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Napoleone o Carlo X hanno ben poco a che fare
con Gerusalemme. Entrambi infatti si
preoccuparono di espandere il loro dominio
all’interno dell’ Europa, arrivando fino in Prussia
(che Napoleone sconfisse il 14 ottobre 1806
durante la battaglia di Jena).
A questo punto c’è da cercare un nuovo re e
ovviamente bisogna iniziare a risalire al tempo
dell’impero romano.
Per qualche ragione che non riesco a spiegare
so che San Pietro invocherà il mio nome.
San Pietro. Il primo Papa, il fondatore della
Chiesa, tra i dodici apostoli di Gesù.
« Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo
Ecclesiam meam et tibi dabo claves regni
Caelorum. »
« Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia
Chiesa e a te darò le chiavi del Regno dei Cieli. »
È quanto recita il Vangelo secondo Matteo (XVI,
18-19), e quanto scritto intorno alla cupola della
basilica di San Pietro. Chiavi. La canzone in un
verso recita:
Un minuto ho stretto forte la chiave.
23
Qualcosa avrebbe potuto far intendere a
qualche imperatore romano non ben definito,
eppure da quanto riportato sembra evidente
che sia Cristo il Re di cui parla la canzone.
Siate il mio specchio, la mia spada, il mio scudo
i miei missionari in un campo straniero.
Per qualche ragione che non riesco a spiegare
da quando tu sei andata via
mai una parola onesta …
Era così quando io governavo il mondo.
Nella prima frase si rivede il mandato che Cristo
diede ai suoi discepoli: “Andate e predicate il
vangelo”. La frase successiva può esser letta,
invece, come la differenza che la sua venuta
comportò: “Io sono la via, la verità e la vita” e
dunque tutto ciò che esisteva prima era falsità e
disonestà. L’ultima frase invece può esser segno
della fine che fece. Cristo morì infatti in croce,
trattato come il peggiore dei ladri.
E San Pietro?“Prima che il gallo canti due volte,
mi rinnegherai per tre volte”. Ecco dunque
perché San Pietro non pronuncerà il suo nome.
Cristo, insomma, potrebbe essere il Re di cui
Viva la vida parla e ciò che portò dopo il suo
declino nella vita terrena, dopo che ciò che
aveva predicato e costruito fu distrutto, è il
regno che tutti noi conosciamo e che si sposa
benissimo con la frase:
People couldn’t believe what I’d became /“La gente
non credeva a ciò che ero diventato”.
24
Chi se non Lui può pronunciare una frase simile?
Conclusione
A prescindere da tutte le ipotesi evidenziate,
non si può che giungere ad una conclusione: a
nessun personaggio viene dato il compito di
enunciare l’aforisma “Viva la vida” (che tra
l’altro non compare minimamente nell’intero
testo della canzone). Deve pur esserci qualcosa
che decanti il piacere di vivere: è proprio il
compito che viene affidato alla musica!
25
La musica così tramite l’energia infusa nei vari
strumenti, la vitalità, la prepotenza dei suoni e
l’esuberanza di alcuni accordi costituisce il
principale strumento a cui viene affidato il
compito di giungere nell’interiorità dell’individuo
per divulgare istantaneamente quest’inno alla
vita.
“Viva la vida” diventa materialmente il titolo sia
della canzone che dell’album e, secondo quanto
dichiarato da Chris Martin, la scelta di questa
frase è dovuta ad un quadro realizzato dalla
pittrice messicana Frida Kahlo otto giorni prima
di morire.
Il valore delle parole riportate sulla tela con un
colore rosso sangue (insieme al suo nome, alla
data e al luogo in cui si trovava, cioè Coyoacan,
in Messico) non sta tanto nel loro senso più
profondo, quanto nel riferimento alla “Vida”
vissuta dall’artista: seppure afflitta da una lunga
serie di malattie e disgrazie (era affetta da
poliomelite e spina bifida, soffriva di dolori
cronici e in seguito ad un incidente tra un
autobus su cui viaggiava e un tram, fu trafitta
da un palo che le trafisse il bacino cosicché
dovette sottoporsi a ben 32 interventi chirurgici)
mostrò d’essere superiore a tutto il dolore
proprio con questo quadro.
26 Frida Kahlo, Viva la Vida;
1954; olio su tela; 59 x 50,7 cm;
Frida Kahlo Museum, Città del Messico (Messico)
La vita tormentata di Frida Kahlo costituisce una
chiara esemplificazione delle inquietudini del re
presentato nella canzone del gruppo londinese.
