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Luigi Pirandello

La vita

Luigi Pirandello nacque nel 1867 presso Girgenti (poi Agrigento) in una

località di campagna chiamata Caos; suo padre, un ex garibaldino, era

proprietario di una miniera di zolfo.

Frequentò l’università a Palermo e a Roma, e si laureò in lettere

all’università di Bonn, in Germania.

Tornato in Italia, si stabilì a Roma dove frequentò l’ambiente dei letterati e

si dedicò ai suoi studi e alle sue opere. Nel 1894 si sposò – dal matrimonio

nascono tre figli – e intraprese la collaborazione ad alcune riviste

letterarie. Nel 1897 diventò professore di stilistica alla facoltà di magistero

di Roma; in seguito, fino al 1922, insegnò letteratura italiana.

Nel 1904 dovette affrontare gravi problemi finanziari per il fallimento della miniera del padre e gravi

problemi familiari poiché la moglie fu colpita da una malattia mentale.

Intanto Pirandello si dedicava al teatro per il quale scrisse diverse opere e fondò nel 1926 una

compagnia con la quale cominciò a girare il mondo; acquistò grande fama l’attrice Marta Abba,

interprete di uno dei più importanti personaggi femminili creati dallo scrittore.

Aderì al fascismo, ma spesso venne accusato dalla stampa del regime di scrivere opere non

conformi allo spirito e agli ideali fascisti perché troppo pessimiste e poco patriottiche.

Nel 1934 ottenne il premio Nobel per la letteratura.

Morì a Roma nel 1936; l’urna contenente le sue ceneri è murata in una pietra presso la casa di

campagna dove è nato. Italo Svevo

La vita

Italo Svevo, pseudonimo di Ettore Schmitz, nacque nel 1861 a Trieste,

allora parte dell’impero austriaco.

Visse in un ambiente in cui si mescolavano varie culture: il padre era

tedesco, la madre era italiana di famiglia ebrea ed egli compì gli studi prima

in Germania poi in Italia.

Si dedicò con passione alle letterature europee e mostrò grande interesse

per il pensiero di Sigmund Freud, fondatore proprio in quegli anni della

psicanalisi (teoria psicologica basata sull’analisi dell’inconscio).

Scrisse due romanzi che pubblicò a sue spese ma, poiché furono un insuccesso, abbandonò l’idea

di fare lo scrittore professionista.

Intanto la sua famiglia subì un dissesto economico e Svevo fu costretto a cercarsi un lavoro, prima

come impiegato di banca e poi come direttore della fabbrica di vernici del suocero.

Continuò a scrivere e finalmente, dopo la pubblicazione del romanzo La coscienza di Zeno nel

1923, ottenne un grande riconoscimento sia in Italia che all’estero.

Morì nel 1928 in seguito ad un incidente stradale. 6

Poetiche a confronto

Quando si pensa a Chaplin, si vorrebbe anzitutto penetrare in quella strana conformazione di

pensiero che vede i fatti sotto una forma così bizzarra e reagisce a essi con immagini di tanta

stranezza. E, in questo ordine di pensiero, si vorrebbe giungere a quell'elemento che, prima di

divenire una concezione della vita, esiste allo stato di intuizione del mondo che lo circonda. in

poche parole, noi non ci occuperemo della filosofia di Chaplin ma del suo modo di percepire la vita,

da cui nascono le invenzioni uniche e inimitabili del cosiddetto humour chapliniano. Con quali occhi

Charlie Chaplin guarda la vita? Il segreto dei suoi occhi è indubbiamente rivelato da Tempi

moderni. Quando, però, i buoni e i cattivi "ragazzi" apparvero improvvisamente i veri rappresentanti

di gruppi sociali inconciliabili, l'occhio di Chaplin dapprima ammiccò, poi si mise ad accennare. Ma,

poiché continuava ostinatamente a guardare i tempi e gli avvenimenti "moderni" così come prima,

finì per andare evidentemente contro il suo stesso tema. Il che, stilisticamente parlando, ha portato

a una frattura; per i temi trattati, al mostruoso e al deforme; per la figura interiore dello stesso

