vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Non si sa se sia dovuto alle infezioni, perché il quadro clinico sta cambiando:
inizialmente c’erano moltissimi soggetti con infezioni molto gravi a livello
respiratorio, mentre adesso se ne osservano molti meno analoghi.
Contestualmente, però, si iniziano a vedere compromissioni in altri distretti.
Non si sa se il carico virale è importante nel determinare un aumento
dell’infezione, perché, da quello che si vede nei soggetti con malattie gravi o
malattie lievi, non c’è una differenza sostanziale nella quantità di virus.
Eventuali co-morbidità possono svolgere un ruolo importante. E’ certo che
all’aumentare dell’età a cui si contrae l’infezione, aumenta anche la quantità di
virus infettante: i soggetti più anziano contraggono più facilmente l’infezione e
la sviluppano più intensamente.
Non ci sono elementi, a differenza di Ebola e di altri virus ben caratterizzati
nell’uomo, differenze evidenti tra soggetti che avranno un’infezione che
sopravvivono rispetto a quelli che non sopravvivono. Se si osserva la figura che
confronta i sopravvissuti con i deceduti, ci si accorge che la temporalità della
presenza dei sintomi (tosse, dispnea, ricovero in terapia intensiva, positività al
virus, ecc.), non ci sono differenze. L’unica differenza è che i non sopravvissuti,
prima di morire, devono essere stati sottoposti a ventilazione forzata, con vari
strumenti. Uno degli elementi più chiari ed evidenti della gravità della
situazione e della possibilità concreta del rischio di morte è il fatto di dover
ricorrere alla ventilazione meccanica durante il processo infettivo.
L’epidemiologia
Dal punto di vista epidemiologico, a partire da qualche dato di dicembre
(pochissimi casi), c’è stato un picco a livello cinese, dovuto a un differente
modo di contare l’infezione e all’iniziale disponibilità di reagenti, fino
all’esplosione di casi avvenuta prima in Europa, poi, con una cinetica identica,
in America e negli altri continenti. Questa esplosione di casi non deve far
ingannare, perché c’è stata una volontà di ricercare i soggetti infetti: fino a
metà febbraio, vi erano molti più casi di quelli riscontrati a marzo/aprile, ma
mancavano i tamponi e gli strumenti per effettuare le diagnosi. Se uno non
cerca, non trova. I picchi sono dovuti ad ausili diagnostici per rintracciare
l’infezione. E’ consolidata la convinzione che l’infezione si fosse diffusa in più
punti della Terra, prima che l’OMS lanciasse l’allarme pandemia (metà marzo).
Già a metà dicembre, il virus aveva lasciato il suolo cinese. I dati aumentano
giorno per giorno, gli effetti sono attenuati dal lockdown. A livello mondiale
sono stati superati i 4 milioni di individui confermati infetti, con circa 250 mila
decessi (al 4 maggio). Dovrebbero essere stati superati i 300 mila morti,
adesso. Questo trend si sta contraendo in Europa, ma si sta ancora espandendo
in America, Russia e in Africa, dove la percezione del fenomeno è al ribasso a
causa dell’insufficienza di materiale diagnostico e dell’irraggiungibilità di molti
luoghi. La situazione è ancora in divenire.
Per quanto riguarda l’Italia, c’è stata una riduzione importante, con un trend
oramai consolidato, nonostante la riapertura. Ci sono regioni a Nord molto più
colpite dal contagio, dove l’infezione ha mietuto più vittime ed è rimasta più a
lungo. C’è una distribuzione pesantemente asimmetrica. L’infezione in soggetti
inferiori ai 18 anni è stata riportata in pochissimi casi, viceversa nei soggetti
anziani troviamo il 40% dei casi, ma anche nelle fasce intermedie la mortalità è
elevata. Questo grafico a torta (per età) indica una distribuzione non reale
dell’infezione: le infezioni asintomatiche e lievi sfuggono a questo controllo,
non fornendo informazione al sistema sanitario nazionale. Chi è sintomatico o
presenta infezioni gravi va al pronto soccorso o chiama la medicina preventiva
e viene intercettato e registrato. In Italia si stima un numero di casi superiore di
10 volte rispetto a quelli riportati. Sui soggetti asintomatici, non si sa quanto
contribuiscano all’infezione e quale sia il loro numero.
