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FORME DI STATO E FORME DI GOVERNO
Con l’espressione forma di Stato si intende il rapporto che corre tra le autorità di
potestà d’imperio e la società civile, nonché l’insieme dei principi e dei valori a cui lo
Stato ispira la sua azione.
Invece con l’espressione forma di Governo si intendono i modi in cui il potere è
distribuito tra gli organi di uno Stato e l’insieme dei rapporti che intercorrono tra essi.
La nozione di “forma di Stato” si riferisce, dunque, al modo in cui si strutturano i
rapporti tra Stato e società. La nozione di forma di Stato risponde alla domanda “quale
è la finalità dello Stato e che tipo di rapporto esiste tra l’apparato statale e la
società?”. Invece, la nozione di forma di Governo risponde alla domanda “chi governa
all’interno dell’apparato statale?” : lo “Stato assoluto”, lo “Stato liberale”,
Nell’ambito delle forme di Stato si distinguono
lo “Stato di democrazia pluralista”, lo “Stato totalitario”, lo “Stato socialista”.
Nell’ambito di ciascuna forma di Stato esistono vari tipi di forme di Governo (per
esempio nell’ambito dello Stato di democrazia pluralista avremo le seguenti forme di
Governo: “parlamentare, neoparlamentare, presidenziale, direttoriale,
semipresidenziale”).
Le diverse forme di stato e di governo sono dei modelli ricavati attraverso le
esperienze costituzionali e l’individuazione di alcuni elementi comuni.
L’EVOLUZIONE DELLE FORME DI STATO
Lo stato assoluto:
Lo Stato assoluto è la prima forma dello Stato moderno. Nasce in Europa tra il 400 ed il
500 e si afferma nei due secoli successivi.
Si caratterizzava per l’esistenza di un apparato autoritario separato e distinto dalla
società e per l’affermazione di un potere sovrano attribuito direttamente al Re o,
Corona.
meglio, alla
Quest’ultima si distingueva dal re perché era intesa come organo dello Stato, dotata
quindi dei requisiti dell’impersonalità e della continuità di successione che impedivano
la vacanza del trono), cosa diversa dal Re (inteso come persona fisica).
Nello Stato assoluto il potere sovrano era concentrato nelle mani della Corona, titolare
della funzione legislativa ed esecutiva, mentre il potere giudiziario era esercitato da
Corti e Tribunali formati da giudici nominati dal Re.
La volontà del Re era considerata la fonte primaria del diritto, il suo potere non
incontrava limiti né poteva essere condizionato dai desideri dei sudditi. Ciò perché il
potere regio era ritenuto di origine divina. L’assolutismo regio si affermò in paesi
come la Francia. In Inghilterra, dove rimasero alcuni residui feudali, l’assolutismo fu
soltanto parziale (dinastia Tudor) e i tentavi di farla diventare assoluta fallirono
(Stuart).
In Paesi come la Prussia e l’Austria si affermò invece il cosiddetto assolutismo
illuminato, secondo cui il sovrano aveva il compito di promuovere il benessere della
popolazione. Al riguardo si è parlato di Stato di polizia (dal greco politéia, da cui deriva
anche politica) per intendere uno Stato che ha tali finalità.
Pertanto, lo Stato assoluto era uno Stato onnipresente, anche nella sfera economica
(per esempio in Francia durante il Regno di Luigi XIV fiorì una forma di economia
statale chiamata mercantilismo, basata sull’idea che la grandezza del Re era
direttamente proporzionale alla prosperità dell’economia di uno Stato, quindi
bisognava accrescere la produzione e vendere all’estero. Lo stato divenne anche
produttore con monopoli e mise in atto un efficace sistema tributario).
La nascita dello Stato liberale:
Lo Stato liberale invece nasce tra la fine del 700 e la prima metà dell’800, a seguito
della crisi dello Stato assoluto (dovuto soprattutto a ragioni finanziarie che portarono
ad un peso fiscale ritenuto insopportabile dalla classe borghese). A tal proposito si
pensi:
1) alla Rivoluzione francese del 1789 che portò all’approvazione della Dichiarazione
dei diritti dell’uomo e del cittadino;
2) al Parlamento inglese che negava che il Re potesse imporre nuovi tributi senza il
suo consenso e riteneva illegittimi gli arresti arbitrari e l’alloggio forzato delle truppe
presso i privati;
3) ed infine, al caso americano che giunse alla Dichiarazione di indipendenza del 1776
in seguito al fatto che l’Inghilterra si era rivolta alle Colonie americane, imponendo
loro tasse senza il consenso delle assemblee locali, per rimpinguare le casse. Gli
americani risposero invocando il principio secondo cui era illegittima qualsiasi
tassazione che non fosse approvata dai loro rappresentanti eletti.
Stato Liberale ed economia di mercato
Un altro fattore importante che ha contribuito all’organizzazione del potere politico
dello Stato liberale è stato l’avvento dell’economia di mercato, basata sul libero
incontro tra domanda ed offerta di un determinato bene, in cui gli interessi tra
l’offerente e l’acquirente sono divergenti perché l’uno vuole vendere al prezzo più alto
e l’altro vuole acquistare al prezzo più basso.
