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Xun, Lu  - Vita e Opere Pag. 1
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Sintesi

Lu Xun


Autore quasi del tutto sconosciuto in Italia,è considerato il fondatore della lingua cinese moderna. A partire dal 1898 si farà chiamare Shuren 树人 - "Uomo albero". "Lu Xun" è lo pseudonimo che ha iniziato ad usare nella sua pubblicazione del 1918 Diario di un pazzo. E’ stato polemico nei confronti dei rivoluzionari proletari dell’epoca, con i suoi contemporanei burocratici e letterati. LuXun era uno scrittore al servizio del popolo, un saggista di grande impegno con una personalità eccezionale sia morale che intellettuale. Fu un mediatore della tradizione, portatore di valori umanistici e nonostante ciò, rivoluzionario. L’emblema del discorso di Mao ze dong, secondo cui la letteratura deve servire il popolo. Ma non è populista, dal popolo si riescono a trarre propri ed autonomi valori culturali, poiché è sempre condizionato dalle classi dirigenti. L’intellettuale, come lui, deve solo sradicarlo dall’ignoranza, dai pregiudizi e dal condizionamento.
L'infanzia
Nato nella provincia dello Zhejiang, Lu Xun fu il figlio primogenito di una famiglia feudale in decadenza. Il nonno, Zhou Jiefu 周介孚, era un ufficiale a Pechino. Il padre, Zhou Boyi 周伯益, era uno Xiucai 秀才, uno studioso che aveva passato il primo livello degli esami imperiali. La madre era una contadina autodidatta in grado di leggere abbastanza bene. Il fratello, Zhou Zuoren 周作人, era uno scrittore, saggista e traduttore.
Lu Xun ricevette fin da piccolo la tipica educazione feudale, ma si impegnò anche in letture alternative come storie non ufficiali, miscellanee e lesse particolarmente quelle opere di pensatori democratici e spiriti patriottici, amava anche l'arte folkloristica.
Nel 1893 il nonno venne incarcerato per uno scandalo di corruzione (in epoca successiva venne impiccato), a causa di questo, la famiglia visse un periodo di isolamento e di disprezzo da parte della società, anche da amici e parenti. In aggiunta, poco dopo il padre si ammalò e nel 1896 morì.
Questo periodo di difficoltà influenzò la creatività narrativa e l'indole di Lu Xun. Grazie alla situazione della madre conobbe la situazione penosa di oppressione del mondo contadino.
Dopo molti anni di studio a Nanjing, egli si stabilì in Giappone con una borsa di studio governativa dal 1902 al 1909. Terminati gli studi preliminari a Tokyo, studiò medicina a Sendai per quasi due anni, per poi concludere che era più importante curare le menti anziché i corpi dei suoi connazionali. La vocazione letteraria era, pertanto, motivata in Lu Xun da una necessità sociale più che da un desiderio di creazione artistica fine a sé stessa.
Contesto storico
La rivoluzione cinese non era partita dal popolo comune, ma da commercianti, intellettuali, ufficiali, funzionari e proprietari terrieri. La rivolta delle élite garantì il successo della rivoluzione e allo stesso tempo ne determinò i limiti. Quello che aveva unito le élite erano il rovesciamento dei mancesi e la creazione della repubblica. Una volta raggiunti questi scopi, non fu facile garantire la stabilità del nuovo governo. Sun Yat-sen fu presto costretto a rinunciare alla carica di presidente a favore di Yuan Shikai, vecchio soldato conservatore (era stata questa la condizione del patto tra la classe imperiale e i rivoluzionari).
La dittatura di Yuan Shikai terminò con la sua morte, nel 1916.
Luxun, nato nel 1881, vive la rivoluzione del 1911 che aveva trasformato il regime istituzionale in un periodo di anarchia, di frazionamento territoriale e di guerre fra generali. Tuttavia aveva lasciato inalterato l’apparato sociale ed economico, il che scatenò un’ulteriore rivoluzione diversi anni dopo che trovò il suo esito nella rivoluzione del 4 maggio del 1919. Si trattava di una rivoluzione condotta da un movimento di intellettuali, principalmente studenti, che ritrovatisi a Pechino, rivendicavano il trattato di Versailles, in corrispondenza della fine della prima guerra mondiale, poiché accoglieva le rivendicazioni giapponesi nei confronti della Cina. L’ulteriore delusione delle aspettative cinese nei confronti delle potenze europee. Questo movimento dilagò in diversi paesi di importanza rilevante e raccolse consensi da parte dei lavoratori, commercianti ed industriali. Il movimento del 4 maggio denota, dunque, l’inizio della rivoluzione contemporanea.
