Concetti Chiave
- Il lavoro è considerato una manifestazione dell'intelligenza umana, che ha permesso la nascita delle prime civiltà attraverso la trasformazione delle risorse naturali.
- La proprietà privata ha accentuato le distinzioni sociali, portando alla necessità di leggi per regolare i rapporti umani e garantire la giustizia sociale.
- La Rivoluzione Industriale ha trasformato il lavoro artigianale in lavoro subordinato, creando una nuova classe operaia spesso sfruttata senza diritti.
- Le lotte per i diritti dei lavoratori hanno condotto alla formazione di sindacati e partiti socialisti, che hanno ottenuto importanti miglioramenti nelle condizioni di lavoro.
- La Costituzione Italiana sottolinea il lavoro come diritto e dovere, promuovendo il benessere collettivo attraverso articoli che garantiscono uguaglianza, retribuzione dignitosa e protezione sociale.
Indice
- L'evoluzione del lavoro umano
- La nascita delle civiltà
- Il ruolo della proprietà privata
- Disuguaglianze salariali e sociali
- Sfruttamento e diritti dei lavoratori
- Rivoluzione industriale e capitalismo
- La questione operaia
- Lotta contro il capitalismo
- Diritti dei lavoratori in Italia
- Costituzione e diritti lavorativi
- Articoli della Costituzione
- Diritto e dovere del lavoro
- Tutela del lavoratore
- Parità di genere e lavoro minorile
- Sindacati e lotte sociali
- Sfruttamento moderno e disuguaglianze
L'evoluzione del lavoro umano
Il lavoro è a tutti gli effetti una manifestazione dell'intelligenza umana, che assume conoscenza dei meccanismi della natura e delle sue risorse.
Infatti, nei primi stadi della storia, l'uomo primitivo non svolgeva un'attività di lavoro vera e propria, poiché si affidava, per la sua sussistenza, esclusivamente a quello che la natura poteva offrire. Ad esempio, raccoglieva i frutti o cacciava quello che la terra metteva a disposizione. Il lavoro nasce con l'uscita dell'uomo dal suo stato di natura, dunque, a partire da quel momento in cui si può definire ''civilizzato''. Alcuni fattori, come quello climatico e dell'aumento demografico, non hanno più dato la possibilità di usufruire direttamente delle risorse della natura, cosicché è stato necessario doversele produrre. A tal fine, segue una presa di consapevolezza dei meccanismi della natura, che portano alle prime forme di lavoro vero e proprio, come la coltivazione nei campi, l'allevamento di animali o la lavorazione dei metalli.La nascita delle civiltà
Contemporaneamente, avviene che l'uomo si unisce in una comunità: l'obbiettivo di è quello di aiutarsi l'uno con l'altro tramite la divisione di compiti, collaborando al sostentamento comune, e non solo al proprio. Personalmente, penso che questa svolta sia stata determinata da una necessità dell'uomo di vivere circondato da altre persone. Non si tratta solo di una questione di aiutarsi nella sussistenza, perché l'uomo è, in fondo, un animale socievole che ha bisogno di sentirsi parte di un gruppo. Già l'uomo primitivo viveva in una sorta di collettività, eppure non necessitava di produrre i propri mezzi di sussistenza. Tuttavia, ciò che distingue la comunità degli uomini primitivi e quella dell'uomo civilizzato, è la presenza di leggi che regolano i vari rapporti umani. Nascono così le prime civiltà, le cui ricchezze si basavano sul lavoro degli artigiani e dei contadini. I loro prodotti venivano venduti alla comunità, e con il ricavato si guadagnavano da vivere e pagavano le tasse, che andavano ad alimentare le casse dello Stato; si avviava così l'economia. Dunque, Il lavoro, dal punto di vista economico, costituisce il fondamento per la costruzione di uno Stato; e non a caso l'articolo 1 della costituzione italiana recita: ''l'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro'': ognuno, tramite la propria attività, contribuisce allo sviluppo economico e sociale del Paese.
Fondamentalmente, il lavoro ha costituito lo ''slancio'' che ha portato alla nascita della società civile, permettendo all'uomo di distinguersi da tutti gli altri esseri umani.
