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Il significato pedagogico e morale di quest’opera, s’individua nell’intenzione di proporre esempi dello
scontro
nell’animo umano di impulsi contrastanti, positivi e negativi. Da un lato vi è la ragione, di cui si fanno
portavoce i
personaggi secondari che cercano di dissuadere i protagonisti dai loro insani propositi; dall’altro vi è il
furor, cioè
l’impulso irrazionale, la passione(amore, odio, gelosia, ambizione e sete di potere, ira, rancore),
presentata in
accordo con la dottrina morale stoica, come manifestazione di pazzia in quanto sconvolge l’animo
umano e lo
travolge irrimediabilmente. In questa lotta tra furor e razionalità, lo spazio dato al “furor”, al versante
oscuro, alla
malvagità e alla colpa è senza dubbio molto elevato. L’interesse per la psicologia delle passioni che
può apparire
quasi morboso, sembra talora far dimenticare al poeta le esigenze filosofico-morali. Inoltre è
caratteristica delle
tragedie senecane l’accentuazione delle tinte più fosche e cupe, degli aspetti più sinistri, dei
particolari più atroci,
macabri, raccapriccianti. In poche parole Seneca enfatizza il pathos e dimostra la forza devastante
della passione,
La vicenda narrata è attinta da Euripide, probabilmente sia dall’Ippolito coronifero, tragedia per
noi perduta,
sia dalla più audace prima edizione dello stesso dramma: l’Ippolito velato, che dovette suscitare
lo scandalo degli spettatori. Ma la Roma neroniana era assai più spregiudicata e “moderna”
dell’Atene periclea e l’incesto era tra i temi entrati nella cronaca più che nella letteratura. Fedra è
quindi ripresa dall’Ippolito di Euripide. Ciò ci offre l’opportunità di attuare paragoni tra le due
tragedie. Innanzi tutto nella tragedia di Seneca le divinità non compaiono; inoltre la struttura,
molto diversa da quella euripidea, conferisce uno spazio di gran lunga maggiore al personaggio
della regina ( mentre prima usciva a metà del dramma). Qui è Ippolito ad uscire definitivamente
di scena a metà del dramma, mentre Fedra domina la scena dall’inizio alla fine. Infine nella
tragedia latina è Fedra, non Ippolito a morire sulla scena, presentando il suicidio come giusta
punizione della sua colpa, ma anche come unico sollievo all’invincibile malattia d’amore ed
estrema occasione per recuperare l’amore perduto. E’ particolarmente importante sottolineare il
momento della “dichiarazione d’amore” di Fedra ad Ippolito. Si tratta sicuramente di una scena
culminante, dove la regina, disperatamente e colpevolmente innamorata del figliastro, decide di
rivelargli la sua passione. L’amore incestuoso ha travolto ogni limite; è il conflitto inconciliabile
tra ragione e passione, l’insanabile lacerazione interiore di chi, preda del furor, ha perso il
controllo di sé e delle proprie azioni. Il progressivo avvicinamento alla dichiarazione vera e
propria è sapientemente preparato attraverso una serie di passaggi intermedi:
Fedra respinge l’appellativo di madre che Ippolito le rivolge;
Fedra gli si offre come schiava evocando implicitamente il tema del “servitium amoris”;
Fedra accenna alla probabile morte di Teseo, suo marito ( morte che le permetterebbe di aspirare
Amore e morte è il binomio tragico già racchiuso nel mito, ma Seneca lo elabora fino a trarne gli
effetti più
esasperati e spasmodici. Fedra s’aggrappa supplice, alle ginocchia di Ippolito: travolto dalla collera , il
giovane
le afferra i capelli e le piega la faccia svergognata; sta per ucciderla, ma si domina subito. Fedra
coglie l’attimo
di furore omicida con masochismo sublime. Morire nelle mani del suo Ippolito, messa a morte da lui,
questo
risolve tutto; così potrà morire senza macchia e, insieme, morire per amore. Ma da un amore grande
quanto
insano, può anche nascere l’odio. Istigata anche dalla sua nutrice, Fedra accusa il figliastro di averla
sedotta. Sul
giovane innocente, che intanto è fuggito, Teseo scaglia una fatale maledizione. Mentre Ippolito fugge
a briglie
sciolte sul cocchio, dalle profondità marine emerge ad un tratto un mostro spaventoso: atterriti i
cavalli
s’impennano, recalcitrano e rovesciano il cocchio massacrando lo sfortunato giovane. Sul suo corpo
martoriato,
Fedra confessa a Teseo la malsana passione che l'ha presa e l'infame menzogna. Storia
Ora la sua disperazione è grande quanto la sua speranza di congiungere il suo destino a quello del
ragazzo, di Traduzione
Latino LA FOLLIA STORICA.