La nuova letteratura, coerentemente al contesto storico, si presentava come realistica e tendenzialmente epica, andando contro la vecchia letteratura col pretesto di evadere. Nonostante ciò fu un periodo scarno, con poche opere originali che si distinsero semplicemente per l’aderenza che ebbero nei confronti della letteratura occidentale e per le tematiche politiche.
L’elemento comune delle opere era di fatti quello di introdurre in Cina la mentalità occidentale, introducendo, dunque, nuove tendenze che potessero rinnovare i costumi, i metodi di studio e delle forme letterarie. Col tempo questo obiettivo si tradusse più in una fusione di elementi tradizionali e nuovi. Luxun condannava infatti, l’eccessivo attaccamento alla tradizione, come causa della rovina del paese poiché era incapace di gestire movimenti all’insegna della modernità. Attraverso l’esempio degli uomini selvaggi e moderni, i quali si dovrebbero distinguere per la padronanza della scrittura che li rende capaci di intendere ed esprimersi, Luxun spiega che ciò non è più possibile. Non vi è distinzione tra uomini alti e bassi in quanto la letteratura si serve sì della scrittura, ma di una scrittura complessa e di difficile comprensione, con suoni vecchi e pensieri ancora più obsoleti. La cultura vigente, per Luxun, dovrebbe estinguersi poiché le virtù dovrebbero essere un qualcosa di accessibile a tutti senza distinzioni. Pretendere la castità alle donne, la privazione di libertà sessuale, la discriminazione tra oppressi ed oppressori, erano lo specchio di una società corrotta dalle norme morali.
Lo slogan proposto era quello di servirsi della cultura orientale come essenza, e di quella occidentale come strumento.
Luxun partecipò, infatti, attivamente al movimento del 4 maggio con lo scopo di educare il popolo ad una morale e mentalità nuova, voleva aiutarlo ad istruirsi ed acquisire le conoscenze moderne. Un principio fondamentale era l’affermazione costante, esplicita o implicita, del diritto degli uomini ad essere felici e il ripudio al sacrificio. Non esalta i morti politici, poiché pur piangendoli nelle opere dato che alcuni di loro furono suoi amici, depreca solamente contro il fatto stesso insensato che dei giovani vengano uccisi. Ma sono vittime, non eroi.
Luxun era dunque di sinistra. Il marxismo, di cui fu autorevole interprete Li Dazhao, esercitò una forte attrazione teorica su numerosi intellettuali cinesi, sia su coloro che avrebbero successivamente contribuito a formare il Partito, sia su altri che avrebbero seguito percorsi politici diversi e anche opposti. Il marxismo era innanzitutto “scientifico” ed era allo stesso tempo “occidentale”: esso offriva una visione rivoluzionaria del progresso sulla base del materialismo storico, secondo cui lo sviluppo della società umana avveniva secondo determinate tappe (schiavista-feudale-capitalista-socialista-comunista) e il passaggio da una tappa all’altra avveniva grazie al ruolo propulsivo della lotta di classe. La Cina era inoltre una delle tante vittime dell’espansionismo imperialista dell’Occidente. Il marxismo era in grado di spiegare “scientificamente” che la ragione principale dell’arretratezza della Cina e delle umiliazioni subite nel corso dei decenni stava nel suo ruolo di subordinazione e dipendenza all’interno del sistema imperialistico e capitalistico. Inoltre, il marxismo (e il leninismo) affascinava numerosi intellettuali in quanto aveva dimostrato nella pratica la propria efficacia, avendo costituito la base ideologica della rivoluzione russa contro l’autoritarismo zarista.
Nell’ottobre del 1919 Sun Yat-sen fonda il Partito Nazionalista Cinese (国民党 Guómíndǎng). La nuova organizzazione si rifà ai “Tre Principi del Popolo” delineati nel manifesto della Lega giurata del 1905. Il partito comunista cinese (共产党 Gòngchǎndǎng) fu ufficialmente fondato a Shanghai, in alcuni locali all’interno della Concessione francese, il 1 luglio 1921. Il programma politico approvato chiamava a “rovesciare le classi capitalistiche” e “stabilire una dittatura del proletariato”. Nel 1923, in seguito a trattative con l’Unione Sovietica, Sun Yat-sen e Partito comunista formarono un fronte unitario. Era un matrimonio di interesse, dal quale ambo le parti volevano trarre vantaggio. Con la morte di Sun Yat-sen nel 1925, gli eventi ebbero un nuovo corso.
