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ANDRAOS ALLEANZA DI LAVORO
Abbiamo visto che l'alleanza di lavoro è un costrutto transteorico, quindi
un costrutto che, aspettate che non ho condiviso le slide con i colleghi,
giusto? Sì Da casa tutto bene, mi sentite bene? Sì, sì, però facciamo
Perfetto Eccoci Allora abbiamo detto che l'alleanza è un costrutto che è
transteorico perché è universalmente riconosciuto in tutte le teorie che si
affacciano nel mondo della psicologia, tutti i modelli di pensiero, tutte le
scuole di psicoterapia e tutte le teorie da quella psicoanalitica a quella
cognitivista o cognitiva condividono appunto il concetto della
cooperazione nel lavoro tra psicologo e soggetto, cliente, soggetto,
paziente nel momento in cui si intraprende il percorso.
Bording è l'autore che negli anni 80, vedete, fa tutta una serie di studi
analizzando appunto i vari approcci e riscontra tre componenti essenziali
che vanno a strutturare quella che noi chiamiamo alleanza di lavoro ma
anche alleanza terapeutica ma anche alleanza diagnostica se riferita alla
prima fase di valutazione. Goal, task e bond sono questi tre aspetti che lui
formula. Allora, il goal riguarda proprio la condivisione esplicita degli
obiettivi di cambiamento sia da parte del cliente sia da parte del clinico.
Il task riguarda proprio una chiara definizione dei compiti che ognuna
delle due parti in gioco deve in qualche modo assolvere e poi c'è il bond
che è la parte più emotiva, affettiva è quel legame che si viene a creare
proprio dalla condivisione degli obiettivi appunto dalla messa in atto dei
compiti e che è caratterizzato dal rispetto, dalla fiducia dal senso di
sicurezza che il soggetto riesce a trovare nella relazione col clinico.
Vediamoli meglio. Il goal, abbiamo detto il consenso sull'obiettivo
consenso del soggetto rispetto all'obiettivo di cambiamento richiede un
accordo tra clinico e cliente sulle finalità del cambiamento.
Il clinico spesso spiega le aspettative del percorso diagnostico e
successivamente terapeutico e valuta come il soggetto assorbe e usa poi
queste informazioni. E' resistente? Temporeggia? Accetta? Accetta senza
fare domande? Sono tutte, come dire, modalità relazionali che già il clinico
osserva nel soggetto rispetto a una proposta di un lavoro. E quindi avere il
consenso da parte del soggetto rispetto a lavorare su quell'obiettivo è
valutabile da parte del clinico tenendo conto di quanto questi obiettivi
vengano discursi, espressi, condivisi dalla percezione della loro
determinazione da parte del soggetto e dall'impegno a conseguirli.
Che vuol dire dalla percezione della loro determinazione? E' probabile che
a volte il clinico immagina di avere delle... non immagina, valuta che ci
siano delle priorità su cui lavorare e il soggetto invece arriva in terapia
con un'altra richiesta, un altro obiettivo. E che quindi a volte non c'è... ci
sono, come dire, due determinazioni a lavorare in due direzioni diverse,
no? Opposte, diverse. I tipici esempi di questo tipo sono quando le
persone arrivano e dicono sì, ma io voglio mettermi a dieta, no? Uso
esempio un po' più concreti per darvi un altro aspetto molto comune è lo
smettere di fumare.
Dentro quella richiesta di cambiamento spesso il clinico rintraccia altre
motivazioni. La difficoltà nella regolazione delle emozioni, quindi c'è per
esempio una disregolazione delle emozioni, oppure pensate, no, ad
aspetti, a quelli abbuffati e bulimiche, no? Cui c'è sotto un aspetto di
regolazione. O aspetti più di dipendenza che non sono solo legati a cibo, a
sigaretta, ma a altri comportamenti.
Il clinico intravede appunto delle criticità in quel modo di funzionare. E
quindi pensa che sia quello il punto di partenza rispetto a quello che sta
chiedendo il soggetto stesso. Sono, come dire, prospettive differenti date
dal fatto che il clinico ha una conoscenza di che cosa c'è dentro una
dipendenza comportamentale.
In questo senso può essere utile condividere questi obiettivi e trovare una
strada comune che possa sia far sentire il soggetto partecipare al
processo di cambiamento, sia del clinico lavorare sulle cause, no?
Piuttosto che sull'effetto. Non riuscirò mai ad aiutare una persona a
mettersi a dieta se prima non l'aiuto a riconoscere, a gestire delle spinte
emotive, no? E a lavorare sull'impulsività. Sto parlando di casi un po' più,
diciamo, complessi, ok? Per cui spesso la via di concordare gli obiettivi è
molto utile per il primo punto dell'alleanza.
Il consenso sui compiti concerne invece tutti i processi di cambiamento e
le tecniche più idonee per raggiungere ulteriori stadi del cambiamento. Gli
stadi del cambiamento li vedremo bene nella teoria degli stadi del
cambiamento tra qualche lezione. Che cosa si intende? Cioè, ognuno dei
soggetti, clinico e paziente, hanno dei compiti specifici.
E questi due compiti, questa serie di compiti, no? Devono in qualche modo
essere messi in atto, ci deve essere un impegno su questi compiti affinché
il goal, l'obiettivo, come vi ho detto sopra, può essere comunque
perseguito. È proprio in questo lavoro sulla reciprocità dei compiti e sulla
condivisione degli obiettivi che si crea il terzo fattore, che è quel legame
emotivo-affettivo che nasce proprio dall'interazione di due variabili
principali. Da cosa? Da una parte, il contributo del clinico.
