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GLICOGENOLISI
Glicogeno fosforilasi
Essendo un polimero legato da legami alfa 1,4-glicosidici fra le unità di glucosio, c’è questo tipo di
legame perché la configurazione del carbonio anomerico 1 è una configurazione con l’OH al di sotto
del piano dell’anello, quindi si ha a che fare con un gruppo ossidrilico legato al carbonio anomerico in
configurazione alfa che si lega C4 non anomerico con legami alfa 1,4, che sono quelli che
caratterizzano la catena lineare di questa molecola e sono quelli sui quali agisce la glicogeno
fosforilasi.
Ovvero la glicogeno fosforilasi non è in grado di depolimerizzare, quindi staccare unità di glucosio
legati con legami alfa 1,6. Quindi è in grado di staccare esclusivamente legami alfa 1,4. Inoltre è in
grado di rimuoverli fino ad arrivare fino a 4 residui dalla ramificazione. Quindi riconosce l’estremità
detta non riducente, quindi quella che ha il gruppo ossidrilico 4 libero andando ad aggredire partendo
dall’estremità non riducente il primo legame alfa 1,4-glicosidico. Si ha a che fare con tante estremità
non riducenti quante sono i punti di ramificazione, quindi dal punto di vista probabilistico la glicogeno
fosforilasi troverà molte estremità non riducenti e una sola riducente a livello di una particella beta,
quindi avere il bersaglio a livello delle estremità non riducenti è fondamentale, infatti questi tipi di
enzimi si trovano associati proprio a livello delle estremità non riducenti delle estremità dei granuli
beta. Staccando i legami alfa 1,4-glicosidici, la rimozione di questi legami avviene con modalità
fosfolitica, aggiunta di un gruppo fosfato, viene conservata energia mediante il legame fosfoestre del
fosfato legato in C1 al glucosio. Utilizzando glicogeno per generare ATP all’interno della cellula epatica
e muscolare permette di ottenere una quantità di molecole di ATP aggiuntiva rispetto a quella che
avremmo nel caso in cui venisse utilizzato un glucosio libero, che proviene ad esempio dalla dieta.
Quindi utilizzare delle riserve endogene vuol dire risparmiare sempre una molecola di ATP. Quindi
produrre per ogni molecola di glucosio che entra all’interno della glicolisi 3 molecole di ATP e non 2.
Questo è un vantaggio dal punto di vista energetico che lo fa proprio l’utilizzo di glicogeno endogeno
piuttosto che amido o glicogeno proveniente dalla dieta l’intervento della glicogeno fosforilasi.
Quindi la glicogeno fosforilasi riesce a conservare parte dell’energia contenuta nel legame alfa 1,4-
glicosidico formando un estere fosforico del glucosio, ovvero il glucosio 1-fosfato. quello che viene
rilasciato è il glicogeno accorciato di un residuo che contiene sempre l’estremità non riducente
Quindi l’estremità non riducente può divenire ancora substrato di un’altra attività della glicogeno
fosforilasi atta a rimuovere glucosio, fino ad arrivare a 4 residui dal punto di ramificazione, dove invece
agisce l’enzima deramificante.
Regolazione
La glicogeno fosforilasi è un enzima multimerico costituito da due subunità identiche che si associano
a formare una struttura quaternaria. La glicogeno fosforilasicostituito da un dimero funzionale che è
presente in due divere conformazione:
- Glicogeno fosforilasi b (forma inattiva) è presente in una forma defosdforilata a livello della
→
serina 14, quindi la serina 14 di entrambe le subunità se è presente in forma defosforilata serve
a dare origine ad una forma che ha meno attività catalitica.
- Glicogeno fosforilasi a (forma attiva) la serina in posizione 14 è fosforilata ed è in forma
→
attiva. Assume quindi una conformazione in grado di aggredire le estremità non riducenti del
glicogeno depolimerizzandole e lasciando glucosio 1-fosfato.
Ciò che regola questa transizione reversibile è la fosforilazione che è dipendente nel fegato dal
glucagone, la cui cascata di attivazione implica l’aumento dell’AMP ciclico che si riperquote
sull’attivazione di un enzima che è la proteina chinasi a che ha come bersaglio indiretto la glicogeno
fosforilasi. Quindi per effetto della stimolazione con il glucagone prevale lo stato fosforilato di questo
enzima e quindi attivo. Infatti il glucagone ha l’effetto di aumentare la depolimerizzazione del
glicogeno a livello del fegato. Stessa cosa fa l’adrenalina nel muscolo, aumenta lo stato di
fosforilazione di questo enzima determinando
una maggiore attività catalitica. Si affianca a
questo tipo di regolazione covalente reversibile
per fosforilazione dove l’enzima è attivo in
forma fosforilata, i meccanismi che sono
deputati alla regolazione covalente reversibile
di solito provengono da modifiche che
avvengono al di fuori della cellula per
perturbazione dell’ambiente extracellulare, si
ha anche una regolazione di tipo allosterico.