Nel 1926, il capo della destra, Chiang Kai-shek, diede inizio alla campagna verso il Nord che doveva unificare la nazione. Dopo la conquista di alcune province, Chiang decise di procedere all’attacco di Shanghai, la città degli stranieri e dell’industria, ma anche del proletariato e dei sindacati. Poco dopo il suo arrivo, Chiang Kai-shek non fece accordi con loro, ma avviò una serie di incontri segreti con gli ambienti industriali e finanziari, con le personalità conservatrici del mondo politico, sociale e intellettuale, e con la malavita locale. Con il loro appoggio, le truppe di Chiang Kai-shek nell’aprile del 1927 organizzarono un massacro di sindacalisti e comunisti. Il fronte unitario era spezzato. I vincitori proseguirono con successo la campagna verso il nord, riuscendo ad ottenere il controllo delle linee ferroviarie e delle città. Nel 1928 conquistarono Pechino e riunificarono il Paese.
Cacciato via dalle città, il Partito comunista fu costretto a cambiare le proprie strategie rivoluzionarie e ad organizzarsi nuovamente nelle campagne. Mao Zedong si occupò della formazione di un’ “Armata Rossa”, fatta di contadini e operai. Per un anno intero, dall’ottobre del 1934 a quello del 1935, i comunisti attraversarono la Cina, braccati dalle truppe del Guomindang, attaccati dai potenti locali, perseguitati ovunque come banditi. Marciarono per zone impervie, attraversarono passi coperti dal ghiaccio, pantani e paludi. Quando, dopo 10.000 km, giunsero al nord, degli 80,000 che erano partiti solo 8,000 erano sopravvissuti. La Lunga Marcia contribuì a consolidare il potere di un uomo, Mao Zedong. Alla fine del 1934 occupava ancora una posizione marginale nel partito, ma dopo la Lunga Marcia riuscì ad arrivare ai vertici del partito. La guerra civile iniziata nel 1946 si concluse dopo tre anni con la vittoria dei comunisti. Il 1 Ottobre 1949, mentre a Pechino, dall’alto della Porta della Pace Celeste 天安门, Mao Zedong proclamava la nascita della Repubblica Popolare Cinese, Chiang Kai-shek e le massime autorità nazionaliste lasciarono la Cina continentale per rifugiarsi a Taiwan. La fondazione della Repubblica Popolare viene considerata un evento epocale, non un semplice mutamento di governo, ma una svolta nella storia della Cina: la Liberazione. Al termine della Seconda Guerra Mondiale e della guerra civile, la Cina era libera dall’occupazione semicoloniale delle potenze straniere (a parte Hong Kong e Macao) ed era nuovamente unita.
Nel 1950 il governo, come aveva fato d’altronde ogni dinastia, decise di adottare una riforma agraria in tutto il Paese. Questa misura serviva ad imporre il controllo del partito su tutto il territorio. I proprietari terrieri vennero espropriati, denunciati in processi pubblici e fucilati. Entro la fine del 1952, buona parte delle terre vennero distribuite equamente tra i contadini. Nelle città, tra il 1950 e il 1952, vi furono numerose campagne contro “capitalisti” e “controrivoluzionari”: mercanti di droga, piccola criminalità e prostitute, tutti avanzi corrotti del vecchio regime, ma anche imprenditori, intellettuali, soldati e chiunque fosse stato al servizio del Guomindang.Tutti i cittadini vennero poi registrati in unità abitative e lavorative (单位)che servivano come base per l’amministrazione e determinavano la vita di ogni singolo individuo (abitazione, lavoro, educazione e assistenza sociale). Nel 1953 fu deciso un piano quinquennale che prevedeva lo sviluppo dell’industria pesante. Tra il 1949 e il 1960 la popolazione cittadina raddoppiò. Anche l’agricoltura, a partire dal 1953, conobbe un ulteriore sviluppo. Le terre, che erano appena state divise, furono nuovamente tolte ai contadini e collettivizzate in piccole comunità.
Nel 1956, Mao aveva esortato a “lasciare che cento fiori fioriscano e cento scuole gareggino tra loro”: un richiamo alla vivacità intellettuale e un invito agli intellettuali perché facessero critiche costruttive. Ma la reazione superò ogni attesa. La critica all’incapacità del partito e dei funzionari fu così radicale e massiccia che la campagna fu subito sospesa. Fu sostituita dalla “campagna contro la destra” 反右运动, condotta contro quegli intellettuali che prima erano stati incitati alla critica. Nel 1958 oltre 500,000 “elementi di destra” furono arrestati, condannati a morte o deportati nei campi di lavoro. Tra loro ci fu anche la scrittrice Ding Ling, che fu marchiata come traditrice e condannata a 22 anni di carcere e lavori forzati. Come Ding Ling, quasi tutti gli “elementi di destra” 右派 furono riabilitati dopo più di 20 anni. Con la “campagna contro la destra”, il partito si era liberato degli intellettuali. Con il “grande balzo” la Cina doveva diventare una nazione industrializzata. Il secondo piano quinquennale prevedeva che l’industria e l’agricoltura crescessero entrambe del 75% con la forza di volontà e il lavoro delle masse.