Il ruolo della proprietà privata
L'uomo ha sempre avuto la tendenza di aggregarsi in una comunità, e ogni comunità che si rispetti, necessita di una regolamentazione di ciò che può esser fatto e ciò che invece non è permesso; altrimenti si sfocerebbe nel caos e l'uomo civilizzato non sarebbe tanto diverso da quello primitivo. Secondo la mia opinione, ciò che fa nascere la necessità di avere leggi che regolino i rapporti umani, è proprio il lavoro, poiché con questo nasce la proprietà privata. Con l'agricoltura, l'allevamento, la lavorazione dei metalli, è naturale che nasca il concetto di ciò che è mio e ciò che è tuo. L'uomo, è normale, che si sia sentito in bisogno di delimitare il proprio apprezzamento di terra, la propria bottega o casa; tanto importanti per lui, perché gli offrono riparo e da mangiare. La proprietà privata, tuttavia, accentua ancora di più le distinzioni sociali. Queste ultime, era inevitabile che si andassero a formare, dal momento che già solo la suddivisione delle attività lavorative costituiscono una distinzione, anche se tutte ugualmente indispensabili per il funzionamento della comunità.
Disuguaglianze salariali e sociali
In una società, il lavoro del contadino o del falegname, è fondamentale quanto il lavoro di un banchiere o di un architetto. Solo che i due gruppi recepiscono un salario diverso, e quindi avranno un tenore di vita diverso. La proprietà privata chiaramente rende ancora più visibile questa differenza. Secondo la mia opinione, il fatto che un agricoltore riceva un salario molto più basso, rispetto a un architetto, costituisce un fattore di disuguaglianza. Ovviamente, non è possibile che i due settori traggano dalla loro attività lo stesso guadagno, anche per il semplice fatto che un contadino non può rivendere a prezzi spropositati i propri prodotti. Tuttavia, molto spesso le differenze di salario sono sproporzionate, e magari permettono all'architetto di vivere una vita agiata con tutte le comodità; mentre il contadino non ha nemmeno soldi per sfamarsi. Io credo che una prima forma di disuguaglianza sociale risieda proprio nel fatto che, a seconda della professione, non puoi permetterti una vita dignitosa.
Sfruttamento e diritti dei lavoratori
Sempre parlando di disuguaglianza in ambito lavorativo, la storia ci ha mostrato come molto spesso i diritti dei lavoratori siano stati totalmente calpestati da uomini troppo avidi di denaro. Il diritto al lavoro si sviluppa solo a partire dal XIX; questo significa che per molti secoli il lavoro è stato sinonimo di sfruttamento, e nei peggiore dei casi, schiavitù. Nell'antica Grecia e Roma il lavoro non era cosa per uomini liberi, ma per schiavi, che coltivavano i campi dei loro padroni.
Solo a partire dal Medioevo, con la nascita delle varie entità comunali e della borghesia, si sviluppa il concetto di lavoro legato alle capacità imprenditoriali (ad esempio nascono le prime banche). Nello stesso periodo assumono grande rilevanza anche le botteghe. Le varie professioni si uniscono in corporazioni, al fine di aiutarsi in caso di bisogno. Si tratta di un passo molto importante, poiché esse costituiscono una prima forma di tutela dei lavoratori; potremmo considerarle come antenati molto lontani degli odierni sindacati.
