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Sintesi
Scienze sociali - Foucault, Storia della follia
Italiano - Pirandello, Enrico IV
Filosofia - Erasmo da Rotterdam, L'Elogio della Follia
Storia - La follia di Hitler
Estratto del documento

A Norimberga, per esempio, il numero di folli era molto elevato, molto di più di quanti

potesse fornirne la città stessa. Essi erano mantenuti a spese della città stessa, ma con il

termine “mantenuti” non si intende che fossero curati: semplicemente venivano gettati in

prigione.

Spesso però, i folli, dalle città, venivano condotti da marinai e mercanti in centri più

importanti, e qui abbandonati, liberando la loro città di provenienza della loro presenza.

Affidare il folle ai marinai significava evitare che si aggirasse senza meta nei pressi delle città,

assicurandosi che la sua meta fosse lontana, rendendolo prigioniero della sua stessa partenza.

L’acqua, il mare, divengono simbolo di purificazione, ma al contempo di incertezza della sorte.

Là ognuno è affidato al proprio destino, ogni imbarco potrebbe rivelarsi l’ultimo. Questa

navigazione non fa che sviluppare l’inquietudine dell’uomo medievale. Il folle ha il privilegio di

essere rinchiuso alle porte della città; la sua esclusione lo racchiude; egli è posto all’interno

dell’esterno, e viceversa.

Prigioniero della nave da cui non si può evadere, viene affidato alle braccia del fiume, alle

strade del mare, a questa grande incertezza esistenziale. È prigioniero nella più libera delle

strade, prigioniero del passaggio da un posto all’altro. Non conosce la sua destinazione, come

non si conosce, nel posto in cui avrà termine il suo viaggio, la sua provenienza. Non ha una

patria, se non in questo spazio infinito tra due terre che non gli appartengono né mai gli

apparterranno.

Questa barca simboleggia un’inquietudine apparsa, come già detto, alla fine del Medioevo.

Il folle e la follia diventano figure centrali nella loro ambiguità. Col passare del tempo, il Folle, il

Grullo, lo Sciocco, divengono personaggi, anche nel teatro, di sempre maggiore rilievo. Essi

occupano il centro del teatro stesso, portando attraverso la follia i personaggi ad un

accecamento senza scampo. Il folle ricorda a ciascuno la sua verità; egli rappresenta l’inganno

dell’inganno, dice le parole della ragione: dice l’amore agli innamorati, la verità della vita ai

giovani, la mediocre realtà delle cose agli orgogliosi.

La derisione della follia prende il posto della morte e della sua serietà. Si diffonde l’idea per

cui la follia è l’anticipo della morte. Ma è anche la sua presenza, poiché, annunciando la follia

che la morte è già dominatrice, indica che la preda della morte stessa sarà un ben magro

bottino. La morte non smaschera altro se non una maschera stessa. Il folle ride in anticipo del

riso della morte.

Mentre un tempo, gli uomini non vedevano l’avvicinarsi della morte, ed in ciò erano folli,

ora la saggezza sta nel denunciare ovunque la follia, insegnando agli uomini che essi non sono

altro se non già morti, e la follia altro non sarà se non una cosa sola con la morte stessa. Il

salire della follia indica semplicemente che il mondo è vicino alla sua ultima catastrofe. È la

demenza degli individui che evoca tale catastrofe e la rende necessaria.

L'ascesa della follia dà l'impressione che questo mondo cominci a confondersi, lasciando

apparire figure senza significato se non nel campo dell'insensato. Le cose si sovraccaricano di

attributi, di allusioni, finendo per perdere la loro particolarità. Non sono gli oggetti del

desiderio a turbare la tranquillità, ma queste figure chiuse, che sono come uscite fuori da un

sogno, e rimangono là, silenziose, insensate e furtive.

Che cos'è dunque questo potere di fascino che in quest'epoca esercitano le immagini della

follia?

All'inizio del Rinascimento i rapporti si capovolgono: la bestia (la follia) si libera, sfugge al

mondo della leggenda per acquistare una connotazione fantastica che le è propria. È la follia

ora ad attendere l'uomo al varco, ad impadronirsene ed a rivelarne la verità, la reale essenza. E

quando l'uomo appare in questa sua spaventosa essenza, si accorge di avere la figura

mostruosa di un animale delirante. La bestialità è fuori dal controllo dei valori e dei simboli

umani, ora essa affascina e in un certo senso cattura l'uomo con il proprio disordine, il furore, e

ne svela la rabbia, la sterile follia insita nello stesso cuore umano.

