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Parlando di clonazione, abbiamo diversi termini. Il
termine clonazione viene utilizzato in diversi contesti.
Abbiamo parlato di clonazione riproduttiva, nel senso
che si arriva alla clonazione di un individuo (Dolly o il
Tutt’altra cosa sono la
girino di Gurdon). clonazione
genica (non argomento di questo corso) e la clonazione
terapeutica.
In teoria si potrebbe pensare di sfruttare il trasferimento
del nucleo di una cellula somatica in una cellula uovo con
tecniche diverse (qui viene mostrata la fusione) per far
procedere lo sviluppo fino allo stadio di blastocisti. A
questo punto si potrebbero isolare dalla massa interna di
questa blastocisti le cellule che rappresentano cellule
staminali pluripotenti, che poi potrebbero essere utilizzate per ottenere qualsivoglia cellula differenziata con
un fine terapeutico.
Differentemente dalla clonazione riproduttiva di cui abbiamo due esempi (Gurdon e Wilmut), con
clonazione terapeutica ci si riferisce a quella procedura che inizialmente non si distingue dalla clonazione
riproduttiva ma che, invece di far procedere l’embrione con lo sviluppo fino alla clonazione di un nuovo
individuo, allo stadio di blastocisti si prelevano quelle cellule della massa interna che sono staminali
pluripotenti dal quale teoricamente si possono ottenere delle cellule differenziate (poiché sono pluripotenti
possiamo ottenere tutte le tipologie cellulari!) a fini terapeutici.
Ciò per sottolineare le diverse accezioni di clonazione riproduttiva e clonazione terapeutica.
Ci sono quindi tantissime aspettative nei riguardi dell’utilizzo delle cellule staminali. Per alcune staminali
adulte, il loro utilizzo è già realtà e vengono utilizzate da molto tempo. Per altre, staminali embrionali
data dalla l’enorme potenza differenziativa di queste cellule, il
incluse, soprattutto per motivi di sicurezza
loro utilizzo in medicina rigenerativa non è ancora realtà; ma ci sono tante aspettative per la possibilità di
poter curare delle patologie ad oggi senza cura (sclerosi laterale amiotrofica, morbo di Parkinson, morbo di
Alzheimer, diabete, distrofia muscolare).
Distrofia muscolare
A questo proposito, parlando di una patologia genetica incurabile, voglio raccontarvi di una sperimentazione
fatta con cellule staminali adulte.
Con il termine distrofia muscolare ci si riferisce a un gruppo di malattie degenerative neuromuscolari,
patologie genetiche, che portano progressivamente a un’aumentata atrofia della muscolatura scheletrica.
Ci sono diverse forme di distrofia muscolare, e le più diffuse sono la distrofia muscolare di Duchenne e la
distrofia muscolare di Becker.
La distrofia viene trasmessa come tratto recessivo associato al cromosoma x, e per questo si manifesta
prevalentemente nei maschi. Comprendono mutazioni a carico di geni codificanti, proteine, importanti nel
mantenimento dell’integrità/funzionalità della fibra muscolare: i geni muscolari mutati nella distrofia
che formano un’impalcatura a livello della
muscolare codificano delle proteine (distrofina, sarcoglicano)
membrana che permette alla fibra muscolare di funzionare e contrarsi bene.
Nella distrofia muscolare, proprio a causa di queste mutazioni a livello di queste proteine che portano la fibra
muscolare a non funzionare bene, la popolazione staminale residente è continuamente stimolata: le cellule
satelliti se ne starebbero quiescenti, ma il danno cronico sempre presente stimola continuamente le cellule
satelliti ad attivarsi nel tentativo infruttuoso di riparare la fibra danneggiata. È chiaro che, essendo una
malattia genetica, anche le satelliti possiedono questa mutazione e quindi la rigenerazione del muscolo non
va a buon fine, arrivando a una perdita della funzionalità del muscolo in cui questa rigenerazione che non
rigenera una fibra muscolare ma porta a una sorta di tessuto cicatrizzale nel muscolo, una cicatrice in cui il
connettivo sostituisce le cellule muscolari. Si parla quindi di tratta fibrotico, il muscolo non è più in grado
di contrarsi correttamente e si arriva alla perdita di funzionalità del tessuto.
Fra l’altro, proprio perché continuamente stimolate e attivate, nella distrofia muscolare si arriva a un
esaurimento delle cellule satellite: è come se il compartimento staminale, di continuo chiamato in causa,
porti a un depauperamento del compartimento staminale, il numero diminuisce e così diminuisce anche dal
punto di vista qualitativo, in quanto la loro funzionalità è alterata.
I mesoangioblasti
Parlando di una sperimentazione in merito a una
possibile terapia per la distrofia muscolare, si
introduce una tipologia di cellule staminali
mesodermiche, i mesoangioblasti, cellule
associate ai vasi. Il nome suggerisce due
caratteristiche appena dette. Ad esse sono
associate/derivate dai vasi sanguigni, e appaiono
così i mesoangioblasti quando isolati e messi in
coltura su un supporto solido (come si vede
nella prima immagine a fianco).
Queste cellule, che sono state isolate e scoperte
del professor Giulio Cossu quando lavorava al
San Raffaele di Milano, sono in grado di
differenziare in diversi tipi del mesoderma.
Queste cellule possono differenziare in
ostreociti, condrociti, adipociti, cellule
muscolari del muscolo liscio, cardiaco e
scheletrico. Chiaramente in seguito a
un’opportuna/specifica stimolazione.