Inspiegabile resterebbe comunque il chiaro
cambiamento reale
riferimento ad un se l’autore
della canzone non avesse almeno dichiarato di
aver letto molte novelle di Charles Dickens
durante la stesura dell’album, lasciandosi
influenzare dalle stesse che nella maggior parte
dei casi costituiscono lavori autobiografici (ne
Oliver Twist, David Copperfield,
sono esempi
Little Dorrit). 27
Anche la vita dello scrittore inglese del 1800
non è delle più felici: a dieci anni, nonostante
vivesse in una agiata famiglia londinese, il
padre fu arrestato per debiti e così, il piccolo
Charles a dodici anni si ritrovò a lavorare
(lavorava in una fabbrica che realizzava lucido
per scarpe e talvolta, per guadagnare qualche
soldo extra, spacciava oppio). Visse parte del
periodo Vittoriano, periodo che va dal 1837 al
1901 in cui si formulò la concezione del
“Victorian compromise”: era quello un periodo
caratterizzato dal progresso, stabilità, abili
riforme sociali e moralità (la regina Vittoria era
una donna molto religiosa) da un lato, da
ingiustizie e povertà dall’altro. Charles Dickens
trovò nella sua capacità di scrivere il modo per
evitare la povertà assoluta e per condurre
quindi una vita dignitosa: la prima fase della sua
carriera lo vide come un abile giornalista, e
descrittore della città di Londra in tutte le sue
sfaccettature, mentre successivamente, quando
venne istaurandosi un punto di vista più
“radicale”, scrisse per porre in evidenza le
ipocrisie di quel mondo in cui viveva (il suo
scopo rimaneva quello di non fomentare le
masse, bensì di far constatare lo stato civile in
cui riversavano). Critiche pesanti caddero sul
sistema giuridico e legislativo dell’ Inghilterra:
criticò il sistema delle “workhouses” -case
lavoro- nelle quali gli orfani venivano condotti e
impiegati in svariati lavori per sottrarli alla
strada, dove avrebbero mendicato; criticò il
sistema scolastico, basato su un tipo di studio
28
meccanico e non sentimentale, come in
Hardtimes,
particolare nell’estratto dal romanzo
“Nothing but facts”; criticò quell’aspetto
giuridico che lo aveva condotto a lavorare
ovvero l’incarcerazione per debiti dei
capifamiglia, una norma che evitava di
riprendersi ad una famiglia che aveva contratto
debiti proprio per il venire a mancare del suo
elemento portante.
Con l’analisi dettagliata di questo brano si è
giunti ad una prima profonda riflessione sul
valore della musica: seppur semplice “effetto
sonoro”, riesce a sovraccaricarsi di un
messaggio esistenziale, portandolo a sovrastare
ogni altro aspetto quale potrebbe essere il
senso di mistero riscontrato. E giungendo
all’inconscio ancor prima delle altre arti, il suo
processo sembra essere quasi immediato.
“Laddove non arriva la parola, giunge la musica.”
(Heine Henrich)
29
Prima parte
30
31
SUGGESTIONI MUSICALI
La musica come chiave di volta verso nuovi orizzonti: il
Decadentismo raggiunge l’inconscio.
Ultimi decenni del 1800 … e nel frattempo si
stava schiudendo una nuova realtà! Il mondo
dell’inconscio fino ad allora impenetrabile, e per
certi versi anche inimmaginabile era stato
individuato dal medico-filosofo austriaco
Sigmund Freud il quale riteneva che questi
potesse affiorare nel sogno o nell’isteria.
Da quel momento in poi ci sarà chi proverà a
dipingere la nuova realtà individuata, chi
continuerà ad analizzarla da un punto di vista
puramente intellettuale: in campo letterario, a
sovraccaricarsi del nuovo compito ci pensarono
“decadenti” “poeti
in particolar modo i o
maledetti”.