La collettivizzazione delle campagne fu resa più radicale: le cooperative furono trasformate in “comuni popolari”. Le comuni abolirono la famiglia in quanto comunione di vita, produzione e consumo. Secondo i dati ufficiali, l’obiettivo di raddoppiare la produzione d’acciaio fu raggiunto. Ma il risultato fu devastante: più della metà della produzione era assolutamente priva di valore, poiché l’acciaio era prodotto dai contadini mescolando oggetti di metallo preesistenti (pentole, padelle, zappe). Nel 1959-61 la Cina fu colpita da una grave carestia. La tragedia di questa catastrofe fu nel suo essere invisibile: per dimostrare al Partito di aver ottenuto raccolti da record, le comuni inviavano comunicati falsati.
Nel 1959 Mao si era dimesso dalla carica di Presidente della Repubblica. La politica del “grande balzo” era fallita e il timone fu affidato ad altri. Questi scelsero un percorso più moderato: i contadini tornarono nelle campagne, la collettivizzazione fu ridotta e fu nuovamente consentita l’iniziativa privata. Ma lo spirito militante di Mao non si era assopito. Era l’esercito il modello che il popolo avrebbe dovuto seguire. Nei libri di scuola, alla radio, sui giornali e sui manifesti venivano propagandati gli insegnamenti di Mao. Fu pubblicato un piccolo “libretto rosso” (毛主席语录 Máo Zhǔxí Yǔlù), contenente aforismi tratti dai discorsi di Mao. Alla fine del 1965, la posizione di Mao era abbastanza forte per attaccare i vertici del partito attraverso la cultura. Nel 1966 ebbe inizio la “grande rivoluzione culturale proletaria” e con essa la più vasta epurazione che il partito avesse mai conosciuto: occorreva criticare fino in fondo le idee reazionarie ed allontanare i capitalisti infiltrati nel partito, nel governo, nell’esercito e nella cultura.
Gli studenti organizzarono una vera e propria caccia alle streghe contro insegnanti, professori, funzionari ed eruditi: diffamati sui 大字报dàzìbào, costretti alla pubblica umiliazione, erano poi maltrattati e colpiti a morte. La Cina, negli anni ’60, aveva più di 700 milioni di abitanti, dei quali più del 40% aveva meno di 15 anni. Ciò di cui aveva bisogno questa generazione era un capo ed un’ideologia, e Mao offriva l’una e l’altra cosa. Il culto di Mao aveva invaso il Paese. Nel maggio del 1966, alcuni studenti si erano organizzati in “Guardie Rosse” 红卫兵 Hóngwèibīng, autoproclamandosi guardie di Mao. Fu ordinata la chiusura delle scuole e delle università: la grande scuola del popolo dovevano essere i pensieri di Mao. I giovani erano liberi e potevano viaggiare gratis sugli autobus e sui treni di tutto il paese. Le Guardie Rosse distrussero libri, quadri, calligrafie, saccheggiarono biblioteche, musei e palazzi, distrussero monumenti, templi e statue.
La Rivoluzione culturale fu una spietata epurazione del partito. La situazione divenne talmente incontrollabile che Mao nel 1967 permise all’esercito di puntare le armi contro le Guardie Rosse. Tra il 1968, quando l’esercito riprese il controllo del paese, e il 1975, 18 milioni di giovani furono mandati nelle campagne dello Heilongjiang, del Xingjiang e della Mongolia Interna. Il “giovani colti” 知青 zhīqīng dovevano vivere in condizioni primitive e apprendere dai contadini, non per pochi anni, per sempre. I rivoluzionari entusiasti di un tempo divennero la generazione perduta della Cina.
Nel settembre del 1976 morì Mao Zedong. Poco dopo furono arrestati sua moglie, 江青 Jiāng Qīng, e i suoi complici. Soprannominati la “banda dei quattro” 四人帮 sìrénbāng, essi divennero il capro espiatorio per tutti i crimini della Rivoluzione culturale: si disse che avevano ingannato per anni il presidente Mao e che erano responsabili di tutti gli assassinî, le torture, gli esili e le distruzioni avvenute sotto la sua guida. In Cina per giudicare la storia esiste un’unica autorità: il Partito. I meriti di Mao sono giudicati “essenziali”, gli errori “secondari”. La risoluzione rimprovera a Mao l’eccessiva fiducia in sé che lo ha spinto a disprezzare le regole della direzione collegiale e a moltiplicare le misure arbitrarie. Ma si fa molta attenzione a distinguere gli errori di Mao, originati da un’applicazione frettolosa e sbagliata dei suoi principi, e il suo pensiero, che deve continuare ad ispirare il Partito. Così il pensiero di Mao esce relativamente indenne dalla condanna della Rivoluzione culturale.