D'altra parte, la follia affascina perché è sapere. È sapere, in primo luogo, perché quelle

figure all'apparenza insensate sono in realtà elementi di un sapere chiuso, difficile, lontano; e

l'uomo è attratto da tale sapere così lontano ed allo stesso tempo così vicino.

Il folle, nel suo innocente vaneggiare, possiede questo sapere così temibile ed inaccessibile.

L'uomo di saggezza non ne percepisce che degli aspetti frammentari, mentre il folle lo porta

tutto d'un pezzo con sé, come una palla di cristallo che per tutti è vuota, mentre per lui è colpa

di un sapere invisibile.

Altro simbolo del sapere è l'albero primordiale. Albero un tempo situato nel centro del

Paradiso Terrestre, oggi sradicato a formare l'albero maestro della nave dei folli.

Ma cosa annuncia il sapere dei folli?

Esso, in quanto sapere proibito e difficilmente raggiungibile, predice da una parte il tempo del

regno di Satana e la fine del mondo, la punizione suprema. Dall'altra l'ultima felicità umana,

l'onnipotenza terrena.

Analizzando più attentamente il tutto, la vittoria finale non appartiene a Dio, né al Diavolo,

ma alla Follia. Una follia che è come addormentata nell'uomo, che aspetta solo di essere

risvegliata. Ciò che nasce dal più singolare delirio era già nascosto nell'individuo come un

segreto, una verità inaccessibile. L'uomo incontra la tenebrosa oscurità del mondo; l'animale

che ossessiona i suoi incubi è la sua stessa natura, colei che metterà a nudo l'inesorabile verità,

e in questo momento inizia a profilarsi quella che sarà la crudeltà del compimento finale.

Nel corso del Rinascimento la follia giunge ad occupare il primo posto, arrivando a

condurre il coro di tutte le debolezze umane, guidandole e trascinandole. Essa regna su tutto

ciò che c'è di malvagio nell'uomo, ma regna anche, indirettamente, su tutto il bene che egli

può fare: sull'ambizione che fa i saggi politici, sull'avarizia che fa crescere le ricchezze, sulla

curiosità che anima filosofi e sapienti. La follia attira ma non affascina. Essa sollazza e fa gioire

gli uomini, ed in essa tutto è brillante superficie, niente è nascosto.

Se il sapere è così importante nella follia, non significa che essa ne detenga i segreti, poiché

essa è, al contrario, il castigo di una scienza rivelatasi sregolata ed inutile. Ed è verità della

coscienza perché questa è derisoria, e invece di rivolgersi alle esperienze si perde nella vanità

dei libri e delle discussioni oziose. La scienza si riversa nella follia a causa dell'eccesso stesso

delle false scienze.

A ben vedere, la follia non è generalmente legata al mondo ed alle sue forme sotterranee,

ma all'uomo, alle sue debolezze, ai suoi sogni e alle sue illusioni. La follia si insinua nell'uomo,

o meglio è un rapporto sottilissimo che l'uomo intrattiene con se stesso.

In realtà non esiste una Follia unica, personificata, a cui fare riferimento, ma altro non

esistono che delle follie, tante quanti sono gli uomini. Non esiste follia se non in ognuno degli

uomini, perché è l'uomo stesso a costituirla, per mezzo delle illusioni in cui si perde. Simbolo

della follia in questo momento sarà uno specchio che riflette segretamente per colui che vi si

specchia il sogno della sua presunzione. La follia non ha tanto a che fare con la verità ed il

mondo, ma con l'uomo e con la verità di se stesso che egli riesce ad intravedere.

Torniamo alla Stultifera Navis… Chi sono i passeggeri insensati che ne fanno parte?

Sono coloro che si abbandonano al disordine ed alla dissolutezza, gli avari, gli ubriaconi,

coloro che interpretano male la Scrittura; insomma, l'equipaggio della Nave incarna tutto ciò

che l'uomo stesso ha potuto inventare di trasgressivo, di irregolare, nel suo comportamento.

