Concetti Chiave
- L'opera di repressione del brigantaggio e l'alleanza con i nobili locali non risolsero i problemi del Meridione, come la miseria e l'alienazione dello stato.
- La mancata riforma agraria del 1866 aggravò il divario Nord-Sud, poiché le terre finirono nelle mani dei latifondisti piuttosto che dei contadini.
- La classe politica, prevalentemente settentrionale, non affrontò adeguatamente le differenze strutturali del Meridione rispetto al resto d'Italia.
- I meridionalisti proposero soluzioni concrete per superare le differenze tra Nord e Sud, come la riduzione del peso fiscale e la promozione della piccola industria locale.
- L'opinione pubblica e gran parte della classe politica preferirono credere alle tesi di Cesare Lombroso, che attribuiva i problemi del Sud a un'inferiorità biologica dei meridionali.
Indice
L'opera di repressione e i problemi del Meridione
Le parole dello storico Mark Smith ci inducono a osservare che l'opera di repressione del brigantaggio e l'alleanza del nuovo stato con i nobili locali non risolse, anzi aggravò, i veri problemi del Meridione, ossia la miseria della maggior parte della popolazione e, soprattutto, la difficoltà a santirsi parte di uno stato che appariva estraneo, lontano e oppressivo.
La mancata riforma agraria e la questione meridionale
I governi della Destra storica erano ben consapevoli che i problemi profondi che avevano portato al brigantaggio erano di ordine sociale. Nel 1866 si profilò una possibile soluzione alla disattesa riforma agraria: per far fronte alle esigenze di bilancio, lo stato decise di mettere in vendita le terre demaniali del Regno borbonico e quelle confiscate al clero. Di fatto però i contadini, gravati dalle tasse e ridotti alla miseria, non furono in grado di acquistare le terre, che finirono ancora una volta nelle mani dei ricchi proprietari latifondisti.
La mancata riforma agraria, il peso fiscale per finanziare lo sviluppo delle infrastrutture e dell'industria, nonchè la repressione militare del brigantaggio, aggravarono il divario tra Nord e Sud e stanno alla base di quella che poi fu definita la "questione meridionale". La classe politica, sia della Destra sia della Sinistra storiche, composta prevalentemente da uomini del Nord, non seppe e non volle affrontare la realtà del Meridione, che la natura dei luoghi e la permanenza di strutture feudali avevano reso diverso dalle restanti regioni della penisola italiana.
Proposte dei meridionalisti e resistenza politica
In realtà, non mancarono precise analisi economiche e concrete proposte politiche; furono avanzate dai cosiddetti meridionalisti, intellettuali provenienti da diverse regioni che sollevarano e affrontarono la questione: Leopoldo Franchetti, Sidney Sonnino, Giustino Fortunato, Pasquale Villari e, nel Novecento, Saverio Nitti, Gaetano Salvemini, Antonio Gramsci, Luigi Sturzo e Piero Gobetti. Costoro sostennero che la questione meridionale altro non era che la "questione italiana", nel senso che i problemi dell'Italia unita si sarebbero risolti solo superando le differenze tra Nord e Sud, e indicarono a più riprese le soluzioni: riduzione del peso fiscale, opere di bonifica e rinboschimento, costruzione di acquedotti, abolizione del latifondo, difesa della proprietà contadina, promozione della piccola industria locale e domestica.
Buona parte della classe politica e l'opinione pubblica preferirono, invece, credere alle tesi allora divulgate dal criminologo Cesare Lombroso, che indicava nell'incapacità organica al lavoro dei meridionali e nella loro inferiorità biologica le cause di tutti i mali del Sud.
Domande da interrogazione
- Quali furono le conseguenze della mancata riforma agraria nel Meridione dopo l'Unità d'Italia?
- Chi furono i principali intellettuali che affrontarono la "questione meridionale" e quali soluzioni proposero?
- Qual era la visione di Cesare Lombroso riguardo ai problemi del Sud Italia?
La mancata riforma agraria contribuì ad aggravare il divario tra Nord e Sud, poiché le terre finirono nelle mani dei ricchi proprietari latifondisti, mentre i contadini rimasero nella miseria, incapaci di acquistare le terre a causa delle tasse elevate.
Intellettuali come Leopoldo Franchetti, Sidney Sonnino, Giustino Fortunato, e altri, proposero soluzioni come la riduzione del peso fiscale, opere di bonifica, costruzione di acquedotti, abolizione del latifondo, e promozione della piccola industria locale per risolvere la "questione meridionale".
Cesare Lombroso attribuiva i problemi del Sud Italia all'incapacità organica al lavoro dei meridionali e alla loro presunta inferiorità biologica, una tesi che fu accolta da buona parte della classe politica e dell'opinione pubblica dell'epoca.