La Rivoluzione culturale era finita, si poteva di nuovo leggere letteratura ed ascoltare musica, si tornarono a celebrare feste tradizionali e le religioni rifiorirono. Vennero liberate molte vittime delle campagne contro la “destra”, che erano marcite per più di 20 anni nei campi di lavoro. Molti membri del Partito che erano stati allontanati furono riabilitati, tra questi lo stesso Deng Xiaoping. Egli diede vita ad una politica di riforme, che prevedeva la realizzazione di “quattro modernizzazioni” 四个现代化sìgexiàndàihuà: agricoltura, industria, esercito, scienza e tecnica. Per prima venne ristrutturata l’agricoltura: le comuni popolari vennero abolite ed ai contadini fu permesso di prendere in affitto terreni lavorandoli sotto la propria responsabilità. Le imprese statali vennero riformate: dovevano fornire allo stato determinati quantitativi pianificati e potevano poi vendere il resto della produzione sul libero mercato. A partire dal 1984 fu consentita la creazione di imprese private. La Cina in breve tempo sviluppò una vera e propria economia di mercato. In un sistema “socialista” tutto questo era inaudito. Ma presto fu trovata una giustificazione teorica di questa apparente contraddizione: la Cina si trovava nella “fase iniziale del socialismo”, nella quale l’economia di mercato si poteva ancora accettare. Anche gli affari con gli stati capitalisti erano legittimi. Il terzo elemento della politica riformista fu l’apertura all’esterno. Nelle località costiere di Shenzhen, Zhuhai, Shantou e Xiamen furono organizzare quattro “zone economiche speciali” 经济特区 jīngjìtèqū.
Nonostante le modernizzazioni, il pensiero di Mao continuava a permeare la politica cinese: nel 1981 il Partito convenne che le decisioni di Mao erano state per il 70% giuste e per il 30% sbagliate. La liberalizzazione economica non significava ancora libertà politica. Il Partito continuava a pretendere di controllare tutti i campi della società, fino alla sfera privata. Alla fine degli anni ’70 i cinesi erano quasi un miliardo. Questa massa umana non era più vista come un mezzo, ma come una minaccia. Nel 1979 il governo ordinò la “politica del figlio unico” 计划生育政策 Jìhuàshēngyù zhèngcè: le donne che provavano a dare alla luce più di un figlio dovevano fare i conti con misure repressive, come multe ed aborti forzati.
Nel 1989 decine di migliaia di persone si riunirono in piazza Tian’anmen per chiedere l’introduzione di riforme più democratiche. Protestavano contro la corruzione ed esigevano dal governo trasparenza e libertà di stampa. Come nel 1919 a manifestare per i diritti del popolo c’erano gli studenti. Ancora una volta i campus si coprono di manifesti che denunciano l’abbandono della riforma politica, il ritorno al conservatorismo e i metodi giudicati dittatoriali di Deng Xiaoping. Nella notte del 4 giugno 1989 i soldati dell’Esercito popolare di liberazione spararono sul loro stesso popolo, passarono con i carri armati su tende e persone. Ancora oggi non si sa quanti furono i morti. Il 9 giugno, in un discorso televisivo, Deng Xiaoping si assume la responsabilità della repressione e condanna il movimento studentesco come un tentativo controrivoluzionario di rovesciamento del Partito, del sistema socialista e della Repubblica popolare. I fatti di piazza Tian’anmen rimangono un tabù. Né libri né giornali sono tornati su questo tema, e in internet è impossibile trovare informazioni a questo proposito. I blogger cinesi ne parlano solo in modo cifrato.
La Cina, sotto Deng Xiaoping, conobbe un miracolo economico mai visto al mondo. Alla sua morte, nel 1997, gli successe 江泽民 Jiāng Zémín che continuò la sua politica. Sotto la sua guida, la Repubblica popolare cinese divenne una potenza mondiale. Nel 1997 Hong Kong tornò alla sovranità cinese, nel 1999 fu la volta di Macao: il paese si era scrollato di dosso l’ultimo residuo di occupazione coloniale. La Cina è membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu ed ha un ruolo chiave nelle trattative multilaterali con la Corea del Nord, oltre ad esercitare una considerevole influenza su molti paesi dell’Africa. Quanto alla cultura, la letteratura cinese è conosciuta in tutto il mondo (sono due gli autori ad aver ricevuto il Nobel per la letteratura); la cinematografia cinese ottiene successi internazionali; l’arte antica o contemporanea è molto apprezzata all’estero. Anche nello sport la Cina ha raggiunto ottimi risultati. I cinesi hanno ritrovato l’orgoglio nazionale. In Cina il nazionalismo sembra oramai voler sostituire il comunismo come ideologia guida. Si tratta di un nazionalismo che non serve a rispondere non tanto agli attacchi esterni quanto al mutamento strutturale all’interno della società cinese. L’auto-rappresentazione enfatica come nazione alla quale tutti i cinesi appartengono in egual misura sembra una risposta al problema che i cinesi sono in realtà ben lontani dall’essere tutti uguali. Nel segno della globalizzazione, la coesione della Cina in quanto nazione è sempre più in forse. Per il governo cinese, la cui legittimazione si basa sull’unità nazionale, la minaccia della disintegrazione sociale è divenuta il problema più urgente. Dal 2005, lo scopo principale del Partito non è più lo sviluppo economico, ma la creazione di una “società armoniosa”和谐社会. L’ “armonia” è un concetto centrale della dottrina confuciana. Chi sono oggi i nemici della Cina? Tutti coloro che mettono in dubbio la “stabilità sociale”, come i separatisti (del Tibet o del Xinjiang), i dissidenti (Liu Xiaobo 刘晓波 ) e gli adepti della Falun Gong 法轮功.
Estratto del documento

