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Pertanto: – –
La pena da infliggere sarà quella di anni 22 e mesi 6 di reclusione pena iniziale già irrogata dal g.u.p.
ridotta a quella di anni 18 per le concesse attenuanti generiche ed ulteriormente ridotta a quella di anni 12 per la
diminuita imputabilità.
L’aumento operato per la contravvenzione [del porto abusivo dell’arma secondo la disciplina della
continuazione] in ragione di mesi 3 di reclusione nella sentenza impugnata pare del tutto congruo se non altro
per non aver l’imputato portato fuori della propria abitazione un coltello qualunque, bensì uno espressamente
acquistato per commettere l’omicidio il che connota non solo l’elemento materiale ma anche quello psicologico
di particolare gravità.
Sulla pena così determinata in anni 12 e mesi 3 di reclusione si dovrà operare la riduzione per il rito
prescelto sicché la pena sarà quella di anni 8 e mesi 2 di reclusione.
Di fatto, un anno in meno rispetto alla precedente condanna, dovuta alla considerazione del difetto
al massimo della riduzione dell’imputabilità, diversamente che nella
genetico che ha portato alla attribuzione
prima sentenza.
3. Il caso di Como
Il rapporto tra genetica e comportamento deviante si ripropone ancora in Italia, poco dopo la sentenza di
Trieste, con riduzione di pena a seguito di perizia neuroscientifica.
Nel 2009 in un paese della provincia di Como una giovane donna, S.A., viene arrestata in flagranza di
reato mentre tentava di strangolare la madre, fermata in tempo da una irruzione delle forze dell'ordine messe
in allarme da intercettazioni ambientali, in quanto S.A. era già sospettata di aver ucciso la sorella
quarantenne e averne poi fatto sparire il corpo.
L’imputata, a seguito di approfondite indagini, viene chiamata a rispondere di numerosi gravi reati:
sequestro ed omicidio della sorella, preceduto da somministrazione di farmaci benzodiazepinici;
soppressione e distruzione di cadavere, utilizzo indebito di carte di credito appartenenti alla sorella uccisa;
somministrazione di droghe e medicinali al padre, tentato omicidio di entrambi i genitori tentando di far
esplodere la loro auto, e infine tentato omicidio della madre.
Il Gip di Como, con sentenza del 20 maggio 2011 con rito abbreviato, ha condannato S.A. a 20 anni di
reclusione, riconoscendole un vizio parziale di mente ex art. 89 c.p. e così motivando in sentenza: «per la
presenza di tre alleli sfavorevoli, ovvero alleli che conferiscono un significativo aumento del rischio di
sviluppo di comportamento aggressivo impulsivo [...] ed alterazioni nella densità della sostanza grigia, in
alcune zone chiave del cervello, in particolare nel cingolo anteriore, un'area del cervello che ha la funzione di
inibire il comportamento automatico e sostituirlo con un altro comportamento e che è coinvolto anche nei
processi che regolano la menzogna, oltre che nei processi di suggestionabilità ed autosuggestionabilità e
nella regolazione delle azioni aggressive».
Come nel caso di Trieste prima citato, il vizio parziale di mente è supportato non solo dai tradizionali
mezzi di accertamento psichiatrico e psicologico (test, osservazione comportamentale, colloqui) ma da
specifiche indagini di genetica molecolare e di neuroimaging cerebrale che dimostrano le condizioni
neurobiologiche di rischio di comportamento impulsivo e aggressivo. Alla predisposizione genetica si
associano infatti anomalie anatomico-funzionali tipiche dei comportamenti antisociali violenti.
4. Sulle perizie neuroscientifiche interviene la Cassazione
L’intervento della Corte di Cassazione, sez. I, n. 11897 del 18 maggio 2018 sulle perizie
neuroscientifiche prende lo spunto da un altro caso che assomma una quantità di gravi reati: sequestro di
persona, omicidio, furto, occultamento e vilipendio di cadavere.
4 accosta l’auto, la
I reati avvengono il 2 novembre 2014. P. A. vede una giovane donna che fa jogging,
aggredisce percuotendola fino a crederla morta; la carica nel bagagliaio e la getta da un dirupo, ma
accortosi che è ancora viva la uccide colpendola alla testa con un sasso. Poi, dopo aver pranzato con un
amico, torna sul luogo del delitto, si masturba sul cadavere e poi lo occulta dopo averle sottratto i gioielli.
Individuato dopo le indagini, confessa e chiede il giudizio abbreviato ma il g.u.p. lo condanna
all’ergastolo, respingendo la richiesta di perizia psichiatrica.
La sentenza viene impugnata con la motivazione di un parziale vizio di mente conseguente ad un
incidente stradale subito diciotto anni prima, da cui era derivata una lesione cerebrale che investiva le
aree inibitrici delle pulsioni violente. Inoltre ad un esame genetico risulta la presenza di «fattori
costituzionali e, verosimilmente, anche ambientali, che, non rilevanti ai fini medico-legali, potevano
favorire lo sviluppo di comportamenti socialmente aggressivi e aberranti».
una predisposizione biologica all’aggressività, e viene ritenuta attendibile
La perizia conclude per
dalla Corte d’Assise d’Appello di Roma che riconosce l’attenuante del vizio parziale di mente ex art. 89
c.p., considerata equivalente alle aggravanti, e riduce la pena a 20 anni di reclusione.