Chaplin, alla rivelazione piena e completa del mistero dei suoi occhi. Io non voglio affatto affermare

che Chaplin sia indifferente a quanto accade intorno a lui o che egli non si renda conto (sia pure in

piccola parte) degli avvenimenti. A me non interessa quello che egli comprende, ma il modo come

egli sente, come guarda, e come vede quando s'abbandona all'ispirazione, quando incontra una

serie d'immagini di cui ride; e quando, attraverso il riso, ciò che egli ha concepito si risolve in

situazioni e trovate comiche; e con quali occhi bisogna guardare il mondo per vederlo come appare

a Chaplin. In questo sta il mistero di Chaplin, nel segreto dei suoi occhi. In questo egli è

inarrivabile: è qui la sua grandezza. Vedere gli avvenimenti più inconsueti, più pietosi e più tragici

con gli occhi di un bambino ridente. Essere in grado di realizzarne l'immagine immediatamente,

d'un colpo, indipendentemente dalla loro significazione etica o morale, al di fuori di ogni

valutazione, così come l'afferra un bambino in preda a un eccesso di risa. Ecco in che cosa

Chaplin eccelle, in che egli è inimitabile e unico.

È questo modo di vedere la vita che avvicina Chaplin a scrittori italiani del ‘900 come Svevo e

Pirandello.

Svevo nelle sue opere descrive un uomo inetto, non capace di rassegnarsi e adattarsi ai

meccanismi della civiltà che impone lavoro, disciplina, obbedienza e leggi morali. Ne esce un uomo

nevrotico, non efficiente, inetto, ed un esempio del “suo uomo senza qualità”, è lo Charlot di

Chaplin. Charlot è un personaggio maldestro, sempre in mezzo ad un mucchio di guai, sempre

pronto a scagliarsi contro le convenzioni sociali. Dotato di una grande abilità acrobatica, Chaplin

crea un trucco e un abbigliamento unici. Charlot esprime la concezione chapliniana dell'uomo

medio, dell'uomo comune, di se stesso. Egli scrive:

" Quel modo di vestire mi aiuta ad esprimere la mia concezione dell'uomo medio, dell'uomo

comune, la mia concezione di quasi tutti gli uomini, di me stesso. La bombetta troppo piccola

rappresenta lo sforzo accanito per poter apparire dignitoso. I baffi esprimono vanità. La giacca

abbottonata stretta, il bastoncino e tutto il comportamento del vagabondo rilevano il desiderio di

assumere un aria galante, ardita, disinvolta. Egli cerca di affrontare coraggiosamente il mondo, di

andare avanti a forza di bluff: e di questo è consapevole. E ne è così consapevole che riesce a

ridere di se stesso e anche a commiserarsi un po'…".

Entrambi descrivono l’uomo comune; ma, mentre in Svevo c’è amarezza e il sorriso di chi ormai

non ha più illusioni, in Chaplin gli avvenimenti più inconsueti, più pietosi, vengono visti con gli occhi

di un bambino ridente. Charlot è un omino disoccupato, innamorato, alle prese con le difficoltà da

cui riesce ad uscire grazie proprio all’umorismo, un umorismo diverso da quello di Svevo che è

rassegnazione. Fra Chaplin e Svevo si colloca anche la visione della vita dell’uomo di Pirandello.

Secondo lui, infatti, gli uomini nascono liberi ma il Caso interviene nella loro vita precludendo ogni

loro scelta: l'uomo nasce in una società precostituita dove ad ognuno viene assegnata una parte

secondo la quale deve comportarsi, ciascuno è obbligato a seguire il ruolo e le regole che la

società impone, anche se l'io vorrebbe manifestarsi in modo diverso: solo per l'intervento del caso

può accadere di liberarsi di una forma per assumerne un'altra, dalla quale non sarà più possibile

liberarsi per tornare indietro, come accade al protagonista de Il fu Mattia Pascal. 7

L'uomo dunque non può capire né gli altri né tanto meno sé stesso, poiché ognuno vive portando -

consapevolmente o, più spesso, inconsapevolmente - una maschera dietro la quale si agita una

moltitudine di personalità diverse e inconoscibili; queste riflessioni trovano la più esplicita

manifestazione narrativa nel romanzo Uno, nessuno e centomila:

 Uno: perché ogni persona crede di essere un individuo unico con caratteristiche particolari;

 Centomila: perché l'uomo ha, dietro la maschera, tante personalità quante sono le persone

che ci giudicano;

 Nessuno: perché, paradossalmente, se l'uomo ha 100.000 personalità invero non ne

possiede nessuna, nel continuo cambiare non è capace di fermarsi nel suo vero "io".