CINESE

Luxun partecipò, infatti, attivamente al movimento del 4 maggio con lo scopo di educare il popolo ad una morale e mentalità nuova,

voleva aiutarlo ad istruirsi ed acquisire le conoscenze moderne. Un principio fondamentale era l’affermazione costante, esplicita o

implicita, del diritto degli uomini ad essere felici e il ripudio al sacrificio. Non esalta i morti politici, poiché pur piangendoli nelle opere

dato che alcuni di loro furono suoi amici, depreca solamente contro il fatto stesso insensato che dei giovani vengano uccisi. Ma sono

vittime, non eroi.

Luxun era dunque di sinistra. Il marxismo, di cui fu autorevole interprete Li Dazhao, esercitò una forte attrazione teorica su numerosi

intellettuali cinesi, sia su coloro che avrebbero successivamente contribuito a formare il Partito, sia su altri che avrebbero seguito

percorsi politici diversi e anche opposti. Il marxismo era innanzitutto “scientifico” ed era allo stesso tempo “occidentale”: esso offriva una

visione rivoluzionaria del progresso sulla base del materialismo storico, secondo cui lo sviluppo della società umana avveniva secondo

determinate tappe (schiavista-feudale-capitalista-socialista-comunista) e il passaggio da una tappa all’altra avveniva grazie al ruolo

propulsivo della lotta di classe. La Cina era inoltre una delle tante vittime dell’espansionismo imperialista dell’Occidente. Il marxismo era

in grado di spiegare “scientificamente” che la ragione principale dell’arretratezza della Cina e delle umiliazioni subite nel corso dei

decenni stava nel suo ruolo di subordinazione e dipendenza all’interno del sistema imperialistico e capitalistico. Inoltre, il marxismo (e il

leninismo) affascinava numerosi intellettuali in quanto aveva dimostrato nella pratica la propria efficacia, avendo costituito la base

ideologica della rivoluzione russa contro l’autoritarismo zarista. ǎ

Nell’ottobre del 1919 Sun Yat-sen fonda il Partito Nazionalista Cinese (国民党 Guómínd ng). La nuova organizzazione si rifà ai “Tre