Ciò che conta nell’equilibrio della regolazione
metabolica è anche quello che avviene dentro
la cellula mediante la variazione di parametri
intracellulari. Due di questi nel muscolo
possono essere:
- Il calcio variazioni di livelli di calcio
→
si riperquotono su un’attivazione della
glucosio fosforilasi
- L’AMP l’aumento di AMP (non AMP
→
ciclico) determina una diminuzione di
ATP e quindi una diminuzione della
carica energetica. Ll’AMP aumenta
all’interno della cellula muscolare
quando sono attivi i processi di contrazione che consumano ATP che si trasforma in ADP e poi
c’è un enzima che utilizza due molecole di ADP formando una molecola di ATP e una molecola
di AMP. In questo modo l’ATP viene utilizzato nel processo di contrazione muscolare e l’AMP è
un sensore fondamentale di carica energetica cellulare, per attivare la glicogeno fosforilasi
con modalità di tipo allosterico. A livello della glicogeno fosforilasi, isozima muscolare, un sito
allosterico di legame di riconoscimento dell’AMP atto a poter cambiare conformazione sulla
base della presenza di questo metabolita.
Una deriva quindi dalla perturbazione dell’ambiente esterno (regolazione covalente reversibile) e
l’altra dalla perturbazione di fattori interni (calcio e AMP).
Al contrario il processo di defosforilazione è portato avanti da un enzima che è sottoposto a
regolazione positiva da parte dlel’insulina, ormone ipoglicemizzante, che invece segnala l’eccesso di
glucosio in circolo. E questo sta a significare chela fosfoproteina fosfatasi di tipo 1 che è attivata
dall’insulina defosforilando la glicogeno fosforilasi determina l’acquisizione di una conformazione
inattiva in grado quindi di diminuire la glicogenolisi aumentando invece la glicogenosintesi.
La glicogeno fosforilasi è regolata direttamente per fosforilazione dall’enzima fosforilasi chiansi che
trasferisce l’informazione dalla proteina chinasi a alla glicogeno fosforilasi.
Quindi per azione del glucagone e attivazione della cascata di segnalazione aumentano i livelli di AMP
ciclico che attivano la proteina chinasi a la quale non va direttamente a fosforilare la glicogeno
fosforilasi ma fosforila un enzima che si trova in mezzo alla cascata di segnalazione e che si chiama
fosforilasi chinasi. Anch’essa si trova in due forme:
- Attiva glicogeno fosforilasi chinasi di tipo a forma fosforilata
→ →
- Inattiva glicogeno fosforilasi chinasi di tipo b anche in questo caso questa forma è
→ →
inattivata dalla conformazione della proteina defosforilata
La glicogeno fosforilasi è un dimero, che nel meccanismo di reazione presenta a livello del sito attivo
un fosfato inorganico che agisce aggredendo il legame alfa 1,4-glicosidico. Il fosfato inorganico viene
orientato in posizione corretta rispetto al legame glicosidico grazie alla presenza del piridossato
fosfato, che è un derivato della vitamina D6, che non lo si ritrova come vitamina nel metabolismo degli
amminoacidi ma agisce come un acido generale in modo da permettere l fosfato inorganico di
orientarsi nella maniera corretta e aggredire il legame alfa 1,4-glicosidico. La glicogeno fosforilasi
presenta due forme:
- Forma T (teso o inattivo)
- Forma R (rilassata o attiva)
Hanno conformazioni differenti sulla base del segmento amminoterminale di ciascuna delle due
subunità dove è contenuta la serina 14. Nello stato teso è defosforilato, mentre quando viene
fosforilato cambia di conformazione e determina l’interazione, in virtù della presenza di un fosfato
carico negativamente, l’interazione con un’altra controparte della proteina in modo da ripiegare
questa struttura a farfalla con rotazione di circa 10° per ciascuna subunità.
A livello muscolare l’AMP funziona in modo da cambiare l’equilibrio conformazionale in modo da
determinare una maggiore attività catalitica di questo enzima determinando quindi una transizione fra
lo stato T e lo stato R anche nella forma defosforilata. Quindi l’AMP bypassa la regolazione per
fosforilazione portata avanti dalla fosfatasi chiansi determinando l’acquisizione di una conformazione
attiva dell’enzima, indipendentemente dallo stato di fosforilazione. L’AMP aumenta quando la cellula
si trova in uno stato energetico basso e ha quindi bisogno di attivare il metabolismo ossidativo del
glucosio.
Al contrario l’ATP anche in condizioni di fosforilazione dell’enzima, quindi dell’acquisizione della
conformazione attiva, è in grado di cambiare gli equilibri fra la forma R e la forma T, determinando
l’acquisizione di una forma T anche se defosforilata. L’aumento di carica energetica segnala che la
cellula deve rallentare la glicogenolisi.
Nel fegato invece è espressa una glicogeno fosforilasi che ha come sensore la variazione di
concentrazione del glucosio. Quando cambia la concentrazione di glucosio, questo va a perturbare
l’equilibrio. L’eccesso di glucosio determina l’acquisizione di una conformazione meno attiva
dell’enzima, perché segnale nel fegato la presenza di eccesso di glucosio, quindi non è necessario
attivare la glicosgenolisi.
Quindi mentre ATP e AMP funzionano a livello del muscolo per poter regolare l’equilibrio. Nel fegato si
ha un equilibrio che è regolato dalla concentrazione di glucosio.
L’isoforma epatica è sempre un dimero funzionale, è sempre costituito da residui di serina 14 che
possono essere sottoposti a fosforilazione o defosforilazione, ma presenta anche un sito allosterico
per il glucosio. Quando il glucosio aumenta questo si va a legare alla glicogeno fosforilasi a a livello dei
siti allosterici, determinando un’esposizione della porzione ammino terminale (che di s