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PERFETTA PURO
Surplus del consumatore - ossia tutta l’area tra la curva di A + B + C, A
domanda (dove abbiamo i prezzi di riserva) e il prezzo che il
consumatore paga
Surplus del produttore - ossia tutta l’area tra il costo marginale D + E B + D
(che rappresenta il prezzo di riserva) e il prezzo che il
produttore incassa
Perdita secca 0 C + E
Surplus totale A + B + C + D + E A + B + D
Considerazioni finali:
➢ Un primo ragionamento lo si può fare sui surplus totali. In particolare, possiamo notare che mancano le aree
C ed E. Queste due aree sul grafico rappresentano la quantità di surplus che in monopolio non è stata
generata perché c’è stata una riduzione degli scambi. Infatti, la quantità massima che si poteva scambiare in
questo mercato era ovviamente la quantità di concorrenza perfetta. Il monopolista, per poter fare il prezzo e
profitto ha ridotto questa quantità e, di conseguenza, questa situazione genera una riduzione di surplus. In
definitiva, C ed E rappresentano quella che definiamo la perdita di efficienza allocativa del monopolio
rispetto alla concorrenza perfetta dovuta al fatto che si fanno meno scambi rispetto a quelli potenzialmente
possibili. In particolare, per essere precisi, l’area C rappresenta un’inefficienza allocativa dal lato del
consumo (perché il surplus della domanda non si genera a seguito sempre della riduzione dei ricavi) e l’area
E appresenta una inefficienza allocativa dal lato dell’offerta (perché il surplus del produttore non si genera).
➢ Un altro ragionamento che è possibile fare è la distribuzione dei surplus: invece di focalizzare l’attenzione sul
totale, si va ad esaminare i singoli surplus (sia in monopolio che in concorrenza perfetta). In particolare,
quello che ci interessa è l’area B perché è l’unica area che rappresenta una differenza distributiva tra
concorrenza perfetta e monopolio: in concorrenza perfetta viene attribuita al consumatore e in monopolio
viene attribuita al produttore (dal soggetto più debole al soggetto più forte). L’area B allora è la misura
dell’inefficienza distributiva del monopolio.
NB: Quando si parla di inefficiente distribuzione delle risorse, gli economisti hanno in mente sempre un
concetto qualitativo e non un concetto quantitativo. Pertanto, la distribuzione delle risorse è efficiente se,
banalizzando, ognuno ottiene quello che si merita e non se ognuno ha una cosa uguale agli altri. Nel nostro
caso, vuol dire che il consumatore deve prendere tutto ciò che è generato dalla domanda, mentre il
produttore tutto ciò che è generato dall’offerta.
In concorrenza perfetta non si ha un problema di inefficienza distributiva perché:
o la domanda genera l’area A, B e C e effettivamente queste aree vanno tutte al consumatore; 28
o l’offerta genera le aree D ed E che effettivamente vengono tutte attribuite al produttore.
In monopolio, invece, la domanda ha generato A e B e l’offerta ha generato D. Ma, nel momento in cui si va
ad attribuire quelle aree, al consumatore è stata attribuita solo A e al monopolista è stato attribuito B.
Quindi c’è stato un trasferimento di risorse: il monopolista ha ottenuto l’area B, che è stata generata dal lato
della domanda, anziché ottenerla il consumatore.
Quindi B rappresenta la misura l’inefficienza distributiva del monopolio.
Riassumendo:
• Il consumatore, nel passaggio da concorrenza perfetta a monopolio, perde l’area C per l’inefficienza
allocativa e l’area B per l’inefficienza distributiva.
• Il produttore, nel passare da concorrenza a monopolio, perde l’area E per l’inefficienza allocativa ma
guadagna l’area B per l’inefficienza distributiva (a suo vantaggio)
• La posizione di concorrenza è senza dubbio migliore rispetto a quella di monopolio.
CONCORRENZA PERFETTA CON TASSAZIONE
È sufficiente rimuovere una sola ipotesi della concorrenza perfetta per rendere il modello inefficiente dal punto di
vista distribuito e allocativo. Prima cosa che viene in mente di aggiungere sono le tasse, che fanno sì che lo scambio
non avvenga in maniera pura. Esempio classico è un’accise sulla benzina.
q* rappresenta la produzione che ci premette di ottenere l’efficienza allocativa (numero massimo di scambi) e
distributiva (ognuna ha quello che ha contribuito a realizzare). Introducendo in questo equilibrio la tassa,
quest’ultima non modifica il costo marginale del produttore: la sua funzione di costo marginale O rimane quella. A
questo punto, l’equilibrio si realizza dove D = O’ che rappresenta l’offerta percepita dal consumatore. Tuttavia, la
parte che incassa il produttore (p’’) non sta su O’ ma sta sulla sua funzione di costo marginale, cioè sull’offerta (O).
A questo punto possiamo provare a fare un’analisi di surplus con e senza tassazione.
✓ Senza tassazione, il surplus del consumatore è A + B + C mentre quello del produttore equivale a D+ E + F. Il
surplus totale è la somma dei due. È efficiente dal punto di vista allocativo e distributivo.