IL FASCISMO E LA PRESA DI FIUME DI
D’ANNUNZIO
I problemi del dopoguerra, la crisi economica e soprattutto il difficile cammino di sviluppo dello Stato
liberale
avevano creato in Italia un’atmosfera di forte tensione politica e sociale di cui fu sintomo l'ondata di
scioperi
tra il 1919 e il 1920.
Il fascismo nacque in Italia in una situazione politica ed economica molto particolare.
L’Italia era uscita vittoriosa dalla prima guerra mondiale e aveva ampliato il suo territorio.
Nonostante ciò, le
conseguenze del conflitto furono molto gravi: oltre 600.000 morti e un milione di
invalidi e feriti.
Non meno grave era la situazione economica in cui si trovava il paese, distrutto
dalla guerra e sommerso dai debiti. Non solo le promesse di un lavoro sicuro, fatte ai reduci di
guerra (cioè a coloro che erano tornati a casa), non poterono essere mantenute, ma gli agricoltori
trovarono i campi incolti, e molti operai rimasero senza lavoro perché la maggior parte delle
fabbriche era
chiusa per mancanza di materie prime. In varie città italiane scoppiarono
scioperi e manifestazioni di protesta. In questo clima di incertezza e malcontento generale, si fece
avanti Benito
Grazie all’appoggio economico degli industriali e dei proprietari terrieri, al silenzio del governo e delle
forze
dell’ordine, il movimento fascista diventò sempre più violento. I sostenitori del fascismo aumentavano
ogni
giorno e, nel 1921, Mussolini decise di trasformare il movimento in un partito politico: nasceva così il
Partito
nazionale fascista. Il 28 ottobre 1922 il Fascismo forzò la mano al sovrano Vittorio Emanuele III
marciando su
Roma. La Marcia su Roma era stata un successo; in soli tre anni il fascismo era arrivato al potere.Una
volta al
governo, Mussolini tolse di mezzo i suoi oppositori e instaurò la dittatura fascista. Gli oppositori del
fascismo
furono imprigionati o mandati in esilio in luoghi sperduti. Nel 1929 Mussolini e papa Pio XI firmarono i
Patti
Lateranensi.
Così il governo riconosceva il cattolicesimo come religione di stato.Per cercare di rimettere in sesto
l’economia
italiana, Mussolini mise dei limiti alle merci che si potevano importare dall’estero, favorendo la
produzione
interna. Promosse l’agricoltura e avviò la bonifica di zone paludose. Nel 1936, spinto dal desiderio di
fare
dell’Italia una potenza coloniale, Mussolini decise di conquistare l’Etiopia. Nello stesso anno strinse un
patto di la vicenda di Fiume italiana,
Uno degli episodi più importanti del primo dopoguerra, fu dal colpo di
mano di D'Annunzio del 12 settembre 1919 fino al Natale di sangue dell'anno successivo (quando i
legionari dannunziani vennero sloggiati dalle truppe regolari italiane) che occupa in genere nei testi
di storia poche e frettolose righe. L'avventura di Fiume non sarebbe esistita senza D'Annunzio, ma
D'Annunzio non avrebbe potuto intraprenderla se non avesse avuto da cavalcare un clima spirituale,
sociale, politico che la rese possibile. Fiume, affacciata sul golfo omonimo nell'Adriatico
settentrionale, era una delle più floride città dell'impero austro-ungarico. Attualmente Fiume fa parte
del territorio della Croazia (con nome Riega), ma dal XVIII secolo la città era sotto controllo
ungherese.. L'alleanza italo-ungherese (che aveva il controllo del municipio) in funzione anti-croata
andò però via via deteriorandosi col manifestarsi delle tendenze scioviniste in seno alla comunità
italiana. Quando l'impero austro-ungarico si decompose alla fine della Grande Guerra
e la città venne occupata dalle truppe iugoslave, gli irredentisti insorsero, accampando
il fatto che Fiume era un centro etnicamente italiano. Fiume non faceva parte del
pacchetto delle rivendicazioni Italiane presentate a Londra nel 1915, e accettate dagli
alleati, quando l'Italia decise l'entrata in guerra contro gli imperi centrali.