Ciononostante erano sempre presenti forme di sfruttamento, come la ''servitù della gleba''. Dunque se da una parte vediamo il lavoro, che inizia ad essere tutelato, dall'altra vediamo servi privi di qualsiasi soggettività giuridica. Di fatto, la società medievale era organizzata in una complessa piramide del potere, nel gradino più basso si trovavano i servi della gleba, ovvero i contadini legati a coltivare per tutta la vita il terreno del feudatario, senza recepire un salario, in cambio di un posto dove vivere. Dovuta a questa rigida divisione nella società, non vigeva nemmeno il concetto di ascesa sociale: se nascevi servo, rimanevi servo per tutta la vita, e addirittura tramandavi l'incarico ai tuoi figli (concetto che poi verrà eliminato con l'illuminismo). Per quanto riguarda la servitù della gleba, la proprietà privata in questo caso ha contribuito a creare, e non solo accentuare, come detto prima, le disuguaglianze. Essa ha portato allo sfruttamento di molti lavoratori, dal momento che per il possidente era necessario farla fruttare il più possibile. Per come la penso io, molto spesso la sete di denaro fa compiere azioni spietate, e questo avrà di certo influito moltissimo nel condurre i proprietari terrieri allo sfruttamento. Ma, se il possidente si è sentito in diritto di riservare questo trattamento ai suoi lavoratori, significa che non li considerava niente di più che macchine o animali; di certo non esseri umani. Sicuramente alla base c'è un sentimento di superiorità da parte del padrone, che lo porta a pensare che queste persone non abbiano diritto a un pagamento o al riposo dal lavoro. Nella storia, un episodio in particolare, mostra come molti lavoratori venivano sfruttati, poiché considerati esseri inferiori. Mi riferisco alla schiavitù di indigeni nelle piantagioni e miniere americane: persone che venivano vendute per lavorare nei campi, proprio come si fa con gli oggetti. Successivamente, quando non rimasero più indigeni da sfruttare, perché morti a causa di malattie e dalla fatica dovuti alle condizioni pessime di lavoro, si iniziò a importare uomini dall'Africa. Penso che in queste occasioni lo sfruttamento fosse diventato un modo, non tanto per produrre maggiori ricchezze, ma per sfogare l'odio nei confronti di persone che non erano considerate all'altezza dell'uomo occidentale, ma piuttosto strumenti usa e getta.
Rivoluzione industriale e capitalismo
Tra Seicento e Settecento il lavoratore artigiano delle botteghe, si trasforma in un lavoratore subordinato al mercante. Questi disponeva di materie prime, ma lasciava ai suoi dipendenti il compito di realizzare il prodotto finito. Si inizia dunque a vedere l'evolversi della figura del capitalista, che raggiungerà la sua completa formazione con lo sviluppo industriale.
Nel '700 vediamo la prima Rivoluzione Industriale, nata in Inghilterra, ma che ben presto si diffuse in tutta l'Europa occidentale. Ogni secolo è figlio del secolo precedente, come dimostra il fatto che, il repentino sviluppo industriale si deve alla rivoluzione scientifica del Seicento, poiché permise lo sviluppo di macchine capaci di aumentare la produzione. Già a partire da questo momento si può iniziare a parlare di capitalismo: si tratta di un sistema che vede come obbiettivo l'arricchimento personale. I capitalisti erano coloro che possedevano le fabbriche, dunque i macchinari, che mettevano a disposizione dell'operaio; questi aveva il compito di realizzare il prodotto finito. In questa fase storica, nasce la figura del lavoratore dipendente stipendiato, o meglio, sottopagato. Di fatto, il lavoratore si trovava in una situazione di sfruttamento totale da parte del capitalista, poiché non godeva di nessun diritto, ma aveva solo il dovere di lavorare.
La questione operaia
L'aumento della produzione dovuta alle nuove macchine, portano a concentrare buona parte dell'attività lavorativa nelle fabbriche. I lavoratori sono costretti ad abbandonare le proprie botteghe e campi, per lavorare in questi stabilimenti. Si viene a determinare un'immigrazione di massa dalla campagna alla città, dove di trovavano le industrie. I padri di famiglia, che erano i primi a partire, vedevano nel lavoro come operaio il loro riscatto sociale. Pensavano fosse l'occasione per migliorare la condizione della loro famiglia. Tuttavia, si rivelò totalmente l'opposto. Gli operai erano costretti a lavorare 16 ore al giorno e in luoghi malsani, per il vapore delle macchine e per la sporcizia. Se rischiavano di ammalarsi, cosa che succedeva spesso per la scarsa igiene delle fabbriche, non potevano prendersi giorni di pausa.
Dopo un po' che questi padri di famiglia andavano avanti con il lavoro, i loro figli e mogli li raggiungevano. I bambini venivano impiegati in attività pericolose, come pulizia degli ingranaggi, grazie alle loro mani piccole. Le donne, se incinte, non avevano diritto alla maternità, e molto spesso partorivano in fabbrica. Non esisteva assolutamente alcuna forma di moralità e tutela. Tutto ciò, ci dimostra come al grande progresso tecnologico, si contrappone il degrado dell'operaio come lavoratore, ma anche come persona. È da capire la pressione e l'umiliazione a cui erano sottoposti tutti i giorni; vedevano nel lavoro in fabbrica il loro riscatto sociale, ed invece la loro condizione peggiorò più che mai. Venivano sottopagati e non potevano permettere una vita dignitosa nemmeno alla loro famiglia. Per questo, si ritrovavano alla fine dei turni ad ubriacarsi, perché non avevano altra forma di svago.