✓ Con tassazione, il surplus del consumatore è A in quanto paga il prezzo p’ e compra la quantità q’. Il
produttore formalmente incassa p’ ma il suo prezzo di competenza è p’’: quindi il suo surplus è F. Poi
abbiamo anche il surplus dell’erario (gettito fiscale) che è B + D. Il surplus totale è la somma di tutti questi.
In questo equilibrio con tasse la misura di inefficienza allocativa è uguale a C + E.
Questa inefficienza è determinata dal fatto che non si fanno tutti gli scambi possibili. Pertanto, c’è perdita di
benessere dal lato del consumo (area C), mentre E è l’area di perdita di surplus dal lato del produttore.
Invece, l’inefficienza distributiva la misuriamo tramite il gettito fiscale, in quanto l’erario non fa parte del
mercato e a lui spetterebbe zero. Ma, visto che riceve B + D, queste due aree misurano l’inefficienza
distributiva.
Rifacciamo esattamente quello che abbiamo fatto prima, ma su tre funzioni diverse concentrandomi sul gettito
fiscale. 29
1. Il primo caso è esattamente quello analizzato in precedenza: se inserissimo un’accisa sulla benzina,
l’inclinazione relativa di domanda e offerta sarebbe identica. Quindi l’accisa la pagherà in misura egualitaria
sia il consumatore che il produttore;
2. Nel caso due abbiamo una domanda che è molto più rigida rispetto all’offerta e se vedessimo come è
distribuito il gettito fiscale noteremmo che è principalmente un trasferimento da domanda (questo è il caso
dei beni di prima necessità). Quindi il consumatore pagherebbe maggiormente;
3. Viceversa, nel caso tre la domanda è molto più elastica, in senso relativo, dell’offerta e l’incidenza dell’accisa
sul produttore è maggiore che non sul consumatore (questo è il caso dei beni di lusso).
MONOPOLIO NATURALE
Il monopolio è sempre inferiore in termini di efficienza e benessere alla concorrenza perfetta?
Un monopolio naturale è un mercato in cui il CMeLP è decrescente al crescere della produzione per l'intera gamma
delle produzioni possibili, data la posizione della funzione di domanda del mercato.
In altre parole, la domanda non è sufficiente perché due o più imprese possano produrre il livello di output al quale
tutte le opportunità per ulteriori riduzioni dei costi medi sono sfruttate o al quale si raggiunge la scala efficiente
minima (SEM). Il monopolista naturale ha sempre una struttura di costi più efficiente rispetto alla concorrenza. Se
un'unica impresa serve l'intero mercato, il costo medio di lungo periodo è inferiore rispetto a una situazione in cui
due (o più imprese) si dividono il mercato. L'esempio forse più citato di monopolio naturale è quello delle imprese
che erogano servizi di pubblica utilità come il gas, l'elettricità e l'acqua. Per poter distribuire questi prodotti si
richiede una vasta e costosa infrastruttura fisica, ma una volta che questa infrastruttura è in funzione, le fluttuazioni
nelle quantità trattate causano solo minime variazioni dei costi totali.
Il caso del monopolio naturale è illustrato così come segue:
Nel caso della concorrenza perfetta, l’equilibrio è dato da p=CMg e si massimizza l’efficienza allocativa (quindi il
numero massimo di scambi possibili). Il problema di questo equilibrio è che se da un lato si massimizza l’efficienza
allocativa, dall’altro tende a non essere sostenibile per l’impresa perché genera un profitto, nel lungo periodo,
negativo. L’impresa potrebbe uscire dal mercato ma non lo può fare perché ci sono i sunk costs (i costi irrecuperabili
che caratterizzano il monopolio naturale).
Tuttavia, anche studiando delle soluzioni alternative, in particolare provando a risolvere il problema
dell‘insostenibilità dell’impresa, laddove si riuscisse a risolvere tale problema si andrebbe comunque a generare
degli equilibri inefficienti. Lo vediamo subito con qualche esempio.
Per risolvere il problema della inefficienza allocativa, si può:
• O fare un primo equilibrio in cui il prezzo è uguale al costo medio ed è un equilibrio che dovrebbe portare ad 30
una condizione di profitto nullo. Quindi si prova a risolvere il problema impostando la condizione di
sostenibilità dell’equilibrio dell’impresa (e non di efficienza allocativa).
Possiamo notare che, rispetto alla quantità di concorrenza perfetta, è avvenuta una riduzione della quantità
venduta e, in particolare, questa riduzione ha generato un incremento del prezzo. In conclusione, abbiamo
risolto il problema dell’ insostenibilità ma abbiamo un’inefficienza allocativa derivata dal surplus che non si
genera (area tratteggiata).
• O fare addirittura l’equilibrio di monopolio puro in cui emergono tutte le criticità di quest’ultimo.
In questo caso l’impresa fa un profitto positivo e, quindi, è assolutamente sostenibile questo equilibrio.
Ovviamente, come accade sempre in monopolio, questo profitto positivo si determina a scapito
dell’efficienza allocativa perché si ha una netta riduzione della quantità rispetto a quella di concorrenza
perfetta dovuta all’enorme riduzione del surplus del consumatore (triangolo rosso).
Qual è la soluzione al problema del monopolio naturale? La regolamentazione del prezzo che avremo modo di
affrontare al termine del corso.
CONCORRENZA MONOPOLISTICA
La teoria della concorrenza imperfetta si propon