Cosa dà il clinico? Qual è il compito del clinico? Come mi pongo nei
confronti del paziente, quindi l'attenzione che pongo a quel paziente, con
quella storia, con quel problema. È un'attenzione, come dite, che può
essere diversa o modificata rispetto a un'altra struttura di personalità. Gli
schemi emotivo e cognitivi, il clinico, abbiamo detto, tutto il sacchino
interno deve lavorare su di sé per gestire i propri schemi emotivo e
cognitivi nei confronti del paziente.
Dall'altra parte, qual è il compito del paziente? Stare in relazione col
clinico, quindi durante il colloquio, portando le sue caratteristiche, quindi
non mentendo, non celando, ma portando aspetti genuini affinché il
clinico possa aiutarlo. Da questo intreccio di lavoro, abbiamo detto, nasce
proprio quel legame emotivo che diventa di estrema importanza per la
buona riuscita del lavoro terapeutico. Vedete, un buon livello di alleanza di
lavoro già nei primi incontri, le tre sedute, le prime tre sedute, quattro
sedute, già predice, questo lo dicono le ricerche, in modo moderato, lieve,
ma solido, un buon esito della terapia e riduce il tasso di drop out, quindi
di abbandono precoce del percorso.
Questo lo dice la letteratura. Al di là che sia analista, funzionale,
familiarista, cognitivista, se l'alleanza funziona, se è creata su quei tre
elementi, la letteratura ci dice che questo già è un predittore di una buona
riuscita del lavoro terapeutico. Quindi pensate quanto è potente la
relazione che si crea, quanto è potente il lavoro sull'esplicitazione degli
obiettivi e dei compiti, che è una lettura un po' diversa da una visione del
paziente di un tempo in cui il terapeuta è un po' più passivo e il paziente
deve lavorare un po' più da solo.
È molto diversa perché in questa lettura la cooperazione richiede una
relazione molto meno asimmetrica rispetto a quella che noi immaginiamo
in un modello molto classico. Quindi sebbene non vi sia una dimostrazione
scientifica che l'alleanza crei subito un miglioramento dei sintomi, vi sono
delle indicazioni però che già nelle prime fasi c'è un miglioramento del
benessere del soggetto, che non è sono guarito dalla mia problematica,
ma trovo un po' di sollievo, inizio a sentire che posso lavorare, quindi
restituisci un senso minimo di autoefficacia, senti una maggiore
produttività sul lavoro, quindi questi piccoli cambiamenti che il soggetto
percepisce da subito quando inizia il percorso, anche una valutazione,
sono frutto di un buon lavoro sull'alleanza. Quindi vedete quanto è
importante.
E quindi questo legame affettivo diventa questo terzo elemento
costitutivo, che in letteratura viene chiamato fattore aspecifico, cioè
l'alleanza di lavoro è un fattore aspecifico di grande efficacia clinica, che
nasce proprio, abbiamo detto, da una parte il terapeuta con le sue
emozioni, i suoi schemi, i suoi pensieri, la sua formazione, e dall'altra il
paziente e tutte le proiezioni transferali, che vedete bene con Fontana,
che fa sul terapeuta e che è un lavoro meraviglioso da un punto di vista,
diciamo, di elementi che emergono e sui quali appunto si può
assolutamente lavorare e intervenire. Quindi Bording dice proprio questo è
un fattore comune a tutte le terapie, a prescindere dall'orientamento
teorico e dal modello operativo. Sì.
Aspecifico nel senso che non ci sono delle caratteristiche peculiari oltre
queste tre aree, tre componenti su cui lavorare. Cioè, nel senso, tutti i
modelli sono modelli che partono da spunti diversi, ok? E quindi la riuscita
di una terapia sembra essere legata più ad aspetti della relazione, ma
specifici, perché la relazione è unica, quindi non è misurabile in qualche
modo. Sì, esatto, esatto.
Dal modello di terapia, ma potete chiudere le porte. Esatto, ok? Quindi
l'Alleanza si delinea proprio come un lavoro cooperativo tra due soggetti
che interagiscono tra loro. Tralascio questi elementi che abbiamo già visto.
Sicuramente è molto interessante rileggere l'Alleanza tra clinico e
soggetto attraverso la teoria dell'attaccamento. Cos'è che crea l'Alleanza
di lavoro? È un concetto, vedete, la relazione tra psicologo e cliente si
presenta come un vero e proprio legame di attaccamento. E in questo si
possono rintracciare proprio le caratteristiche delle relazioni primarie del
legame di attaccamento.
Quindi la vicinanza, la protesta nei confronti della separazione, la ricerca
di una base sicura, quindi questo senso di sicurezza sono elementi e
motivi essenziali se pensiamo alla relazione madre-bambino che poi
diventano anche importanti e vanno poi analizzati nel lavoro di terapia in
cui l'Alleanza è pressoché molto simile al legame di attaccamento. Lo
vedo tutte le volte l'estate, il distacco di quelle quattro settimane attiva, a
seconda dei vari modelli di attaccamento dei miei pazienti, sollievo
autonomia in uno, ah che bello, un po' di pausa, angoscia nell'altro un
certo tipo di attaccamento insicuro, altri che invece vengono fuori dei
sintomi di attaccamento disorganizzato.