Il 6 luglio 1919, in uno dei tanti scontri che a Fiume si verificavano tra irredentisti e truppe alleate,
nove soldati
francesi vennero linciati e venne formato un corpo di polizia alleata sotto controllo inglese. Ed è qui
che entrò in
azione la sete di potere-follia di D’Annunzio, il quale il 12 settembre 1919 era a Ronchi vicino Trieste.
Alle porte di
Fiume gli uomini al seguito di D'Annunzio erano oltre duemila. Le truppe alleate (inglesi, francesi e
americane)
presenti a Fiume smobilitarono nell'arco di una settimana; i rispettivi governi erano ben contenti di
lasciare in mano
al governo italiano la patata bollente, Nitti inviò alla frontiera di Fiume il generale Badoglio che aveva
il compito di
risolvere la situazione. Ma Badoglio, grande amico di D'Annunzio, sì limitò ad impedire che i viveri per
i volontari
italiani entrassero in città, inconveniente che risolse Mussolini lanciando un grande raccolta fondi; in
pochi giorni
raccolse due milioni di lire, che inviò a d'Annunzio. Il poeta presentava sé stesso e i suoi seguaci
come i
rappresentanti della vera Italia, incarnazione di una forza spirituale superiore, e i suoi soldati come i
genuini
Nel giugno del 1920 tornò al potere Giovanni Giolitti, appoggiato anche dai nazionalisti e da Mussolini,
che vedevano
in lui l'unico uomo in grado di far uscire il paese dal caos. E Giolitti fu l'uomo che seppe liquidare
Fiume; ma si
assicurò l'appoggio di Mussolini, pronto a scaricare il poeta ora che l'avventura fiumana.
L'ultimo atto politico rilevante del poeta fu la costituzione della Reggenza, a significare che il potere
veniva
comunque esercitato in nome del Re d'Italia. Ma intanto gli avvenimenti superavano i sogni: col
trattato di Rapallo
Giolitti ottenne la fissazione del confine lungo la linea di displuvio alpina, più un'esile striscia di
territorio per
collegarla a Fiume, che però sarebbe rimasta città libera.
A questo punto nulla più poteva giustificare che il governo tollerasse la presenza a Fiume dei legionari
e di
D'Annunzio.
Nel Natale del 1920 le truppe regolari entrarono in Fiume su pressione degli americani, dopo che una
cannonata, LA FOLLIA CREATIVA.
VINCENT VAN GOGH
Figlio di un pastore protestante e primo di sei figli, Vincent Willem van Gogh nacque il 30 Marzo 1853
in Olanda.
A 17 anni cominciò a lavorare come apprendista per la filiale della casa d'arte parigina Goupil & Cie.
Dove iniziò ad
interessarsi all’arte. Nel 1873 Vincent venne trasferito alla filiale di Londra; egli però voleva seguire le
orme di suo
padre e diventare un predicatore, così, nel 1876, si licenziò. Si trasferì ad Amsterdam dedicarsi alla
predicazione ai
poveri; ma, a causa di uno zelo eccessivo che rasentava il fanatismo, l'incarico non gli fu rinnovato.
Fu dopo questa
terribile delusione che maturò in Vincent la scelta definitiva a favore della professione artistica. Come
aveva fatto in
precedenza per l'impegno apostolico, dedicò ora ogni energia a quello artistico. Alla fine dell'81
conobbe la
prostituta Clasina Hoornik, detta Sien, già madre di una bambina di 5 anni e in attesa di un altro
figlio. Van Gogh la
prese in casa con sè, ma ben presto si rese conto di non poter avere una buona vita familiare con
questa donna e
L’amicizia fra Gauguin e Van Gogh durò poco a causa dei loro caratteri e le propensioni artistiche
tendevano però a
scontrarsi:Gauguin voleva allontanarsi dalla realtà, Vincent voleva coglierne l'emozione. Presagendo
la fine del suo
sogno divenne preda di una crescente tensione, finché, una notte in cui aveva visto Gauguin uscire di
casa, si mutilò
l'orecchio destro con un rasoio. Venne ricoverato nel manicomio di Saint-Rémy, non lontano da Arles:
qui accettò la
propria malattia perdendo ogni speranza di guarigione. Pochi mesi dopo Van Gogh fu preda di una