ǎ ǎ

Principi del Popolo” delineati nel manifesto della Lega giurata del 1905. Il partito comunista cinese (共产党 Gòngch nd ng) fu

ufficialmente fondato a Shanghai, in alcuni locali all’interno della Concessione francese, il 1 luglio 1921. Il programma politico approvato

chiamava a “rovesciare le classi capitalistiche” e “stabilire una dittatura del proletariato”. Nel 1923, in seguito a trattative con l’Unione

Sovietica, Sun Yat-sen e Partito comunista formarono un fronte unitario. Era un matrimonio di interesse, dal quale ambo le parti

volevano trarre vantaggio. Con la morte di Sun Yat-sen nel 1925, gli eventi ebbero un nuovo corso.

Nel 1926, il capo della destra, Chiang Kai-shek, diede inizio alla campagna verso il Nord che doveva unificare la nazione. Dopo la

conquista di alcune province, Chiang decise di procedere all’attacco di Shanghai, la città degli stranieri e dell’industria, ma anche del

proletariato e dei sindacati. Poco dopo il suo arrivo, Chiang Kai-shek non fece accordi con loro, ma avviò una serie di incontri segreti

con gli ambienti industriali e finanziari, con le personalità conservatrici del mondo politico, sociale e intellettuale, e con la malavita

locale. Con il loro appoggio, le truppe di Chiang Kai-shek nell’aprile del 1927 organizzarono un massacro di sindacalisti e comunisti. Il

fronte unitario era spezzato. I vincitori proseguirono con successo la campagna verso il nord, riuscendo ad ottenere il controllo delle

linee ferroviarie e delle città. Nel 1928 conquistarono Pechino e riunificarono il Paese.

Cacciato via dalle città, il Partito comunista fu costretto a cambiare le proprie strategie rivoluzionarie e ad organizzarsi nuovamente nelle

campagne. Mao Zedong si occupò della formazione di un’ “Armata Rossa”, fatta di contadini e operai. Per un anno intero, dall’ottobre

del 1934 a quello del 1935, i comunisti attraversarono la Cina, braccati dalle truppe del Guomindang, attaccati dai potenti locali,

perseguitati ovunque come banditi. Marciarono per zone impervie, attraversarono passi coperti dal ghiaccio, pantani e paludi. Quando,

dopo 10.000 km, giunsero al nord, degli 80,000 che erano partiti solo 8,000 erano sopravvissuti. La Lunga Marcia contribuì a

consolidare il potere di un uomo, Mao Zedong. Alla fine del 1934 occupava ancora una posizione marginale nel partito, ma dopo la

Lunga Marcia riuscì ad arrivare ai vertici del partito. La guerra civile iniziata nel 1946 si concluse dopo tre anni con la vittoria dei

天安门,

comunisti. Il 1 Ottobre 1949, mentre a Pechino, dall’alto della Porta della Pace Celeste Mao Zedong proclamava la nascita della

Repubblica Popolare Cinese, Chiang Kai-shek e le massime autorità nazionaliste lasciarono la Cina continentale per rifugiarsi a Taiwan.

La fondazione della Repubblica Popolare viene considerata un evento epocale, non un semplice mutamento di governo, ma una svolta

nella storia della Cina: la Liberazione. Al termine della Seconda Guerra Mondiale e della guerra civile, la Cina era libera

dall’occupazione semicoloniale delle potenze straniere (a parte Hong Kong e Macao) ed era nuovamente unita.