Il ricorso in Cassazione promosso dalla Procura e dalle parti civili fa leva su argomentazioni
scientifiche e fattuali: gli studi neuroscientifici e genetici applicati sono ancora in fasi embrionali, e non
tra danni neurobiologici e comportamenti devianti; inoltre l’imputato
possono stabilire connessioni certe
dopo l’incidente si era sposato e aveva continuato il proprio lavoro senza problemi.
La Cassazione nel rigettare il ricorso condivide la logicità del ragionamento seguito dalla Corte
riguardo l’attendibilità delle tecniche scientifiche utilizzate, citando «la completezza della
d’Appello
indagine, scientificamente supportata, statisticamente verificata e nel concreto riscontrata dalle altre
risultanze processuali, e la sua resistenza a fronte di soccombenti obiezioni e rilievi contrari»; conferma
dall’equazione
che la perizia non sostiene la negazione del libero arbitrio desumendola «danno, più
predisposizione genetica, uguale necessaria infermità di mente».
Infatti non è soltanto il danno psicobiologico a causare il comportamento antisociale (altrimenti si
è l’insieme delle cause organiche predisponenti e
sarebbe ipotizzato il vizio totale di mente); di quelle
sociali e contestuali che consente la manifestazione del comportamento criminoso provocando
l’incapacità «a governare la propria volontà, viziata dal danno cerebrale riportato».
Tre le considerazioni deducibili da questa sentenza della Cassazione:
Le anomalie genetiche e cerebrali non arrivano a negare l’esistenza del libero arbitrio, ma
- costituiscono fattori che, insieme ad altri possono giustificare la diminuita capacità di intendere e
volere;
- la prova della mancanza o della diminuita imputabilità può basarsi su un probabile nesso
eziologico tra anomalie psicobiologiche e reato;
- la valutazione di legittimità da parte della Suprema Corte riguarda non la attendibilità in sé della
tecnica neuroscientifica utilizzata, ma la coerenza argomentativa usata dal giudice nel motivare la
sentenza. Quindi è il giudice di merito che deve vagliare caso per caso l’attendibilità delle
tecniche usate, come avviene per tutte le prove portate nelle perizie.
Come ha fatto rilevare Tonini (2011), vengono così accolti nella giurisprudenza italiana alcuni criteri
enunciati nel 1993 nella sentenza Daubert della Suprema Corte degli Stati Uniti: la teoria va sottoposta a
verifiche sperimentali e ad opportuni tentativi di falsificazione; va valutata mediante peer review; va
individuato il possibile tasso di errore, accertato o potenziale; va valutato il grado di consenso scientifico
riscosso dalla teoria che si usa a scopo peritale.
Il “custode della prova”, anche di quella neuroscientifica, è sempre e comunque il giudice di merito,
avvalendosi si contributi peritali basati su teorie e metodi scientificamente comprovati.
l’esame di questi casi (cui altri analoghi sono seguiti) e delle considerazioni
Dopo generali della
–
Cassazione, è il momento di riflettere anche alla luce dei commenti scientifici e giuridici che ne sono
–
derivati (Basile e Vallar, 2016; Bianchi, Gulotta e Sartori, 2012; Grandi, 2017; Merzagora, 2012) sul
senso del rapporto tra imputabilità e alterazioni genetiche, e sull’apporto di questo tipo di perizie
neuroscientifiche alle procedure giudiziarie.
L’aggressività
5. Il problema teorico: criminale è un problema genetico?
Sin dall’antichità, e più recentemente dai tempi di Lombroso si è posta l’esigenza di ricondurre la
(1884),
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violenza a modelli biologici e genetici che ne potessero spiegare le origini ma anche consentire la
prevedibilità e la riconoscibilità in termini giudiziari.
Oggi, tramontate le ‘fisiognomiche’ lombrosiane e ridimensionati i tentativi di localizzare nel cervello le
aree della violenza, si fa strada una spiegazione biologica ricercando polimorfismi genetici in grado di
modulare le reazioni a variabili ambientali quali eventi stressanti, e di facilitare una reazione impulsiva e
3
violenta .
Ancor prima della conoscenza degli effetti del gene MAO-A-L di cui alle sentenze citate, si sapeva che
alcuni neuro-modulatori geneticamente condizionati come la dopamina, la serotonina, gli steroidi sessuali, i
coinvolti nel controllo dell’aggressività,
glucocorticoidi e la vasopressina, possono essere e sarebbe possibile
quindi individuare possibili marcatori biologici della predisposizione verso condotte criminali violente. Si è
‘vulnerabilità genetica’
detto della prodotta dalla variante del gene MAO-A che può avere un peso maggiore
se la persona portatrice è cresciuta in un contesto familiare e sociale non positivo ed è stato, specialmente
nell’infanzia, esposto a fattori ambientali sfavorevoli, psicologicamente traumatici o negativi.
Non sono mancate le prese di posizione ironiche sul gene che rimpiazza la tradizionale figura materna
nella induzione di comportamenti negativi nei figli (Dobbs, 2007, p. 21). Ma di fatto, come è stato più volte
ribadito, non esiste una correlazione diretta fra genetica e crimine violento, considerati anche i numerosi
studi sperimentali che al riguardo hanno ottenuto risultati contraddittori o non replicati.
Solo alcuni geni sono stati associati con condotte impulsivo-aggressive in modo piuttosto univoco (SLC6A4
e MAO-A, che hanno un ruolo chiave nel controllo della neurotrasmissione serotoninergica cerebrale), ma la
varianza spiegata è stimata non superiore al 5% per la variant