Teniamo presente che, oltre che dalle cellule satelliti, la rigenerazione del muscolo scheletrico (come
possiamo vedere dall’immagine a fianco) è portata avanti anche da altri tipi di cellule staminali non residenti
nel muscolo scheletrico ma che invece sono circolanti o associate ai vasi che possono entrare in gioco e
contribuire in seguito a un danno.
Vedete che un danno a livello della fibra muscolare chiama in azione sia le cellule residenti staminali del
muscolo scheletrico (le satelliti) ma anche i mioblasti (che poi differenziano nei miotubi), che possono
derivare anche da queste cellule staminali multipotenti che non risiedono nel muscolo scheletrico ma che
possono essere richiamate dal danno.
Il professor Cossu ha dimostrato che queste
cellule, che aveva isolato e caratterizzato e che
sapeva che fossero in grado di differenziarsi a
muscolo scheletrico, sono state utilizzati in un
modello murino distrofico per curare la distrofia
di questi topi. I mesoangioblasti venivano
iniettati in circolo e riuscivano ad arrivare al
muscolo distrofico di questi topi.
Ecco una differenza importante con le cellule
satelliti: mentre le cellule satelliti sono residenti e sono già nel muscolo scheletrico, i mesoangioblasti (e altre
cellule staminali non residenti nel muscolo, circolanti o associate ai vasi) in circolo riescono a raggiungere il
muscolo. In un’ottica di terapia cellulare, e di utilizzo di queste cellule per curare una patologia del muscolo,
i mesoangioblasti a differenza delle satelliti presentano proprio questo vantaggio. Consideriamo a quanto è
esteso il tessuto muscolare. In un paziente distrofico tutti i muscoli di tutto il corpo sono malati, e quindi in
un’ottica di efficace terapia cellulare io devo essere in grado con le mie staminali di raggiungere tutti i
distretti tissutali muscolari malati.
Le mie cellule satelliti sono poco sfruttabili, come posso far arrivare queste satelliti (che non sono in grado di
muoversi nel circolo, in quanto già residenti nel muscolo) in tutti i distretti di un paziente malato?
Viceversa, questi mesoangioblasti associati ai vasi potrebbero essere iniettati (come nel modello murino
distrofico della sperimentazione) nei vasi e da lì poi raggiungere tutti i distretti tissutali. Anzi, essi sono
richiamati proprio lì in quanto il muscolo danneggiato è un muscolo infiammato, il quale rilascia dei
mediatori dell’infiammazione che sono in grado di chemioattrarre queste cellule laddove vi è il danno da
riparare: i mesoangioblasti vengono richiamati dal muscolo danneggiato e, una qui arrivati, differenziano a
mioblasti, miotubi e contribuiscono alla rigenerazione che permane nel tempo.
Addirittura, è possibile ipotizzare un’unione di
terapia cellulare e terapia genica.
In linea teorica, possiamo pensare di isolare i
mesoangioblasti da un paziente distrofico,
isolarli, espanderli in vitro (li fa aumentare di
numero) in quanto, se devo ritrapiantare nel
paziente, dovrò averne un grande numero
(ricordiamo che queste cellule sono rare!)
Posso quindi ipotizzare, in una terapia cellulare
utilizzando i mesoangioblasti nella terapia delle
distrofie muscolari, di poter arrivare in futuro a
prelevare mesoangioblasti da un paziente
distrofico, farli aumentare di numero in vitro (ed
è chiaro che devo conoscerli bene, non voglio
arrivare ad avere un numero di cellule
importante che non hanno niente a che vedere con le cellule iniziali che ho isolato dal paziente, ossia gli
→
mesoangioblasti li devo conoscere bene per poter avere questa fase di espansione in sicurezza).
Poiché anche i mesoangioblasti, come le satelliti che erano malate nel paziente distrofico, presentano la
mutazione, posso in linea teorica pensare grazie alla terapica genica di correggere questi mesoangioblasti
utilizzando per esempio dei vettori virali, che permettono di trasdurre il gene terapeutico. A questo punto
inietto di nuovo nelle arterie del paziente i mesoangioblasti curati grazie alla terapia genica, e queste cellule
grazie al circolo sanguigno riescono ad arrivare a tutti i distretti del muscolo (che sono danneggiati) e
contribuiscono alla rigenerazione/cura del muscolo malato.
Ciò in teoria.
Tornando alla sperimentazione di Cossu del 2003, Cossu aveva dimostrato che i mesoangioblasti (che aveva
isolato e caratterizzato dal topo e dall’uomo) quando venivano iniettati in un topo modello della distrofia
possiamo vedere al centro dell’immagine successiva)
muscolare (quindi in un topo distrofico, come
sintetizzano la proteina mancante nella distrofia.
CTR indica topi di controllo.
-SG KO sono i topi distrofici, dove KO sta
per Knock Out. Questo modello di distrofia
muscolare murina è rappresentato da un topo
knock out, ossia topi le cui cellule sono
knock out e non esprimono il gene che
codifica l’-sarcoglicano, proteina che ha un
importante ruolo di scaffold nella fibra
muscolare. Questi topi KO per l’-
sarcoglicano presentano un fenotipo
distrofico e sono utilizzati come modelli per
studiare la distrofia muscolare.
Queste immagini sono ottenute con il microscopio a fluorescenza e possiamo vedere che, mentre nei topi
-sarcoglicano
sani si vede l’espressione della proteina in rosso, nel muscolo distrofico non è presente.
Si ottiene tutto ciò utilizzando degli anticorpi anti-sarcoglicano coniugati a dei fluorofori che vengono
eccitati quando questi preparati vengono osservati al micr