

norme specifiche come per le società.

Questi indici legislativi sono considerati superabili dalla maggioranza della dottrina - e anche da

una parte della giurisprudenza - nella prospettiva di una interpretazione evolutiva delle norme in

tema di impresa.

Un’ulteriore componente dell’esercizio con carattere di “professionalità” è rappresentata dalla non

strumentalità dell’attività economico-produttiva rispetto ad altra attività di diverso genere: ciò in

quanto la presenza di un’impresa non assicura che l’esercizio sia professionale, ossia che il vincolo

di destinazione finale cada su un’attività non economico-produttiva quale attività finalisticamente

esclusiva o principale. In sostanza, il fattore che deve affiancarsi alla stabile destinazione dei mezzi

necessari all’esercizio di un’attività per riscontrare la qualificazione “professionale” dell’esercizio

medesimo risiede nella circostanza che si deve trattare di una destinazione “ultima”.

A questa stregua, l’ipotizzato stabile esercizio di un’attività economica al fine della produzione o

dello scambio di beni o servizi da parte di un ente del libro I del codice civile non può mai assumere

i caratteri della professionalità, sì da escludere in radice l’assunzione della qualità di

imprenditore da parte di una fondazione o associazione. Vi sarà cioè solo un’impresa senza

imprenditore, interessata dalle norme, fra quelle contemplate nel libro V del c.c., che

presuppongono la prima ma non anche il secondo, ossia non postulanti che l’impresa sia

“potenzialmente atta a realizzare un interesse patrimoniale dei suoi titolari”.

In conclusione, neppure un’associazione non riconosciuta potrà mai assumere la qualità di

imprenditore.

6. L’impresa “sociale” operante nel terzo settore

Il fenomeno delle imprese esercitate da enti non lucrativamente orientati per l’erogazione di beni e

servizi di interesse generale - il “terzo settore” - ha in tempi recenti assunto dimensioni

significative; e, poiché la disciplina codicistica delle associazioni e delle fondazioni non si prestava

a favorirne lo sviluppo, si è assistito alla proliferazione incontrollata di modelli alternativi,

variamente puntellati sul piano normativo.

All’impresa sociale è stato specificamente affidato il compito di soddisfare, con il supporto delle

comunità locali, bisogni di beni o servizi di “interesse generale” trascurati dalle tradizionali

imprese governate dalla logica del profitto ma anche dalle imprese riconducibili alla mano

pubblica.

L’art. 1, comma 1, stabilisce infatti che la qualifica di impresa sociale può essere acquisita da ogni

ente privato, compresi tutti quelli di cui al libro V del c.c., che eserciti in via stabile e principale

un'attività d’impresa non a scopo di lucro.

Il divieto dello scopo di lucro è stato in ogni modo temperato considerevolmente, nell’ottica di

favorire lo sviluppo delle imprese sociali.

7. Impresa familiare e azienda coniugale

L’impresa familiare è disciplinata nell’art. 230 bis, il quale regolamenta i rapporti interni

all’impresa ogni qualvolta un familiare dell’imprenditore presti la sua opera in modo continuativo

nell’impresa stessa, senza ricevere uno specifico inquadramento giuridico. La finalità dell’istituto è

di tutelare quei familiari che pur lavorando all’interno di un’impresa familiare non si vedono

riconosciuti adeguati diritti nei confronti dell’imprenditore.

I familiari specificamente tutelati dal legislatore sono quelli appartenenti al nucleo più ristretto: il

coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo grado.

Detti familiari hanno diritto al mantenimento, nonché alla partecipazione agli utili e agli

incrementi dell’azienda in rapporto alla quantità e qualità del lavoro prestato. Sul piano dei diritti

amministrativi, partecipano alle decisioni sull’impiego degli utili e degli incrementi nonché

relative alla gestione straordinaria. Il capo dell’impresa decide e compie in piena autonomia gli atti

di gestione ordinaria.

Sono cause di perdita della complessiva quota di partecipazione la morte, il recesso, la cessazione

del rapporto familiare, l’impossibilità sopravvenuta di prestare il proprio lavoro. In caso di divisione

ereditaria o di trasferimento d’azienda, i partecipanti all’impresa familiare hanno diritto di

prelazione sull’azienda. Alla cessazione dell&

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A.A. 2023-2024
7 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/04 Diritto commerciale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher messi_luca di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto commerciale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi Ca' Foscari di Venezia o del prof Martina Giuliana.