Storicamente l’economia di mercato si è accoppiata al modo di produzione
capitalistico basata sulla distinzione tra i soggetti proprietari dei mezzi di produzione
ed i soggetti che vendono ai primi la loro forza lavoro affinché, inseriti nel ciclo
produttivo, producessero profitti per l’imprenditore.
Lo Stato assoluto ostacolava la nuova economia. L’economia di mercato e capitalistica
presupponeva la certezza del diritto di proprietà sia dei venditori che dei compratori,
la libertà contrattuale, l’abolizione dei privilegi, dei monopoli pubblici e di tutte le
restrizioni alla libera circolazione delle merci nonché rendere disponibili per gli
investimenti privati i fattori di produzioni quali la terra ed i capitali, evitando che lo
Stato assorbisse queste risorse per il suo funzionamento togliendole dal mercato.
Pertanto, le nuove modalità di produzione della ricchezza e l’esigenza di avere libertà
contro l’assolutismo condussero all’affermazione di una società civile distinta e
separata dallo Stato. Lo stato assoluto rendeva la società oggetto di gestione
politica; invece, lo Stato liberale doveva riconoscere e garantire la capacità della
società civile di autoregolarsi e di sviluppare autonomamente i propri interessi.
I caratteri dello stato liberale:
Il modello “Stato liberale” è caratterizzato dai seguenti tratti essenziali:
1) da una finalità politico costituzionale garantistica. Lo Stato è considerato uno
strumento per la tutela delle libertà e dei diritti degli individui, in primis del diritto di
proprietà;
2) dalla concezione dello Stato minimo. Se lo scopo dello Stato liberale è quello di
garantire i diritti, allora deve trattarsi di uno Stato limitato, titolare esclusivamente di
funzioni giurisdizionali, di tutela dell’ordine pubblico, di politica estera e di emissione
di moneta. Uno Stato quindi che si astiene dall’intervenire nella sfera economica,
affidata alle relazioni ed alle autoregolazioni tra privati.
3) dal principio di libertà individuale. Lo Stato riconosce e tutela la libertà
personale, la proprietà privata, la libertà contrattuale, la libertà di pensiero e di
stampa, la libertà religiosa, la libertà di domicilio, e gli individui sono uguali di fronte
alla legge.
4) dalla separazione dei poteri che consiste nella suddivisione del potere politico
tra soggetti istituzionali diversi che si controllano reciprocamente.
5) dal principio di legalità secondo cui la tutela dei diritti è affidata alla
legge. Più in particolare diremo che la sua caratterizzazione come Stato di diritto
significa che ogni limitazione della sfera di libertà riconosciuta a ciascun individuo
deve avvenire per mezzo della legge. Inoltre, tutta l’attività dei pubblici poteri deve
essere prevista dalla legge.
Questa funzione garantistica si basa su due premesse:
la legge deve avere i caratteri della generalità e dell’astrattezza ,
contrariamente sarebbe un mero strumento di arbitrio; nessuna restrizione alle
libertà potrà avvenire contro qualcuno se non si ricorrano le condizioni dettate
in via preventiva dalla legge;
la legge deve essere formata dai rappresentanti della Nazione , a cui membri
stessi essa si applica. Lo Stato liberale, perciò, si basa sul principio
rappresentativo.
6) dal principio rappresentativo. In forza di tale principio, le assemblee legislative
dello Stato liberale rappresentano l’intera “Nazione” o l’intero “popolo”, mentre invece
nello Stato assoluto venivano rappresentati solo gli appartenenti a determinati ceti
sociali (nobiltà, clero). I rappresentanti vengono comunque eletti da un corpo
elettorale assai ristretto, essenzialmente circoscritto alla classe borghese. In
conclusione, lo Stato liberale, proprio per questa sua peculiarità viene qualificato come
Stato monoclasse (per esempio diritto di voto solo ai cittadini “capaci” e “affidabili”).
La nascita dello Stato di democrazia pluralista
Lo Stato di democrazia pluralista si afferma a seguito di un lungo processo di
trasformazione dello Stato liberale che porta all’allargamento della sua base sociale,
per cui lo Stato monoclasse si trasforma in uno Stato pluriclasse: esso si fonda sul
riconoscimento e la garanzia della pluralità dei gruppi, degli interessi, delle idee, dei
valori che possono confrontarsi nella società ed esprimere la loro voce nei Parlamenti.
Perciò, sul piano storico l’elemento fondamentale dello Stato di democrazia pluralista è
l’allargamento dell’elettorato attivo che è culminato nel suffragio universale. In
particolare, tre sono le cose che hanno determinato il modo di essere dello Stato di
democrazia pluralista:
1. L’affermazione dei partiti di massa, che organizzano la partecipazione politica degli
elettori;
2. la configurazione degli organi elettivi come luogo di confronto e di scontro di
interessi eterogenei;
3. il riconoscimento di diritti sociali come strumenti di integrazione nello Stato dei
gruppi sociali più svantaggiati
LO STATO DI DEMOCRAZIA PLURALISTA
I partiti politici di massa
I partiti politici erano presenti anche nello Stato liberale, ma erano ristretti gruppi di
persone, legati da grande omogeneità economica e culturale. In regime di suffragio
limitato, tipico dell’età liberale, per essere eletti erano sufficient