Erasmo non ha voluto fare l'elogio di queste forme insensate, ma piuttosto del “piacevole

smarrimento mentale” che libera l'animo dalle preoccupazioni e lo colma di piacere. Egli

scorge la follia abbastanza da lontano da poterla osservare dall'alto, ed essere fuori pericolo, e

se ne canta le lodi è perché può riderne con lo sprezzante e superiore riso degli Dei, perché,

vista da fuori, la follia umana è divina. Essa è solo uno spettacolo ben noto allo spettatore

estraneo, ma ignoto a chi la vive.

Troviamo in questo momento un elemento di contraddizione nel modo di curare la follia.

Spesso infatti, capita che il medico che cura, o almeno ha la presunzione di voler curare la

follia, sia più folle del folle stesso che vorrebbe curare.

Da ora in avanti avremo una netta separazione tra due esperienze di follia, che non cesserà

più di aumentare. La prima è la Nave dei folli, carica di visi insensati, che pian piano sprofonda

negli abissi del mondo. La seconda è una Nave dei folli che forma per i saggi un esempio

completo dei difetti.

Da un lato la follia detiene una forza primitiva di rivelazione; rivelazione che l'onirico è

reale, e che il mondo è lasciato in preda all'inquietudine degli insensati che si angosciano nelle

sue notti. Il mondo ha già cessato di essere, ma il silenzio e la notte non si sono ancora calati

del tutto su di esso. Il mondo vacilla in un estremo caos che precede immediatamente l'ordine

monotono del compimento.

Dall'altro lato, con Erasmo, la follia è accolta nel discorso. Viene raffinata, sottilizzata,

considerata in modo diverso. Può anche darsi che ogni uomo le sia sottomesso, ma il suo regno

è sempre relativo, poiché essa si mostrerà sempre agli occhi del saggio nella sua mediocre

verità. Anche ammettendo che sia più saggia di ogni scienza, essa di deve inchinare in ogni

caso alla saggezza che la riconosce come follia. Essa può avere l'ultima parola sulla verità del

mondo, ma non l'ha mai, poiché la sua giustificazione esiste solo in rapporto alla coscienza

critica dell'uomo.

In breve, la coscienza critica della follia è andata crescendo, mentre i suoi aspetti tragici si

sono progressivamente oscurati. Ma sotto questa coscienza critica non ha cessato mai del tutto

di esistere una coscienza tragica.

Nella Renaissance la follia attraversa un'evoluzione divisibile in due punti.

1. La follia entra eternamente in relazione alla ragione, ovvero ogni follia ha la sua

ragione che la giudica e la domina, ed ogni ragione ha la sua follia nella quale trova la sua verità

derisoria. L'una è misura dell'altra; esse si respingono, ma si fondano l'una per mezzo dell'altra.

L'uomo crede di vedere chiaro, di essere la giusta misura delle cose. E la conoscenza che ha del

mondo conferma tale compiacimento. Sembra all'uomo di avere proprio la vista più acuta

possibile, ma se volge egli gli occhi al sole deve ammettere che la sua comprensione delle cose

non è che lenta e pesante. Se poi prova a levare il proprio pensiero a Dio, è costretto ad

ammettere che quella che chiamava conoscenza e che lo compiaceva non era altro che follia, e

quella che credeva essere la propria forza si rivela debolezza.

La follia scopre il rovescio delle cose, la loro immediata contraddizione. Elevandosi a Dio,

l'uomo non deve solo superare se stesso, ma strapparsi interamente alla sua debolezza: deve

dominare di colpo l'opposizione tra le cose del mondo e la loro essenza divina.

L'abisso di follia è tale che l'apparente verità che vi si trova ne è anche contraddizione. Ma

questa contraddizione tra apparenza e verità è già presente all'interno della stessa apparenza,

perché se l'apparenza fosse coerente con se stessa, sarebbe almeno allusione alla verità.

Erasmo sa di trovare l'ostacolo delle mille piccole opposizione mossegli dall'apparenza.

Tutte le cose, infatti, hanno due aspetti diversissimi tra loro: ciò che a prima vista è morte, se lo

guardi più all'interno è vita; la vita invece si rivela morte; ciò che è bello, brutto; ciò che è

dotto, ignorante.

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