Tema narrativo - Un nuovo compagno

Un nuovo compagno

Si aprono le porte dell’autobus: solita fermata, solita strada da percorrere. Il mio respiro affannoso inizia a placarsi e la salita termina davanti al cancello della scuola. Noto che la mia classe ha migrato dal marciapiede di sinistra a quello di destra, mi avvicino ai compagni.
Girando lo sguardo osservo le altre classi raggruppate in piccole isole in attesa del suono della campanella.
Tutto come al solito, tutto normale.
Tutto procede come al solito finché non noto qualcosa di strano: una massa di ricci castani, seminascosti da un cappuccio verde si muovono in solitaria.
Essi identificano un essere che non appartiene a nessun gruppo, sembra spaesato.
Mentre mi soffermo a riflettere sento suonare la campana e improvvisamente il mio pensiero si sposta sulla verifica che mi attende all’ora successiva.
Prendo posto, sono in terza fila.
Alla mia destra c’è un banco vuoto, rimasto tale dall’inizio dell’anno senza suscitare particolare interesse da parte mia o dei compagni.

Ci alziamo in piedi: sta entrando l’insegnante. Alle sue spalle un ragazzo mai visto prima. Riconosco in lui la felpa verde e l’ammasso di ricci che mi aveva colpito all’entrata.
La professoressa lo presenta dicendo che avremmo avuto tempo per una conoscenza più approfondita durante la ricreazione.
Il nuovo compagno si accomoda al banco accanto al mio.
Cercando di non essere invadente lo osservo con la coda dell’occhio: la sfumatura della sua pelle mi suggerisce che viene da lontano; i suoi occhi sono impenetrabili, non distoglie neanche per sbaglio lo sguardo dal banco.
Al cambio dell’ora sfioro la sua spalla per attirare la sua attenzione: non conosco ancora il suo nome. Noto dall’espressione impaurita dei suoi occhi una sensazione di disagio e cerco quindi di rompere il ghiaccio presentandomi. Sembra comprendere ciò che dico ma dal silenzio che segue le mie parole comprendo che non sa come rispondere.
Allora, dopo aver avuto il permesso dal suo sguardo, estraggo un piccolo quadernino dal suo zaino e leggo il suo nome.
Con il passare dei giorni iniziò a comprendere e imparare la pronuncia delle parole, ci spiegò che veniva dall’India e che era arrivato in Italia perché suo padre aveva trovato un lavoro che potesse mantenere lui e i sui quattro fratelli.
Io e i compagni iniziammo ad apprezzarlo per la sua semplicità e per il suo essere vero e autentico, gentile e generoso in tutto quello che faceva. Lui riuscì ad aprirsi e a mettere da parte i timori iniziali diventando davvero uno di noi.