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Intervista a Brooke: tutte le sue esperienze sentimentali e sessuali sono avvenute prima sullo
schermo che nella vita vera. Partecipa, a 15 anni, a una campagna per i jeans Calvin Klein: anni
Ottanta in America, si tira il limite di ciò che è ammissibile sessualmente anche in una sfera pubblica
come quella dei jeans. Lei sicuramente è stata strumentalizzata, ma è chiaro che con queste
esperienze pregresse non avrebbe potuto vincere il processo.
Arriva un fotografo di moda famoso, Sante D’Orazio, che le chiede di posare in una foto che
presenta un orientamento del corpo e dei dettagli che richiamano la foto di lei da bambina che ha
fatto scalpore. Viene realizzata questa foto, esce e si apre un dibattimento giuridico su questa foto
(tra Prince e Larry Gagosian): Richard Prince dice che anche a lui sono state prelevate delle foto e si
è cercato di venderle; quello che fa Prince, lo fa con spirito diverso.
Prince è anche scrittore e grande collezionista di libri usciti dal 1949 ad oggi, inizia per passione, ma
avendo poi disponibilità economica accresce la collezione, concentrandosi sui libri con dedica.
Arriva anche a esporre la collezione in una mostra. Per mostrare quella collezione in una mostra,
come si poteva fare? Prince si è inventato una suddivisione: per sangue (con dedica di parentela, per
esempio alla figlia), sudore (da uno scrittore all’altro) e lacrime (si piange per amore, quindi, per
esempio la dedica di una donna al marito prima del suicidio). Alcuni libri sembrano opere
concettuali.
Prince ha pubblicato circa 156 libri suoi (sull’arte), era anche scrittore. Ogni racconto è corredato da
un’immagine.
Collezione fatta sia di letteratura alta sia di letteratura bassa; quindi, è come se fosse una specie di
regesto della cultura e sottocultura americana attraverso la letteratura ma comprende anche
magazine, inviti, fotocopie e oggetti che vengono stampati per essere buttati. (Custodie di pelle nera
sono cose che Prince fa fare e le usa per inserire la prima edizione di una copia, in modo da essere
protetta). Autori, registi, cantautori, manoscritti, film, romanzi, tutto materiale che compone la
cultura e la storia americana.
Il lavoro di Prince è l’atto del guardare, non produrre immagini; è guardare le immagini e farcele
vedere attraverso i suoi occhi, che svelano meccanismi. Lui si sente profondamente parte di quella
cultura, quindi osserva, studia, guarda le immagini, facendocele vedere tramite i suoi occhi.
Lezione 11 - 13/05
Richard Brautigan è uno scrittore che ha scritto un libro che per la letteratura
americana è capitale (Trout Fishing) → Nell’immagine c’è una dedica di uno
scrittore ad un’altra scrittrice (non ha senso citarlo).
Miroslav Tichy:
Nasce in un villaggio della Moravia, a Kyjov (a 250 km da Praga), al confine con l’Austria, nel
1926, figlio di un sarto. Ha frequentato la prestigiosa accademia delle belle arti di Praga negli anni
della seconda guerra mondiale; con l’avvento del potere comunista in Cecoslovacchia,
l'orientamento dell'accademia cambia e il suo programma di studi viene orientato a confrontarsi con
la dottrina del partito; quindi, inizia ad avere un distacco verso gli studi che fa e verso l’arte che è
costretto a praticare. Si doveva formare con il realismo socialista, con una cultura che doveva essere
di propaganda. Lascia l’accademia nel 1948, esegue la leva obbligatoria per due anni e poi decide,
nel 1950, alla fine del servizio militare di non tornare a Praga - il centro culturale del paese - ma
torna nella sua cittadina natale, a Kyjov, dove ha continuato a dipingere figure astratte; diviene anche
parte di un gruppo di dissidenti (c’era un dissidio fortissimo nel paese, sia nella letteratura che nella
pittura, che nella musica e forme di reazione non violenta al regime). Nel novembre del 1957
Miroslav Tichy ha un crollo psichico e da lì in poi non lascia quasi più la sua città natale;
lentamente si trasforma in un personaggio anche leggermente inquietante: si cuce da solo i propri
vestiti, si auto emargina. Per tutto il corso degli anni ‘60 viene visto vagare per le strade di Kyjov
con i capelli lunghi, la barba lunga. Inizia a costruirsi da solo le macchine fotografiche, fatte in casa,
fatte con dei pezzi di cartone, con dei tappi della birra per fare l’avvolgimento della pellicola, degli
elastici; le lenti sono fatte con i tubi della carta igienica e dei fondi di bottiglia. Il genere di immagini
che produce vengono definite immagini liquide: sono immagini che non riusciamo ad identificare
perché non sono prodotte con lenti o macchine che hanno un inconscio tecnologico ma sono prodotte
con macchine autoprodotte. I soggetti sono sempre donne della sua città, che sono donne che segue
discretamente, con le quali non interagisce ma che si limita a fotografare. Quando gli viene chiesto
come seleziona le sue fotografie, quali scarta, quali sono buone, lui risponde: quando si vede
qualcosa di … Tichy è un artista che ha studiato arte, che ha una coscienza, che ha deciso di
marginalizzarsi e che ha deciso di dedicarsi alla fotografia perché, paradossalmente, in un paese in
cui si stava molto attenti ad una produzione artistica pittorica (non doveva esserci astrazione,