Lotta contro il capitalismo
Lo sviluppo dell'industria, ha portato ad un'altra conseguenza importante: le rivolte degli artigiani. Le fabbriche hanno sostituito la loro manodopera, perché chiaramente comportavano un abbattimento dei prezzi. Si trattava di proteste molto forti (luddismo): gli artigiani entravano nelle fabbriche e sfasciavano i macchinari. A una prima protesta, ne susseguirono altre. In queste rivolte, personalmente, ci vedo una prima forma di lotta contro il capitalismo, che inizierà veramente grazie all'opera di Marx. Queste proteste, tuttavia, ben presto furono oppresse, condannando a morte chiunque avesse partecipato.
Dunque, in sostanza, con la prima rivoluzione industriale inizia la così detta questione operaia: la condizione di assoluta assenza di diritti per il lavoratore.
Alla fine del XIX secolo avvenne una seconda fase di rapido sviluppo dell'industria e delle tecnologie, tanto che si parla di seconda Rivoluzione Industriale. Di nuovo i lavoratori si spostano dalle campagne nelle città, dove si trovavano le fabbriche, in cerca di fortuna. La condizione di vita nelle industrie non migliora; e i lavoratori non hanno diritto a un trattamento dignitoso. La loro condizione viene aggravata dall'invenzione della catena di montaggio, il così detto Taylorismo. Un operaio era addetto a costruire un solo componente del prodotto, cosicché il tempo di lavorazione finale risultasse dimezzato, e così anche il prezzo sul mercato. Questo sistema era molto in voga nelle nuove industrie automobilistiche, dal momento che l'abbattimento del prezzo finale dell'auto, la rendeva alla portata di più persone. Tutto ciò giovava solo al capitalista che si arricchiva sempre di più, mentre l'operaio era costretto a lavorar ancora molte ore al giorno, costruendo sempre lo stesso pezzo, e rischiando così pure di impazzire. Personalmente vedo la catena di montaggio come un annientamento di tutte le potenzialità e capacità che un lavoratore può avere. L'essere umano è capace di fare molto di più che costruire sempre lo stesso pezzo. Le macchine sono adatte a fare questo genere di cose: imposti la loro funzione e sono in grado di andare avanti così per giorni. Ma l'essere umano non funziona come una macchina, e non puoi programmarlo nello svolgere una sola attività.
In questo periodo, l'aumento della produzione e nuove scoperte come il petrolio, determinano una grande acquisizione di potere da parte dei capitalisti. Il lavoro era sostanzialmente controllato da privati, che vedevano una ricchezza sempre maggiore del capitalista, e una condizione sempre peggiore del lavoratore. Tuttavia, è a partire dal questo momento storico che si vedono i primi risultati concreti della lotta contro al capitalismo. Marx è senza dubbio il protagonista di questa vicenda storica. Le sue ideologie hanno alimentato il desiderio degli operai di avere anche loro dei diritti: Marx incitava i lavoratori ad unirsi, poiché loro erano una massa e potevano ottenere ottimi risultati contro i capitalisti; come si dice: ''l'unione fa la forza''. La coscienza di classe era la prima tappa di un percorso che, secondo Marx, poteva portare a una condizione migliore dell'operaio. E in effetti, i lavoratori cominciarono a maturare questa concezione, che poi sarebbe sfociata nella lotta di classe: i lavoratori rivendicano una migliore condizione sociale e del salario, ed un modo per farlo era attraverso lo sciopero. Le ultime due tappe vedevano la dittatura del proletariato, ovvero gli operai al potere; ed infine l'instaurazione del socialismo.