Nel 1950 il governo, come aveva fato d’altronde ogni dinastia, decise di adottare una riforma agraria in tutto il Paese. Questa misura

serviva ad imporre il controllo del partito su tutto il territorio. I proprietari terrieri vennero espropriati, denunciati in processi pubblici e

fucilati. Entro la fine del 1952, buona parte delle terre vennero distribuite equamente tra i contadini. Nelle città, tra il 1950 e il 1952, vi

furono numerose campagne contro “capitalisti” e “controrivoluzionari”: mercanti di droga, piccola criminalità e prostitute, tutti avanzi

corrotti del vecchio regime, ma anche imprenditori, intellettuali, soldati e chiunque fosse stato al servizio del Guomindang.Tutti i cittadini

vennero poi registrati in unità abitative e lavorative (单位)che servivano come base per l’amministrazione e determinavano la vita di

ogni singolo individuo (abitazione, lavoro, educazione e assistenza sociale). Nel 1953 fu deciso un piano quinquennale che prevedeva

lo sviluppo dell’industria pesante. Tra il 1949 e il 1960 la popolazione cittadina raddoppiò. Anche l’agricoltura, a partire dal 1953,

conobbe un ulteriore sviluppo. Le terre, che erano appena state divise, furono nuovamente tolte ai contadini e collettivizzate in piccole

comunità.

Nel 1956, Mao aveva esortato a “lasciare che cento fiori fioriscano e cento scuole gareggino tra loro”: un richiamo alla vivacità

intellettuale e un invito agli intellettuali perché facessero critiche costruttive. Ma la reazione superò ogni attesa. La critica all’incapacità

del partito e dei funzionari fu così radicale e massiccia che la campagna fu subito sospesa. Fu sostituita dalla “campagna contro la

反右运动,

destra” condotta contro quegli intellettuali che prima erano stati incitati alla critica. Nel 1958 oltre 500,000 “elementi di destra”

furono arrestati, condannati a morte o deportati nei campi di lavoro. Tra loro ci fu anche la scrittrice Ding Ling, che fu marchiata come

右派

traditrice e condannata a 22 anni di carcere e lavori forzati. Come Ding Ling, quasi tutti gli “elementi di destra” furono riabilitati

dopo più di 20 anni. Con la “campagna contro la destra”, il partito si era liberato degli intellettuali. Con il “grande balzo” la Cina doveva

diventare una nazione industrializzata. Il secondo piano quinquennale prevedeva che l’industria e l’agricoltura crescessero entrambe del

75% con la forza di volontà e il lavoro delle masse.

La collettivizzazione delle campagne fu resa più radicale: le cooperative furono trasformate in “comuni popolari”. Le comuni abolirono la

famiglia in quanto comunione di vita, produzione e consumo. Secondo i dati ufficiali, l’obiettivo di raddoppiare la produzione d’acciaio fu

raggiunto. Ma il risultato fu devastante: più della metà della produzione era assolutamente priva di valore, poiché l’acciaio era prodotto

dai contadini mescolando oggetti di metallo preesistenti (pentole, padelle, zappe). Nel 1959-61 la Cina fu colpita da una grave carestia.

La tragedia di questa catastrofe fu nel suo essere invisibile: per dimostrare al Partito di aver ottenuto raccolti da record, le comuni

inviavano comunicati falsati.

Nel 1959 Mao si era dimesso dalla carica di Presidente della Repubblica. La politica del “grande balzo” era fallita e il timone fu affidato

ad altri. Questi scelsero un percorso più moderato: i contadini tornarono nelle campagne, la collettivizzazione fu ridotta e fu nuovamente

consentita l’iniziativa privata. Ma lo spirito militante di Mao non si era assopito. Era l’esercito il modello che il popolo avrebbe dovuto

seguire. Nei libri di scuola, alla radio, sui giornali e sui manifesti venivano propagandati gli insegnamenti di Mao. Fu pubblicato un

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piccolo “libretto rosso” (毛主席语录 Máo Zh xí Y lù), contenente aforismi tratti dai discorsi di Mao. Alla fine del 1965, la posizione di

Mao era abbastanza forte per attaccare i vertici del partito attraverso la cultura. Nel 1966 ebbe inizio la “grande rivoluzione culturale

proletaria” e con essa la più vasta epurazione che il partito avesse mai conosciuto: occorreva criticare fino in fondo le idee reazionarie

ed allontanare i capitalisti infiltrati nel partito, nel governo, nell’esercito e nella cultura. 大字报

Gli studenti organizzarono una vera e propria caccia alle streghe contro insegnanti, professori, funzionari ed eruditi: diffamati sui

dàzìbào, costretti alla pubblica umiliazione, erano poi maltrattati e colpiti a morte. La Cina, negli anni ’60, aveva più di 700 milioni di

abitanti, dei quali più del 40% aveva meno di 15 anni. Ciò di cui aveva bisogno questa generazione era un capo ed un’ideologia, e Mao

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