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Sintesi

Il Seicento tra crisi e sviluppo



Europa centro-meridionale: calo demografico ed epidemie



Con l’avvento del XVII secolo un netto malessere economico colpì l’Europa centro-meridionale, e in special modo Italia e Spagna, mentre il baricentro dei traffici internazionali si spostò verso nord-ovest.

La principale causa della stagnazione economica fu la peste, che nel primo Seicento falciò a ripetute ondate la popolazione europea, producendo un numero di vittime ingentissimo. Le epidemie portarono inevitabilmente a carestie e a malnutrizione; in più le condizioni climatiche si fecero globalmente più rigide. Attorno al settore agrario si generò un gioco d’affari autodistruttivo: i proprietari terrieri ritirarono gli investimenti e i terreni, svalutati, furono acquistati a fini di rendita anziché nell’ottica di aumentare le produzioni. Con il crollo dell’agricoltura, inoltre, anche le manifatture che da essa dipendevano ebbero un’involuzione netta.

Europa nord-occidentale: sviluppo e mercantilismo



Nel Seicento, Olanda e Inghilterra si distinsero come potenze commerciali in forte crescita. I Paesi Bassi, ossia l’unione dei sette principati ribellatisi al dominio spagnolo, fondarono l’economia su un’agricoltura vasta, che coinvolgeva colture di utilità tessile oltrechè alimentare. La produzione di concimi, inoltre, giovò agli allevamenti, e l’Olanda divenne esportatrice di merci sempre più apprezzate.

L’Inghilterra, dal canto suo, eccelse per la competenze imprenditoriale delle nuove classi sociali. Fu il primo stato a praticare la pesca d’altura, e a trarre vantaggio dall’industria del pesce, poi diffusasi anche altrove.
Ciò che più incise sul successo del nord-ovest europeo fu, in ogni caso, la politica commerciale del mercantilismo, la tendenza a incentivare e proteggere i mercati locali nei confronti della concorrenza estera. Con il mercantilismo si definirono concetti essenziali dell’economia moderna, e il ruolo dello Stato rispetto alle classi sociali emergenti. In particolare si determinò l’idea di ricchezza, globale e locale, e si svilupparono scontri, in ogni paese, per acquisirne a scapito di altri stati. Sulla base di queste tendenze nacque la pirateria, cioè l’assalto legalizzato ai mercantili stranieri; si istituirono barriere doganali e si concesse lo sfruttamento di merci o risorse in cambio di sostanziosi affitti. Il mare, in quanto via commerciale privilegiata, divenne terreno di scontro: una buona flotta, spesso, significava buoni commerci.

L’Italia dei domini spagnoli (1559-1713)



La pace di Cateau-Cambrésis del 1559 aveva sancito il dominio spagnolo, diretto o indiretto, di gran parte dell’Italia. Pur conservando una certa autonomia, gli Stati della penisola non poterono sottrarsi alla crisi economica che lentamente ma inesorabilmente dilagò in Europa. Anche scali commerciali di rilievo come Genova e Venezia ne furono colpiti, poiché il Mediterraneo smise di essere il principale campo dei traffici internazionali. Più o meno ovunque l’economia regredì verso un assetto rurale, secondo il processo di rifeudalizzazione in atto nell’Europa centro-meridionale. Da un lato le classi più agiate tornarono al ruolo di signori feudali, acquistando terre e titoli nobiliari, dall’altro i contadini ne furono oppressi e s’impoverirono ulteriormente.

Le regioni direttamente controllate dalla Spagna, come il Regno di Napoli e le isole, risentirono più gravemente della crisi economica, ma con sostanziali differenze tra Nord e Sud. Milano, ad esempio, mantenne un ruolo importante per diversi anni, prima di essere travolta dalle pestilenze. Al contrario i domini spagnoli del meridione patirono enormemente l’arretratezza dell’economia: nelle campagne l’insufficienza dei raccolti e il malcontento dei contadini produsse proteste anche violente e diffusi fenomeni di brigantaggio. Emblematico fu il caso di Napoli, dove, attorno alla metà del secolo, si verificò una ribellione violenta al dominio spagnolo, da parte di popolani (detti lazzaroni) che provarono invano ad instaurare una forma di governo alternativa.

La rivoluzione scientifica e culturale



Si intende con rivoluzione scientifica e culturale un rinnovato atteggiamento dell’uomo nei confronti della scienza e del sapere in generale, un riscoperto interesse per la natura e le sue leggi, che affonda le radici nelle correnti umanistiche e rinascimentali, nelle quali era evidente il rifiuto delle idee del Medioevo.

Uomini di scienza e di cultura, studiosi, ma anche semplici inventori e artigiani, ottennero grandi consensi già nel primo Seicento. La fioritura di studi portò ad un rinnovamento anche pratico grazie all’impiego di un gran numero di nuove invenzioni.

Tra i principali esponenti del nuovo pensiero figura Galileo Galilei (1564-1642), fisico e matematico italiano. A lui si deve l’introduzione del metodo sperimentale, un procedimento di studio dei fenomeni naturali fondato sull’osservazione e sulla riproduzione in laboratorio dei problemi. Importante fu anche l’opera di Isaac Newton (1642-1727), brillante matematico inglese e professore a Cambridge. Attraverso attenti studi astronomici, Newton pervenne alla legge di gravitazione universale dei corpi, ed elaborò il metodo di calcolo differenziale, contemporaneamente al filosofo tedesco Gottfried W. Leibniz. Si ricordano, poi, personaggi come Johannes Kepler (Keplero), studioso del Sistema Solare, Robert Boyle, autore di ricerche sulle proprietà dei gas, René Descartes (Cartesio), filosofo francese, Blaise Pascal, inventore di una macchina calcolatrice, John Napier, matematico inglese, Evangelista Torricelli, creatore del barometro.

Delle invenzioni, invece, che più rivoluzionarono il sapere, fondamentale fu il microscopio, che portò alla scoperta dei globuli rossi e dei capillari sanguigni. L’italiano Marcello Malpighi iniziò una nuova scienza, la microbiologia; l’olandese Anton van Leeuwenhoek osservò i batteri e la loro importanza nella diffusione di alcune malattie. La medicina, infine, si collegò alla chimica; s’intraprese lo studio dei farmaci e, grazie all’inglese Edward Jenner, fu sconfitto il vaiolo.
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