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MODELLO RAZIONALE DINAMICO:
-Teoria umorale ippocratico galenica: malattia come squilibrio/discrasia degli
umori
-Teoria iatromeccanica e teoria iatrochimica: uomo come orologio, all’interno del
quale vi sono micromacchine che devono funzionare bene, salute come equilibrio
fisico o chimico
Pratica terapeutica: ristabilire l’equilibrio degli umori, riparare la macchina-uomo o il
laboratorio-uomo
-Teoria dell’omeostasi: salute come giusto equilibrio tra le parti interne, visione
biologica
-Teoria ecologista della salute: salute come giusto equilibrio tra parti interne ed
esterne (ambiente), concezione One Health
-Medicina molecolare: salute come risultato della riparazione dei guasti genetici
Pratica terapeutica: ristabilire l’equilibrio e riparare i guasti genetici
MODELLO POSITIVISTA BATTERIOLOGICO
-Teoria dei germi: sul finire dell’800 si dimostra che sono i germi la causa delle
malattie infettive. La visione del tempo è assolutistica: tutte le patologie vengono fatte
risalire al microbo, trascendendo situazioni in cui non lo è. Nel 900 infatti vengono
considerati i fattori costituzionali e predisponenti.
Pratica terapeutica: siero-vaccino terapia(il vaccino permette di immunizzarsi, il
siero sono anticorpi già formati che sconfiggono la malattia), chemioterapia(il farmaco
viene considerato come una pallottola magica che sparata nell’organismo uccide il
microbo)
-Teoria dei virus e delle particelle subvirali: le nicchie biologiche lasciate libere
dai germi vengono occupate da entità biologiche più piccole nei confronti dei quali gli
antibiotici sono impotenti. A partire dagli anni 70 assistiamo a un ritorno di patologie
infettive sostenute da virus (AIDS, mucca pazza, SARS, influenza aviaria, Covid-19).
Pratica terapeutica: siero-vaccino terapia, farmaci antivirali
MODELLO RIDUZIONISTA BIOLOGICO
Uomo come animale complesso: i fenomeni fisiologici e patologici sono interpretati
dal punto di vista della biologia. Dagli anni 60 prendono piedi nuovi paradigmi, tra cui
quello biochimico, immunologico e genetico.
Darwinismo medico e interpretazione evoluzionistica della medicina:
superamento del modello meccanicistico, perché per molte patologie adottiamo
ancora la visione seicentesca dell’uomo macchina (esempio: la chirurgia dei trapianti è
una logica puramente meccanica, tuttavia è una visione lontana dalla complessità
dell’uomo; la medicina generativista mette in atto meccanismi nell’organismo che
rigenera parti alterate o l’organo stesso). Visione dell’uomo come uno dei tanti
elementi della biosfera in una prospettiva di selezione naturale.
Pratica terapeutica: terapia rigenerativa che favorisce le risposte biologiche
(esempio: non contrastare la febbre perché è una risposta fisiologica e favorisce il
processo di guarigione)
MODELLO EMPIRICO EPIDEMIOLOGICO
-Interpretazione tra uomo, società e ambiente: malattie dovute a cause
ambientali (tumori causati dall’inquinamento, malattie da lavoro come quelle causate
da amianto o fumi tossici), e a cause sociali (patologie comportamentali e da stress)
Pratica terapeutica: azione sull’ambiente e sulla società prima che sull’individuo
I modelli culturali della biomedicina sono diversi dai modelli di altre culture mediche o
sono solo più sofisticati? confronto tra i modelli delle culture mediche
MODELLO ESOGENO
Agente nocivo soprannaturale o extranaturale, espressione di una volontà
maligna divina o umana, che entra nell’individuo determinando la patologia; ad
esempio nella visione della medicina israelitica è Jahvè che manda la maledizione
della malattia come punizione del peccato, oppure nella visione magica è un’entità
maligna che entra nel corpo.
Pratica terapeutica: i doni e le preghiere innalzati alla divinità, lo sciamano che
attraverso rituali allontana l’entità.
In realtà anche nella visione biomedica ci sono entità nocive naturali che
determinano la malattia (germi e virus), oppure è l’ambiente che con l’influsso
planetario e le condizioni ecologiche influenza la salute. Allora questi modello non
sono così distanti tra loro. Cambiano le modalità, ma il modello teorico che supporta
queste visioni è sovrapponibile.
MODELLO ENDOGENO
Predisposizione e costituzione individuale: per l’etnomedicina l’elemento
endogeno corrisponde all’impronta astrale.
Pratica terapeutica: nel caso dell’impronta astrale sono i riti magici a rimuovere i
malefici e procurare inflenze positive o il riequilibrio energetico, mentre per quanto
riguarda la visione biomedica si parla di patrimonio genetico, la pratica è la terapia
immunodepressiva o la terapia biologica genetica.
MODELLO ADDITIVO
Malattia come “aggiunta estranea”: conseguenza del peccato (medicina teistica),
eccesso di umore (medicine umoralistiche), agente patogeno (medicina occidentale).
Pratica terapeutica: eliminazione dell’eccesso (riti di rimozione, farmacoterapia,
chirurgia)
MODELLO SOTTRATTIVO
Malattia come perdita: perdita dell’equilibrio (tra umori, energie, parti), della salute
o perdita della purezza. Visione molto presente nella medicina araba dove la perdita
necessita di un processo di purificazione (abluzione) o di aggiunte per compensare
(piante medicinali).
