Concetti Chiave
- L'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando fu il catalizzatore che fece scoppiare la Prima Guerra Mondiale, in un contesto già carico di tensioni politiche e rivalità tra le potenze europee.
- La politica espansionistica della Germania e le tensioni nei Balcani, alimentate da nazionalismi emergenti, furono tra le principali cause profonde del conflitto.
- L'inizio delle ostilità coinvolse rapidamente molti paesi, con la Germania e l'Austria-Ungheria che speravano in una guerra-lampo, mentre la Francia e la Gran Bretagna si opposero fermamente.
- Il conflitto si trasformò in una guerra di logoramento, caratterizzata da trincee e scontri prolungati, con l'Italia che si unì all'Intesa nel 1915, aprendo un nuovo fronte.
- L'entrata degli Stati Uniti nel conflitto e la Rivoluzione russa furono eventi decisivi che influenzarono gli esiti della guerra, culminando nel trattato di Versailles e nella creazione della Società delle Nazioni.
Indice
- L'assassinio di Sarajevo e le tensioni europee
- La politica espansionistica e le alleanze
- L'attentato di Sarajevo e l'inizio della guerra
- La guerra di posizione e i fronti
- L'intervento italiano e il Patto di Londra
- Lo stallo del 1915-16 e la guerra di logoramento
- La rivoluzione russa e l'intervento americano
- La controffensiva dell'Intesa e la fine del conflitto
- La conferenza di pace e il trattato di Versailles
L'assassinio di Sarajevo e le tensioni europee
Il 28 giugno 1914 uno studente assassinò l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono asburgico a Sarajevo.
Questo evento fece precipitare verso la guerra una situazione internazionale carica di tensioni politiche. L’assassinio non fu che un casus belli, un’occasione che fece deflagrare i gracili equilibri su cui si sosteneva il sistema delle relazioni tra gli stati europei. Le cause effettive affondavano le loro radici nelle scelte politiche ed economiche effettuate dalle grandi potenze europee.La politica espansionistica e le alleanze
La politica espansionistica inaugurata da Guglielmo II entrò in collisione con l’Impero britannico, che vide minacciata la sua egemonia. I tedeschi estesero i loro possedimenti nel continente africano, moltiplicando i motivi di tensione con la Gran Bretagna. Il contrasto anglo-tedesco si acuì quando l’imperatore mostrò di voler assecondare le spinte nazionaliste, lanciando il progetto della “grande Germania", creazione di una grande nazione tedesca nella quale includere tutti i territori abitati da tedeschi. L’equilibrio europeo non era messo in pericolo soltato dall’aggressivo nazionalismo tedesco ,ma anche dal riemergere di questioni nazionali irrisolte. I conflitti balcanici rappresentavano il più minaccioso focolaio di tensioni. La lotta per l’indipendenza dei croati e degli sloveni, cui si aggiungevano le spinte indipendentiste di cechi e ungheresi. Fu la Serbia a guidare il nazionalismo slavo e a dar vita a una lega che nel 1912 dichiarò guerra all’Impero ottomano (Prima guerra balcanica). L’Austria temeva il rafforzamento della Serbia, mentre la Russia e l’Italia erano intenzionate a ostacolare l’egemonia austriaca nell’area. Nel 1913 la Bulgaria aprì le ostilità attaccando la Serbia per il controllo delle regioni macedoni (Seconda guerra balcanica). La Serbia uscì vincitrice, divenendo un avversario pericoloso, sia perché rappresentava l’ostacolo all’affermazione della sua egemonia nell’area balcanica, sia perché costituiva il principale punto di riferimento dei nazionalismi slavi interni all’Impero.
L’impero britannico esercitò una funzione di garanzia degli equilibri politico - diplomatici. Questo ruolo della Gran Bretagna si basava su una indiscussa leadership economica. Agli inizi del Novecento la spartizione del mondo era avvenuta e non c’erano più “terre di nessuno” a disposizione delle potenze europee. Questa situazione si tradusse in una politica sempre più aggressiva che comportò una generale corsa agli armamenti,c ioè una tendenza a potenziare eserciti e flotte e ad investire capitali e risorse nella produzione di armi.