Contemporaneamente nascevano i partiti socialisti, che avevano come obbiettivo la difesa della classe operaia e il raggiungimento dei diritti per i lavoratori. Dunque Marx e i partiti di sinistra costituivano la voce degli operai, e la loro azione, sommate alle rivolte proletarie, portarono a risultati concreti. Prima di tutto, vennero a formarsi associazioni di lavoratori, ossia le '' società di mutuo soccorso''. Costituiscono il precursore degli odierni sindacati, dal momento che esse erano improntate sulla solidarietà tra i soci: ciascuno versava una quota che serviva poi per corrispondere i sussidi. Di fatto, questi venivano devoluti nel momento in cui un lavoratore ne avesse avuto bisogno; ovvero per motivi di malattia, disoccupazione, infortunio, e di vecchiaia. Di fatto, nell'Ottocento non esisteva la malattia pagata o le pensioni statali.
Inoltre, i partiti socialisti e comunisti degli stati europei più industrializzati, si unirono in una serie di incontri, che avevano come obbiettivo il bene degli operai. La prima riunione prende nome di Prima Internazionale: i vari partiti si organizzano per migliorare la condizione dei lavoratori nei loro paesi. Ma solo nella Seconda Internazionale, si raggiunge un importante traguardo: l'orario di lavoro fu abbassato a 8 ore giornaliere, e venne stabilito che il primo maggio fosse giorno di festa per i lavoratori. Ancora oggi avviene questa ricorrenza, per ricordare l'importanza che ha il lavoro nella nostra vita.
Diritti dei lavoratori in Italia
L'Italia invece ha una storia un po' diversa. A fine '800 venne fondato il partito socialista italiano, che sempre ha come obbiettivo la difesa dei lavoratori. Tuttavia, in Italia, l'industria non si era diffusa come in Inghilterra, in Francia o in Germania, quindi non si può propriamente parlare di movimento operaio. La maggior parte erano contadini, quindi il partito socialista era un punto di riferimento più per loro, che per gli operai. Tuttavia, operava illegalmente, poiché era stato sciolto dal ministro Crispi. Per un uomo che appoggiava gli imprenditori, un partito che lottava in favore dei più deboli ''dava fastidio ''. Ciò significa che in Italia ci vorrà ancora tempo prima che gli operai possano godere di diritti riconosciuti dallo Stato.
Costituzione e diritti lavorativi
Infatti, solo a partire dal secolo scorso, lo Stato inizia ad intervenire per disciplinare il rapporto di lavoro, fino a quel momento regolato dai privati; si iniziarono dunque a porre le basi per eliminare lo sfruttamento dei lavoratori. Questo processo si concluderà solo negli anni '60 del 1900. Nella nostra Costituzione sono scritte sotto forma di articoli, anni di lotte dei lavoratori per ottenere quei diritti. Di fatto, spesso ciò che è riportato sulla Costituzione, ci sembrano parole astratte, ma non è così, poiché si basano su fatti molto concreti.
Gli articoli che riguardano i diritti dei lavoratori si trovano nella parte sui diritti e doveri dei cittadini. Di fatto, il lavoro è sia un diritto che un dovere, e viene ribadito più volte nella nostra Costituzione.
Articoli della Costituzione
Art 2: ''la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo''.
Con ''riconoscere'' si sottolinea che sono diritti che l'uomo acquisisce fin dalla nascita, e che non vengono concessi eccezionale dallo Stato. La Repubblica si impegna a garantirli, cioè ad offrire un' adeguata protezione, affinché vengano rispettati. Nei diritti inviolabili riconosciuti potremmo includere quello al lavoro.
''Richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale''
Il cittadino italiano ha dei doveri, tra cui quello di pagare le tasse, affinché tutti si possa contribuire allo sviluppo del Paese.
Ma per far sì che chiunque paghi le tasse, è necessario che ciascuno percepisce un reddito, quindi che abbiano un lavoro.
Art 4: ''la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto''.
Il lavoro viene concepito come un diritto che lo Stato deve riconoscere; e deve adoperarsi per metterlo in pratica. Ad esempio, deve limitare la disoccupazione. Se non c'è il diritto al lavoro, allora non può venire nemmeno il dovere di pagare le tasse.