Era l’alba del Decadentismo: si trattava di un
nuovo movimento che stava vedendo le prime
luci in Francia, sulle rive gauche della Senna
(nel Quartiere latino, laddove il 15 aprile 1874
sarebbe sorto anche il movimento artistico
dell’impressionismo), che già in breve parve
essere “senza spazio” e “senza tempo”. Senza
32
spazio perché venne diffondendosi un po’ in
tutta Europa, in modalità sostanzialmente
differenti a seconda dei contesti storici e
geografici in cui andava inserendosi; senza
tempo perché la spinta che lo portò alla ribalta
ancora oggi non è esaurita. Ne sono un esempio
vari artisti maledetti, tra i quali il cantante
Marilyn Manson, noto per la vita trascorsa nella
trasgressione, nell’anticonformismo e nel
disfacimento personale, o il cantante Morgan,
rientrato tra le pagine di cronaca del 2010 per
non essere stato accettato a partecipare alla
competizione canora del Festival di Sanremo
(avendo assunto in passato sostanze
stupefacenti, era ritenuto un’ emblema
dell’immoralità, improponibile in un festival dal
carattere nazionale/internazionale).
In quel primo raggruppamento rientravano
alcuni poeti che si richiamavano a Baudelaire, di
cui i più famosi sono Paul Verlaine, Arthur
Rimbaud e Stéphane Mallarmé. Essi furono
presentati al pubblico proprio da Verlaine
nell’opera “I poeti maledetti” in cui viene
esaltata la loro funzione di avanguardia, e dove
viene accettato in tono polemico l’appellativo di
decadenti (datogli in senso dispregiativo e
soltanto nei decenni successivi reinterpretato
secondo un’ottica positiva).
I decadenti, rifiutando la realtà a cui si erano
dediti con tanto impegno gli scrittori realisti, (e
in particolare i naturalisti francesi e i veristi
italiani) mostravano quel senso di difficoltà di
inserimento nell’ambito societario già postulato
33
per l’intellettuale ne’ “I dolori del giovane
Werther” di Goethe, o nel Verga di “Vita nei
campi” e “Mastro Don Gesualdo”. Provando ad
evadere dalla stessa, elaboravano gli espedienti
del Simbolismo, Estetismo, Esotismo e del mito
del Superuomo, determinando anche un
mutamento della funzione assunta dal poeta: la
figura del poeta-vate venne sostituita con quella
del poeta-veggente, il cui compito era di
pervenire all’essenza ultima delle cose,
esasperando magari la propria sensibilità
mediante l’alcool e la droga.
La mutata visione della realtà e la nuova
funzione del poeta, comportarono così l’utilizzo
di nuove tecniche espressive, un “linguaggio
nuovo”, che non ha più lo scopo di raccontare o
di descrivere, ma semplicemente di suggerire
tramite le suggestioni della musica, dei profumi
e dei colori così da condurre l’uomo oltre la
Arte Poetica
razionalità. Nella sua Verlaine
“prendere l’eloquenza e a
esortava il poeta a
torcerle il collo” (dove per eloquenza va inteso il
tradizionale discorso logico, basato su un
assetto razionale) e ad avvalersi delle
“della musica ancora e
suggestioni musicali:
sempre!”
Appurato il valore di prim’ordine della musica,
sovviene Baudelaire con la sua poesia
“i profumi, i
“Corrispondenze” a sostenere che
colori, i suoni, si rispondono”.
Altre volte il nuovo linguaggio è ottenuto non
caricando di suggestioni i vocaboli, ma
frantumando il periodo sintattico, e lasciando
34
(futurismo italiano).
“in libertà” le parole Assai
frequente inoltre è l’uso dell’analogia, cioè
l’accostamento di vocaboli che esprimono realtà
lontanissime fra loro dal punto di vista
razionale, ma collegabili invece mediante un
rapporto non razionale, intuitivo. Ne deriva una
ermetica
poesia aristocratica, spesso che
sottintendendo i legami logici si concentra per
lo più in brevi frammenti lirici, quasi
folgorazioni, rapidi fasci di luce proiettati
sull’inconscio.
La stagione poetica decadente, già
preannunciata dalla Scapigliatura, ha in Italia i
maggiori esponenti in D’Annunzio e Pascoli
(fautore del fonosimbolismo, uso di parole
onomatopeiche con significato proprio).
GABRIELE D’ANNUNZIO
D’Annunzio si distacca dall’atteggiamento
pacato del Pascoli, poiché più vicino alla teoria
dell’estetismo che induceva a “fare della propria
vita un’opera d’arte”. Analogamente al poeta di
San Mauro di Romagna, andrà a riscontrare le
splendide sensazioni indotte dalla musica: ciò in
particolare ne’ “La pioggia nel pineto”
(dall’Alcyone), dove presenta la pineta quasi