Se compariamo i modelli intrepretativi della biomedicina e dell’etnomedicina troviamo
grandi analogie. Ad oggi ci si confronta con malati che provengono da culture differenti
e hanno una concezione legata alla malattia, alla salute e alla terapia diverse dalla
biomedicina. Le proposte che dobbiamo fare usando l’efficienza dei nostri sistemi
biomedici devono essere inseriti in queste visioni differenti dalla nostra, altrimenti
otterremo un rifiuto che porta all’insuccesso diagnostico e terapeutico. MEDICINA
INTERCULTURALE: non significa rinunciare all’efficienza e all’efficacia dei nostri
metodi, ma modularli sulle idee che altre culture forniscono in questo ambito. Spesso
vi sono aspetti molto pratici: una donna incinta che segue la religione islamica
chiederà di essere visitata da una donna, e noi dobbiamo garantire e anticipare questa
situazione.
Se ad un malato di origine africana con un’infezione proponiamo terapia antibiotica,
probabilmente la rifiuterà perché la malattia è vista come disordine sociale la cui
rimozione richiede un rituale collettivo. Se lo proponiamo in un contesto di un rituale
più complesso, ad esempio chiedere a un parente di far assumere la terapia con
determinate parole e modalità, probabilmente verrà accettato.
Questa medicina interculturale porta verso un modello integrato che passa
attraverso anche altre culture mediche attraverso vari approcci:
-naturale: la natura ha in sé una forza di guarigione e sollecitare l’individuo perché si
senta partecipe di questo processo favorisce la guarigione; preferire farmaci di origine
naturale piuttosto che sintetica, incentivare corretti stili di vita
-olistico: spesso la biomedicina dimentica l’importanza di illness e l’approccio che
tenga conto di tutta la realtà del soggetto
-individuale: la medicina deve essere individualizzata sul piano terapeutico; le
persone rispondono diversamente ai farmaci
-collaborante: il paziente deve avere un ruolo attivo, partecipando al processo di
condivisione propedeutico alla guarigione; alleanza terapeutica tra malato e medico,
che si pongano sullo stesso piano e si confrontino per realizzare il percorso di
guarigione migliore
La medicina interculturale è un modello di medicina integrato che non significa
rinunciare alla biomedicina ma saperla integrare con le diverse culture mediche; deve
essere una medicina rispettosa della persona perché nessun malato deve sentirsi fuori
luogo.
4 LEZIONE- Storia e antropologia dal Rinascimento al tempo del Covid 19
Le mascherine hanno “smascherato” quelli che erano restii soprattutto nella fase
iniziale di avere un atteggiamento di poco rispetto nei propri confronti e negli altri.
Riflettere sulla parte più significativa del corpo ovvero il volto, importante per la
presentazione della nostra realtà e nella relazione con gli altri. Esistono parti del
nostro cervello che si attivano solo di fronte ad un volto.
MASCHERINE E PANDEMIE
La maggior parte delle persone ha scoperto le mascherine in occasione della
pandemia. Le mascherine mediche sono sempre presenti perché sono strumenti e
barriere meccaniche che non consentono al virus di entrare e uscire. Una delle prime
pandemie più disastrose è stata la peste o peius morbus, ovvero malattia che
interessa tutto il popolo. L’epidemia veniva chiamata pestilenza, sinonimo di epidemie
di peste, ma si intendeva peius morbus, un morbo tale per cui era considerata la
peggiore malattia perché coinvolgeva larghi strati di popolazione. Se non coinvolgeva
tutta la popolazione, allora si parlava di epidemie (epi demos, sopra la popolazione).
L’idea tipica del 500/600 era che le malattie si diffondessero attraverso i miasmi(la
cattiva aria, puzzolente). Infatti, nelle città medioevali, i liquami venivano buttati sulla
strada e c’era una cattiva aria. Il rimedio furono le prime maschere, costituite da un
panno che si teneva sul naso quando si camminava per strada. È solo tra 500 e 600
che nascono delle maschere di cartapesta utilizzate dai medici, che contenevano al
loro interno sostanze odorose: un esempio sono le maschere della peste. Nel 900
nascono delle vere e proprie mascherine con protezione epidemiologica. Le epidemie
di peste sono presenti e descritte in epoca romana e greca, ma quelle che conosciamo
bene sono la peste nera del 1300 descritta da Boccaccio, la peste di San Carlo a metà
500(vescovo di Milano che presta assistenza), la peste del Manzoni descritta nei
Promessi Sposi a inizio 600, la spagnola 1918-1920.
I consigli di fronte ad una pestilenza sono di fuggire, andare il più lontano possibile e di
tornare il più tardi possibile. Questo vale per la popolazione, ma purtroppo viene
messo in atto anche dai medici che rinunciano al loro scopo di assistere gli appestati.
Utilizzano una tunica nera, la maschera e un bastone( emblema del medico e una
modalità di difesa per verificare i bubboni sulla pelle del malato). Il corpo senza vita
dei malati veniva portato al di fuori delle mura. L’assistenza ai malati era molto
problematica: erano principalmente i religiosi che se ne prendevano cura nei
lazzaretti, dove si praticava una sorta di quarantena. Qualche secolo prima, la
Repubblica di Venezia mise in atto un sistema per evitare che i malati di peste
entrassero nella città e contagiassero: le navi che arrivavano venivano f