Per concludere: tre modi di vedere la vita è l’uomo simili ma non identici. Anche se tutti e tre

insistono sull’incapacità dell’uomo di affermare la propria identità, si accettano le convenzioni

sociali; solo l’umorismo aiuta l’uomo ad elevarsi sopra la solitudine e la pena di vivere.

L’uomo moderno incapace d’ironia non può produrre che catastrofi (afferma Svevo). Vivere gli

avvenimenti più inconsueti, più pietosi, più tragici, con gli occhi di un bambino ridente (humour

chapliniano) permette all’uomo di ridere di se stesso. 8

Recensione “Tempi moderni”

Chaplin, operaio in una grande fabbrica metalmeccanica, la Electro Steel Corporation, è addetto a

un nastro convogliatore. Il lavoro alla catena di montaggio ha ritmi estenuanti e tutto accade sotto

gli occhi del padrone, grazie a un impianto televisivo

a circuito chiuso.

La legge del profitto non solo porta ad accelerare

continuamente i ritmi di lavoro ma spinge anche a

escogitare una macchina per l'alimentazione

automatica degli operai, al fine di evitare ogni tipo di

pausa: Chaplin è la cavia designata per

l'esperimento, che si conclude con un fallimento. Un

giorno, mentre lavora alla catena di montaggio,

Chaplin ha una crisi da "esaurimento nervoso" che lo

induce a ripetere meccanicamente i gesti cui è

stato costretto, applicandoli a qualsiasi cosa o a

chiunque gli capiti sotto tiro. Finisce in manicomio e,

una volta dimesso, conosce la disoccupazione, quella della grande crisi. Nel corso di uno scontro

tra operai e polizia, per un equivoco viene ritenuto il capo dei dimostranti e arrestato. In prigione,

sotto l'effetto della cocaina che ha involontariamente assunto, impedisce una rivolta di detenuti, il

che gli consente di ottenere una posizione privilegiata, ma “purtroppo” anche un'anticipata

scarcerazione. Di nuovo disoccupato nonostante le credenziali ottenute dal direttore della prigione,

incontra una ragazza che, orfana di madre, perde ben presto anche il padre e che, per non finire

con le sorelle in un orfanotrofio, si unisce a lui. Insieme andranno a vivere in una baracca. Ora la

fabbrica riapre, ma solo per il tempo necessario a farsì che Chaplin si esibisca nella gag della

manutenzione dell'enorme macchina.

Poi l'operaio trova impiego come guardiano notturno in un grande magazzino. Qui, dopo aver

vissuto con la ragazza per qualche ora da "signore", viene sorpreso da alcuni ex compagni di

lavoro nella nuova veste di scassinatori, e tutto finisce con un ennesimo licenziamento. Mentre

Chaplin cerca la propria "libertà" facendosi di nuovo incarcerare, la ragazza viene ingaggiata come

fantasista in un cabaret; in seguito riuscirà a far assumere anche Chaplin nella duplice veste di 9

cameriere e cantante. Sarebbe la felicità se l'intervento della polizia, che vorrebbe portare la

ragazza all'orfanotrofio, non costringesse i due a una nuova fuga. Questa volta lontano dalla città,

dai "tempi moderni", e con un motto di speranza: "Non darti per vinta, ce la caveremo”.

Il film nasce in un momento critico per l'industria americana: la grande depressione degli anni '30 si

fa ancora sentire e la scelta del taylorismo è traumatica; fa parte della nuova filosofia industriale

della competizione spinta agli eccessi, esasperata, che mette in piedi, cinicamente,

un'organizzazione del lavoro senza precedenti, dagli effetti alienanti, stranianti, tali da

preannunciare ai lavoratori un futuro di completa squalificazione professionale e una sofferenza

senza precedenti nella storia moderna del lavoro.

Chaplin con "Tempi moderni" sceglierà di soffermarsi, con un impegno di carattere artistico,

soprattutto sui maggiori fenomeni di povertà e sfruttamento, in particolare su quei casi in cui è

ancora possibile l'ironia e la ribellione; lo farà senza abbandonare mai l'idea di spettacolo, e

riuscendo a dare ai problemi un significato nuovo, felicemente associato ad aspettative plausibili,

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