Attualmente, la disoccupazione, soprattutto quella giovanile, è un fenomeno estremamente diffuso nel nostro Paese. Si tratta del segnale più evidente, che dimostra come l'economia di uno Stato non vada bene; e dal momento che l'economia viene gestita dalla politica, quest'ultima ne è la principale causa. Ciò significa che, è vero che tutti abbiamo il dovere di pagare le tasse, ma lo Stato molto spesso non promuove le condizioni. Ma, è anche vero che, in Italia è molto diffuso il lavoro in nero. Le tasse sul fatturato sono alte, ma non è una giustificazione valida. Bisogna pensare che se tutti facessero così, sarebbe la fine economica per il nostro Stato; facciamo tutti parte della stessa comunità e bisogna tutti contribuire per il benessere collettivo.
''Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società''.
Lo stato deve rendere effettivo il diritto al lavoro, ma il cittadino ha il dovere di impegnarsi al fine di svolgere un'attività lavorativa. Inoltre, la scelta del mestiere deve essere libera, perché praticare una professione che ti piace e per cui sei portato, ti permette di dare il meglio e di far progredire la società. Tuttavia, penso che svolgere un mestiere che piace, è importante soprattutto a livello personale. Si tratta di una questione di benessere individuale, dal momento che un lavoro spesso è per tutta la vita; e praticare ogni giorno un mestiere che non ti gratifica, avrà delle conseguenze sull'umore, ma anche sulla salute psicologica.
Un articolo dei principi fondamentali, che secondo me è importante citare, è il terzo. Questo non parla esplicitamente di lavoro, ma si potrebbe includere, poiché tira in ballo il tema dell'uguaglianza. ''Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese''.
Questo articolo rispecchia a pieno quel cambio di mentalità che c'era stato dopo il fascismo, elencando tutte le ragioni di discriminazione del passato. Riguarda l'ambito lavorativo, dal momento che per molto tempo gli operai non avevano assolutamente pari dignità e non erano eguali davanti alla legge; sempre sono state favorite determinate classi sociali. Inoltre, le discriminazioni, soprattutto di razza, hanno troppo spesso giustificato lo sfruttamento. Tuttavia, questo non significa che ora viviamo nella società perfetta dove tutti siamo uguali, anzi. Il principio di uguaglianza è messo ogni giorno in discussione da episodi di razzismo e intolleranza. Addirittura, spesso provengono da alcuni politici, che al contrario dovrebbero impegnarsi a eliminare qualsiasi forma di discriminazione; come scritto nell'articolo soprastante. Quest' uguaglianza espressa nella nostra Costituzione purtroppo non si ripresenta nella vita di tutti i giorni.
Diritto e dovere del lavoro
Il messaggio che la nostra Costituzione vuole trasmettere è che il lavoro è sia un diritto diritto che dovere. Il lavoro è un diritto, perché tutti devono avere la possibilità di poter produrre il proprio mantenimento, e poter condurre una vita dignitosa e libera. Ma è anche un dovere, su cui si basa il nostro Stato (Articolo 1), e grazie ad esso possiamo godere di tutti gli altri diritti.
I diritti e i doveri sono complementari, poiché la storia ci ha dimostrato che non è possibile vivere in una società con soli doveri: quando i lavoratori avevano solo il dovere di lavorare, ciò limitava troppo la persona, e si sono così formate rivolte per ottenere diritti. Ma allo stesso tempo non è possibile vivere in una società con soli diritti, dal momento che questi vengono dopo i doveri. Per fare un esempio concreto: noi studenti abbiamo il diritto all'istruzione, grazie prima al lavoro degli insegnanti. Oppure, si può godere del diritto alla salute, grazie al lavoro dei medici. Dunque, si può affermare che i diritti e i doveri devono coesistere per il benessere di uno Stato.
Tutela del lavoratore
Nel Titolo III della Costituzione si parla nel dettaglio dei diritti del lavoratore, ed è stato necessario sottolinearli uno ad uno, dal momento che è fondamentale tutelare in ogni singolo aspetto la figura del lavoratore; più debole rispetto a quella del datore di lavoro.
Art 35: ''La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l'elevazione professionale dei lavoratori. ... Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell'interesse generale, e tutela il lavoro italiano all'estero''.
Lo stato offre a qualsiasi attività lavorativa la stessa ''protezione', sempre per una questione di uguaglianza di fronte alla legge. Grazie al diritto all'istruzione, i lavoratori possono ricevere una formazione. Il cittadino italiano, è libero di poter lavorare all'estero, ed è tutelato dalla legge italiana.