Maschi e femmine si infettano allo stesso modo: non c’è un effetto di genere. I
soggetti che sviluppano malattie più gravi sono gli uomini. Le donne si
infettano allo stesso modo (stessa suscettibilità), però, dal punto di vista della
complicanza dell’infezione, questo si verifica più spesso nei maschi. Per quanto
riguarda la letalità, è avvenuta una sorta di corsa ai numeri. Fino a poche
settimane fa, l’Italia deteneva il primato del numero di morti per COVID,
rispetto ad altri Paesi europei, come la Germania. Alla base di queste
osservazioni, c’è un discrimine legato al modo di contare le vittime: se si
conteggiano soltanto i decessi strettamente dovuti al virus, allora i numeri sono
piuttosto bassi. Se uno soffre già di una malattia cardiovascolare, e muore per
complicanze dovute a COVID, non viene conteggiato come decesso legato al
coronavirus, ma come decesso di un cardiopatico e quindi sfugge alle
statistiche. E’ una furbizia formale messa in atto nei Paesi in cui la letalità è
risultata di gran lunga inferiore rispetto all’Italia. In realtà, anche presso di loro,
la mortalità è molto più alta di quella effettivamente dichiarata. E’ indubbio
che ci sia stato un aumento della mortalità anche perchè i soggetti che
avevano interventi in programmazione hanno dovuto attendere la riapertura di
alcuni reparti e la riprogrammazione delle operazioni. In conseguenza di
questo, al di là del sistema di conteggio delle vittime da COVID, in tutti i Paesi
c’è stata una letalità molto più alta dovuta al COVID, in questo periodo per
l’interruzione di tanti servizi ospedalieri. Nei primi cinque mesi del 2020 è stata
riportata una mortalità molto elevata in Spagna, soprattutto a causa delle
sacche nelle grandi città come Madrid e Barcellona, dove l’incidenza di
infezione e la mortalità sono ancora elevate. La mortalità in Europa,
complessivamente, è risultata aumentata del 38%, ripartita tra i vari Paesi. La
Germania, con poca trasparenza, non ha comunicato i dati affinchè si potesse
studiare l’incremento di mortalità complessivo rispetto allo stesso periodo dei
cinque anni precedenti
I morti dovuti a COVID e quelli dovuti ai riarrangiamenti legati all’emergenza
sanitaria sono stati tanti e hanno interessato tutti i Paesi coinvolti
dall’epidemia, con conseguente collasso delle strutture sanitarie.
Cosa non si sa relativamente all’epidemia?
Qual è la proporzione delle infezioni asintomatiche e come contribuiscono alla
trasmissione?
Si vede che il 5-10% delle infezioni è asintomatico e riconducibili a soggetti
difficili da identificare, perché non hanno sviluppato anticorpi (l’infezione
contratta è stata molto lieve). Viceversa, tra i soggetti che hanno contratto
l’infezione e sviluppato anticorpi, alcuni presentano ancora il virus pur essendo
cessati i sintomi legati all’infezione. C’è una proporzione significativa, di cui
non si conosce ancora il contributo alla diffusione del virus. Ci sono anche
infezioni asintomatiche.
C’è il famoso caso di una donna d’affari cinese, che partecipò a un meeting di
lavoro in Germania. Al momento del ritorno in patria, ha mostrato i sintomi
dell’infezione, ma prima sarà stata sicuramente asintomatica, nel momento in
cui ha avuto contatti con altre 4 persone, le quali, con un lasso di tempo
compatibile, hanno testimoniato i sintomi della presenza del virus (che è stato
effettivamente trovato in costoro). In questo caso si è visto che un caso
asintomatico o asintomatico bona fide può trasmettere l’infezione.
Ci sono tre scenari che descrivono la fase post-COVID.
Uno scenario prevede picchi ups-and-downs, che riflettono un’immunità di
gregge, o dovuta agli assembramenti legati alla libertà di uscire, mentre
l’infezione continua a serpeggiare. Tra 2-3 settimane si ripresenteranno picchi
con la stessa intensità di quella attuale, che poi scemeranno, per acuirsi di
nuovo.
Lo scenario 2 prevede una stagnazione fino al raggiungimento di un picco
(indice di una ripresa importante dell’infezione) nella stagione invernale. In
questo periodo dell’anno circolano molti virus respiratori, le persone sono più
suscettibili all’infezione: è lecito attendersi che in questa fase vi sia anche una
ripresa del contagio.
Il terzo scenario, più conservativo, prevede un picco medio-alto, post-lockdown,
che andrà ad affievolirsi nel corso dei mesi, determinando picchi modesti. Nel
corso degli anni si avrà un assestamento della situazione (fino al 2022).
In tutti i modelli fino ad ora sviluppati, l’elemento sicuro ricorrente è la
consapevolezza che, a differenza del precedente SARS, questo virus, grazie alla
capacità di trasmissione, rimarrà a lungo nella nostra comunità, potendosi
diffondere tra gli individui via via.
La diagnosi
Si può effettuare una diagnosi diretta (attraverso l’isolamento o con test
molecolari) o una diagnosi indiretta (tramite test sierologico, alla ricerca di
anticorpi). L’isolamento virale, per quanto sia facile da realizzare, non è
utilizzato per la diagnosi (rischi troppo elevati di contaminazione per più volte,
dal momento che si analizzano migliaia di campioni al giorno). Si utilizzano
sistemi basati su RT-PCR, ricercando la presenza del virus in materiale
respiratorio (tamponi nasali, nasofaringei, orofaringei), feci, urine, sangue (se
l’infezione è più grave), tessuti (biopsie in soggetti morti per infezione da
COVID). L’infezione può essere rintracciata attraverso la presenza del virus con
test qualitativi.
Il test sierologico viene effettuato tramite vari sistemi: principalmente test
rapidi. Si mette una goccia di sangue, prelevata da un polpastrello inciso. In
presenza del tampone, migra attraverso questo simil-vetrino (una sorta di
supporto di plastica, analogo ai test di gravidanza). In presenza del tampone,
gli anticorpi antivirus migrano e si legano ad antigeni marcati con oro. Questi
cominciano a migrare e la presenza di una banda di controllo dimostra che la
migrazione è avvenuta nel modo corretto (ci sono anticorpi presenti marcati
che vanno a leg