dissidenza dal realismo socialista) chi faceva fotografia non era tanto guardato dal regime perché era
come se fosse un’arte minore, poco rilevante. Quindi, Tichy inizia a fare fotografie che poi stampa e
incolla su cartoncini che decora e, spesso, fa dei piccoli interventi a penna anche sulle immagini
stesse; ha prodotto nella sua vita circa 6.000 fotografie di cui è impossibile fare un ordine
cronologico (non ci sono date). Esistono alcuni pattern che si ripetono come architetture locali,
esterni, gli interessano molto i confini (quindi, le grate, le staccionate, i cancelli) e poi inizia a
concentrarsi sulla fotografia femminile; Tichy aveva dei rapporti con gli artisti locali. Fa parte del
dissenso non violento che avrebbe portato al collasso dell'Unione Sovietica. Il comportamento di
Tichy e il suo improvviso totale indirizzarsi alla fotografia (campo in cui non aveva avuto
educazione professionale) deve essere guardato all’interno di una cornice politica molto specifica. La
fotografia era sempre stata considerata il medium della memoria, l’arte che poteva catturare momenti
effimeri e un po’ per questo era vista come un’arte relativamente benigna dalle autorità. Il lavoro di
Tichy consiste nella produzione di immagini totalmente anacronistiche, indatabili, anche grazie al
fatto che, per esempio, il costume delle protagoniste è il costume di un regime socialista, poco
distinguibile. C’è un profondo collegamento con l'estetica quotidiana delle persone: è un curioso
progetto di archiviazione della popolazione di Kyjov, sua città natale. La sua metodologia → scatta
tre rullini al giorno, tre volte al giorno, 36 scatti.
La questione dell'anacronismo: l’idea dell'autoemarginalizzazione è agli antipodi di un Richard
Prince che guarda all’immaginario visivo e lo rielabora; ci fa guardare le contraddizioni che sono
presenti in quel genere di produzione di immagini. Qui, invece, c’è un’idea di memoria di un
individuo specifico tagliato fuori dalla collettività; idea di una soggettività collettiva quasi. Tichy
spiega che il mondo non esiste al di fuori di noi stessi, “esiste solo la luce che si infrange sugli
oggetti, che impregna la superficie argentata del negativo con un’ombra”.
Prendiamo in considerazione l’idea che la possibilità di non essere in sincronia con la modernità sia
un valore → in questo caso il lavoro di Tichy è straordinario. Il risultato è una serie di fotografie che
sembrano liquide. Caroline Christof contrappone l’idea di singolarità all’idea di individualità nel
lavoro di Miroslav Tichy. Cos’è una fotografia giusta?
Errore fotografico come tecnica e pratica artistica
Siamo abituati a pensare che una fotografia giusta sia una fotografia in cui la luce è al nostro servizio
per creare un’immagine che sia del tutto simile alla realtà che abbiamo davanti agli occhi nel
momento in cui fotografiamo; quindi, vogliamo che l’immagine fotografica sia quello che noi
vediamo ad occhio nudo → questa è tecnicamente definita la mimesis fotografica; la mimesis era
vista con un significato profondamente positivo perché voleva dire che l’immagine era in grado di
imitare la forma ideale della realtà (il massimo a cui si potesse ambire). Ad oggi, ancora, il mezzo
fotografico deve rispettare questa caratteristica. Tutti i parametri che sono descritti per realizzare una
buona fotografia vanno a ricreare lo stesso meccanismo della visione umana, cioè la macchina
fotografica è nata con la volontà di ricreare gli stessi meccanismi ottici dell’occhio stesso.
Quindi, una foto deve essere:
- bene esposta, ossia deve contenere una corretta quantità di luce per avere un’immagine fedele
della realtà;
- deve essere a fuoco, quindi, il soggetto deve essere ben nitido all’interno dell’immagine
fotografica;
- deve essere ferma, quindi bisogna usare un tempo di esposizione che permetta di bloccare
l’istante all’interno della fotografia;
- deve essere, soprattutto, inquadrata bene, quindi la porzione di reale che decidiamo di
racchiudere all’interno dell’immagine fotografica deve rispettare dei parametri che rendano
l'immagine stessa un’immagine armonica.
Tutto questo però non è per forza intrinseco al mezzo fotografico:
G.Freund, Fotografia e società. Riflessione
teorica ed esperienza pratica di un’allieva di
Adorno.
→ Ogni espressione artistica, ogni espressione
visiva, ogni mezzo tecnico è profondamente
figlio del momento in cui è nato. Agli albori
della fotografia, si voleva trovare un modo per
riprodurre la realtà senza la mediazione della mano dell'artista, si voleva trovare un modo per
riprodurre la realtà nel modo più oggettivo possibile, si volevano dei documenti; per questo la
fotografia è nata ben inquadrata, ben esposta, a fuoco e ferma → era l’esigenza dell’Ottocento ma
non per forza il mezzo fotografico ancora oggi, ma anche agli albori, poteva essere utilizzato solo in
questo modo, non per forza dobbiamo fare fotografie giuste.
Questo meccanismo ottocentesco lo possiamo ritrovare anche nei meccanismi coloniali: quando uno
stato andava a colonizzare altre parti del mondo, le prime persone che mandava (oltre ad apparati
militari) erano prima i disegnatori e poi i fotografi, perché nell’Ottocento si pensava che vedere era
conoscere: ciò che possiamo rappresentare &eg