Art 36: ''Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi''.
Secondo me questo è uno degli articoli più significativi, dal momento che racchiude quei tre punti per cui i lavoratori hanno tanto lottato. Questi tre punti sono gli stessi che sanciscono la differenza tra sfruttamento e lavoro come mezzo per assicurare una vita libera e dignitosa. Di fatto, la retribuzione deve essere in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore/ lavoratrice, e alla sua famiglia, un'esistenza libera, poiché il lavoro è necessario a tal fine; e dignitosa, giacché nessuno può essere costretto a lavorare in ambienti malsani e in condizioni umilianti. La legge stabilisce le ore di lavoro, e in ogni caso qualsiasi straordinario è retribuito. Ogni professione ha le sue ore di lavoro stabilite, ed alcune, tuttavia, non prevedono straordinari. Il riposo settimanale e le ferie sono concepite come diritti, poiché il riposo è necessario per la salute stessa del lavoratore; infatti non può rinunciarvi.
Tuttavia, oggigiorno, non sempre accade che gli straordinari siano pagati, o che la retribuzione sia sufficiente a consentire ''un' esistenza libera e dignitosa''. Nonostante anni di lotte proletarie, troppo spesso i datori di lavoro si arricchiscono, a spese dell'attività sottopagata di altri. Ovviamente, lo sfruttamento di operai in Italia, non è diffuso come quello di un tempo, poiché la mentalità in generale è cambiata e le persone si sono sensibilizzate su questo argomento. Tuttavia, è sempre presente, dal momento che non esiste una pena vera e propria sul codice penale, e molti datori di lavoro non sono tanto diversi dai capitalisti dell'Ottocento.
Parità di genere e lavoro minorile
Art 37: ''La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione''.
In questo articolo si mette in evidenza la parità dell'uomo e della donna lavoratrice. Tuttavia, affermare che le condizioni di lavoro della donna devono consentire l'adempimento alla sua essenziale funzione familiare, ovvero di madre, è un concetto poco moderno, risalente agli anni in cui fu scritta la Costituzione. Infatti, nel dopoguerra, per molto tempo, il lavoro tipico della donna era la maestra, collegato al ruolo di madre. Inoltre, alla donna in maternità deve essere riservata una speciale protezione.
Su questo articolo si potrebbe aprire un ampia parentesi: in teoria la donna lavoratrice è pari all'uomo lavoratore, e a parità di lavoro ricevono lo stesso salario; ma in pratica la donna riceve uno stipendio inferiore, quindi non è esattamente considerata al pari del lavoratore.
È vietato licenziare la donna nel periodo di gravidanza, ed è per questo che più spesso si sente parlare di mobbing: è una sorta di terrore psicologico effettuato dal datore di lavoro, ma anche dai colleghi della donna. Adottano questo atteggiamento aggressivo e di esclusione, che mirano a portare la donna ad auto-licenziarsi, dal momento che non si sente più a suo agio nel luogo di lavoro. Questi fatti dimostrano una sola cosa: che l'uguaglianza di sesso di cui si parla nell'articolo 3, viene molto spesso ignorata. Non voglio generalizzare e dire che questi episodi si verificano sempre e, che tutti gli uomini pensino che la donna sia inferiore, ma decisamente troppo spesso si sente parlare di discriminazione della donna sul luogo di lavoro e non solo, quando nella nostra Costituzione si ribadisce più volte l'uguaglianza di sesso.
''La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato.
La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione''.
I minori possono lavorare e ricevere un salario, ma solo a partire da una determinata età. Se un adulto e un minore svolgono lo stesso lavoro, verranno retribuiti ugualmente. Il lavoro dei minori viene tutelato con speciali norme: si trovano ancora in una fase di crescita e non possono essere sottoposti a sforzi troppo pesanti. Eppure, oggigiorno lo sfruttamento dei minori esiste: bambini che vengono privati della loro salute ed infanzia; nonché del diritto all'istruzione. Potremmo pensare che sia un fatto che riguarda solo i Paesi più sottosviluppati, ma non è così. Anche se in minor parte, interessa pure alcuni Stati europei e non solo; tra questi c'è l'Italia.
Art 38: ''ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria''.
