Concetti Chiave
- L'economia medievale fiorentina era caratterizzata da una crescita dinamica e versatilità, con un forte commercio di tessuti e l'adozione di nuove tecnologie come i mulini e l'energia idraulica.
- Le compagnie fiorentine del Duecento e Trecento, come i Frescobaldi e i Bardi, divennero potenze economiche multinazionali, con stretti rapporti commerciali con l'Inghilterra e altri stati europei.
- La compagnia dei Bardi raggiunse una notevole prosperità nel primo Trecento, con un giro d'affari considerevole, ma la natura rischiosa delle attività portò anche a crisi e fallimenti.
- La crisi delle compagnie fiorentine si intensificò negli anni Trenta del Trecento, quando il re inglese Edoardo III non riuscì a restituire i prestiti, provocando una catena di fallimenti.
- Il crollo delle grandi compagnie fiorentine causò gravi perdite per i depositanti, inclusi ricchi investitori e piccoli risparmiatori, segnando la fine di un'era di prosperità economica.
Indice
L'economia medievale e le sue innovazioni
Osservando l’economia medievale, vengono subito all’occhio la versatilità e la dinamicità di crescita. Produzioni e commerci sono floridi e l’inurbamento della popolazione spinge ad affinare le tecniche mercantili. Si importa e si esporta anche lontano e si mette a profitto l’evoluzione e la scoperta di nuove tecnologie quali l’energia idraulica, i mulini e i magli.
Le produzioni ruotano principalmente intorno ai tessuti come il cotone, la lana, seta e lino; dove a Firenze, grazie alle importazioni di lane grezze dall’Inghilterra s'impara a creare panni degni delle tessiture di Francia e delle Fiandre, e il successo varca ogni confine. Si accumulano grandi ricchezze e alcune famiglie diventano più ricche di tanti Stati. Nei decenni a cavallo tra Due e Trecento, l'apogeo dello sviluppo medievale, i circuiti commerciali erano ormai immensi, con un interscambio vorticoso. Per restare in Europa, i drappi di seta di Lucca e i fustagni delle città lombarde si vendevano in Francia e Germania, le lane inglesi nell'Italia padana e in Toscana, l'olio pugliese a Parigi, Bruges e Londra, i panni fiamminghi in tutta la penisola, anche se la direttrice più importante era quella che congiungeva l'Europa occidentale con il Mediterraneo, il Medio ed Estremo Oriente.Il potere delle famiglie fiorentine
Il rapporto tra la Toscana e l'Inghilterra, a cavallo tra il Due e il Trecento è molto stretto: un esempio è quello della famiglia dei Frescobaldi che anticiparono grosse somme di denaro ai sovrani inglesi in cambio di privilegi, quali lo sfruttamento delle miniere del Devon, la riscossione dei diritti regi in Irlanda, l'esazione delle rendite di gran parte dei possedimenti inglesi in Francia. Dal 1300 essi ottennero addirittura la direzione dell'Exchange, l'ufficio centrale del cambio, incarico che li mise nelle con dizioni di controllare l'intera politica monetaria del regno. Insomma, un potere immenso e multinazionale. In quel periodo le aziende fiorentine divennero sempre più grandi. Alcuni nomi: gli Scali, gli Amieri, i Bardi, i Peruzzi, gli Acciaioli. Il che rappresentavano vere multinazionali in grado di fare commercio di tutto ciò che poteva essere scambiato, dotate di capitali ingentissimi e capaci di insediare propri rappresentanti in tutti i luoghi strategici dell'attività economica, da Bari a Marsiglia, da Parigi a Bruges, da Londra a Barcellona, a Costantinopoli, Cipro, Rodi, Gerusalemme.
La crisi delle compagnie fiorentine
La ricchezza della compagnia dei Bardi è così descritta da alcune fonti storiche: “Nel 1318, in uno dei periodi più prosperi della sua storia, essa chiude il bilancio annuale con un giro d'affari di 873.638 fiorini, pari a 3.089 chilogrammi d'oro, un valore più di tre volte superiore ai 250mila fiorini con i quali nel 1341 i fiorentini acquistarono una città dell'importanza di Lucca. Anche i profitti annuali erano assai elevati, fra il 15 e il 17% del capitale investito, con punte fino al 20%”. Certo l'attività di quei colossi era molto rischiosa, e crisi e fallimenti, fra cui quelli dei Frescobaldi e degli Scali, punteggiarono il primo quarto del Trecento.
Ma il peggio doveva ancora arrivare. Poiché dall'inizio degli anni Trenta i profitti cominciarono a scendere e la congiuntura si deteriorò decisamente dopo il 1340, quando divenne chiaro che il re inglese Edoardo III non era in grado di restituire ai mercanti-banchieri fiorentini le enormi cifre (circa 1.365.000 fiorini) che questi gli avevano anticipato per coprire i costi dell'impegno militare contro i francesi. Ad aggravare il quadro si aggiunse il raffreddarsi delle relazioni di Firenze con i sovrani di Napoli e un clima di sospetto che spinse i titolari di depositi presso le compagnie fiorentine a una vera e propria corsa al prelievo. Sotto il fuoco incrociato di questi rovesci cominciarono i primi fallimenti, cui seguì una inarrestabile reazione a catena. E per terminare, a partire dalla fine del 1341 dichiararono bancarotta prima gli Acciaioli, e a seguire i Bonaccorsi, i Cocchi, gli Antellesi, i Corsini, i da Uzzano e i Perendoli. Il crollo delle grandi compagnie travolse anche tutti coloro che avevano continuato a mantenervi i depositi, dai ricchi rentiers ai piccoli risparmiatori.
Domande da interrogazione
- Quali erano le principali attività economiche a Firenze tra il Duecento e il Trecento?
- Qual era il rapporto tra la Toscana e l'Inghilterra durante questo periodo?
- Quali erano le caratteristiche delle aziende fiorentine nel primo Trecento?
- Come si descrive la ricchezza della compagnia dei Bardi nel primo Trecento?
- Quali furono le cause della crisi delle compagnie fiorentine negli anni Trenta del Trecento?
A Firenze, tra il Duecento e il Trecento, le principali attività economiche includevano la produzione e il commercio di tessuti come cotone, lana, seta e lino, con un forte interscambio commerciale che coinvolgeva l'Europa occidentale, il Mediterraneo, il Medio ed Estremo Oriente.
Il rapporto tra la Toscana e l'Inghilterra era molto stretto, con famiglie come i Frescobaldi che anticipavano somme di denaro ai sovrani inglesi in cambio di privilegi economici e politici, come lo sfruttamento delle miniere e la gestione della politica monetaria inglese.
Le aziende fiorentine nel primo Trecento erano multinazionali con enormi capitali, capaci di commerciare in vari beni e di insediare rappresentanti in luoghi strategici in tutta Europa e oltre, come Bari, Marsiglia, Parigi, Bruges, Londra, Barcellona, Costantinopoli, Cipro, Rodi e Gerusalemme.
La compagnia dei Bardi era estremamente ricca, con un giro d'affari nel 1318 di 873.638 fiorini, pari a 3.089 chilogrammi d'oro, e profitti annuali tra il 15 e il 17% del capitale investito, con punte fino al 20%.
La crisi delle compagnie fiorentine fu causata dal calo dei profitti, l'incapacità del re inglese Edoardo III di restituire i prestiti ricevuti, il deterioramento delle relazioni con i sovrani di Napoli e una corsa al prelievo dei depositi, portando a fallimenti a catena delle principali compagnie.