Anche questo, secondo il mio punto di vista, è un articolo molto significativo, poiché ci parla di tutela in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia e disoccupazione involontaria. Tutti hanno in qualsiasi caso diritto a un esistenza dignitosa e libera.
Sindacati e lotte sociali
Lo stato tutela i lavoratori, che possono decidere di unirsi in sindacati.
Art 39: ''l'organizzazione sindacale è libera . Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge''.
La loro origine è piuttosto antica, come abbiamo visto. Oggi sono associazioni libere, che hanno come punto di forza l'unione dei lavoratori, in modo tale da difendersi da qualsiasi forma di ingiustizia sul lavoro. Alla base c'è dunque la solidarietà, in modo da tutelare gli interessi individuali e collettivi. Oggigiorno, i principali sistemi di rivendicazione dei sindacati sono gli scioperi. Questi sono riconosciuti come un diritto dall'articolo 40. infatti, è giusto poter protestare, se in ambito lavorativo viene commesso un torto.
Tutti questi diritti costituiscono il risultato delle rivolte proletarie, e, per quanto riguarda l'articolo 36, anche delle lotte per l'emancipazione femminile: un tempo non era scontato solamente affermare che la donna potesse lavorare.
Sfruttamento moderno e disuguaglianze
Ciononostante, lo sfruttamento e la disuguaglianza dei sessi continua ad esistere, anche nei Paesi considerati civilizzati come l'Italia.
Per quanto riguarda lo sfruttamento, magari è presente in forma minore rispetto ad un tempo, ma esiste ugualmente. Non bisogna dimenticare poi che nel nostro Paese esiste il sistema del caporalato, che recluta manodopera per sfruttarla nei campi, ignorando totalmente i principi fino ad ora elencati. Inoltre, ancora si sente parlare di morte sul lavoro, poiché mettere in sicurezza il luogo, costituisce un costo per l'azienda, e allora si preferisce anteporre i soldi alla vita umana; come se questi avessero più valore. In un Paese, che si fonda sul lavoro e che dedica gran parte della sua Costituzione a questo tema, trovo poi inaccettabile che debbano succedere queste cose. Ma ancora nel XXI secolo non è passato a tutti il messaggio che la vita e la salute umana vale molto di più del denaro. Finché non imporranno una pena nel codice penale per tutti coloro che non rispettano i diritti del lavoratore, la gente continuerà ad anteporre alla vita umana i soldi.
Tuttavia, questi fenomeni di sfruttamento, non riguardano solo l'Italia, ma il resto del mondo. Addirittura, nei Pesi più sottosviluppati, ancora esiste lo schiavismo. Tutto sommato si sa che ''tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare ''.
Domande da interrogazione
- Qual è l'importanza del lavoro nella storia dell'umanità?
- Come si è evoluto il concetto di lavoro nel corso della storia?
- Quali sono stati i principali cambiamenti nel diritto al lavoro?
- Qual è il ruolo della Costituzione italiana riguardo al lavoro?
- Quali sono le sfide attuali legate al lavoro in Italia?
Il lavoro è una manifestazione dell'intelligenza umana che ha permesso all'uomo di uscire dallo stato di natura e di costruire società civilizzate, basate sulla divisione dei compiti e sulla collaborazione per il sostentamento comune.
Il lavoro è passato da attività di sussistenza a forme organizzate come l'agricoltura e l'artigianato, fino a diventare un elemento centrale nelle società industriali, con l'emergere del capitalismo e la lotta per i diritti dei lavoratori.
Il diritto al lavoro si è sviluppato a partire dal XIX secolo, con la lotta contro lo sfruttamento e la schiavitù, portando alla formazione di sindacati e alla conquista di diritti fondamentali come la riduzione dell'orario di lavoro e la tutela della dignità del lavoratore.
La Costituzione italiana riconosce il lavoro come un diritto e un dovere, fondamentale per lo sviluppo economico e sociale del Paese, e stabilisce articoli specifici per tutelare i diritti dei lavoratori, garantendo una retribuzione equa e condizioni di lavoro dignitose.
Le sfide attuali includono la disoccupazione, soprattutto giovanile, e il lavoro in nero, che compromettono l'economia del Paese e la possibilità di garantire a tutti una vita dignitosa, nonostante i diritti sanciti dalla Costituzione.