I timori di un’Europa dominata dalla Germania spinsero la Gran Bretagna e la Francia ad un riavvicinamento che divenne una vera e propria alleanza politico-militale. Per la prima volta dopo un secolo, si vennero formando in Europa due sistemi di alleanze contrapposti: uno formato da Germania e Austria con l’appoggio dell’Italia, l’altro formato da Francia e Gran Bretagna, con l’adesione della Russia zarista.
L'attentato di Sarajevo e l'inizio della guerra
L’attentato di Sarajevo consentì all’Austria-Ungheria e alla Germania di mettere in atto la loro volontà di guerra. La prima intendeva risolvere a proprio favore la questione balcanica e la seconda sperava di travolgere la Francia prima ancora che la Russia completasse la sua mobilitazione. La Germania prevedeva che le operazione belliche si svolgessero nel giro di poche settimane (guerra-lampo). L’ultimatum lanciato dall’Austria alla Serbia fu formulato in termini inaccettabili. Il governo serbo si oppose all’ultimatum ma si dichiarò disposto al dialogo. Il governo austriaco decise di aprire subito le ostilità: il 28 luglio 1914 dichiarò guerra alla Serbia e cominciò il bombardamento della capitale Belgrado.
La guerra di posizione e i fronti
Il conflitto assunse una dimensione europea. La resistenza dell’esercito belga non potè tuttavia impedire che l’esercito tedesco varcasse il confine nord-occidentale. L’esercito francese, appoggiato da un corpo di spedizione inglese, riuscì però, dopo una gigantesca battaglia lungo il fiume Marna, ad allontanare la minaccia tedesca dal suolo nazionale. I tedeschi infatti furono costretti ad arretrare e i due eserciti si fronteggiarono sui fiume lungo linee che munirono di trincee e fortificazioni. Fu così evidente che il conflitto si andava trasformando in una guerra di posizione. Alla sconfitta tedesca della Marna avevano contribuito due ordini di fattori: l’avanzata troppo rapida e l’inaspettata invasione della Prussia da parte dei russi. A questi due grandi fronti si aggiunse un terzo: il mare del Nord, dove Germania e Gran Bretagna diedero vita un aspro conflitto. La Gran Bretagna si riprometteva di bloccare i rifornimenti agli Imperi centrali di materiale militare. Sui mercati tedeschi si fecero sempre più rari i beni alimentari di maggior consumo che venivano razionati dal governo e dalle autorità militari. A questo blocco economico la Germania rispose scatenando la guerra sottomarina, che coinvolse anche navi passeggeri appartenenti ai paesi neutrali. L’affondamento del piroscafo Lusitania provoca la protesta degli Stati Uniti.
L'intervento italiano e il Patto di Londra
La Germania era riuscita a evitare l’intervento americano. Nel 1915 scesero in campo la Bulgaria con gli Imperi centrali e, con l’Intesa, il Portogallo, la Romania e soprattutto l’Italia. L’intervento italiano determinò l’apertura di un nuovo fronte. La scelta neutralista dell’Italia si fece sulla base di tre ordini di ragioni: la Triplice alleanza aveva un carattere esclusivamente difensivo; l’Italia non era stata consulatata al momento dell’ultimatum alla Serbia; Vienna non intendeva accogliere l’articolo 7 del trattato che prevedeva compensi territoriali all’Italia nel caso in cui l’Austria fosse uscita rafforzata nell’area balcanica. Una volta sfumata l’ipotesi di entrare in guerra a fianco dell’Austria e della Germania, nel governo cominciò ad affacciarsi l’ipotesi di intervenire a fianco dell’Intesa .I liberali di destra ritenevano che la guerra avrebbe permesso di accenturare il carattere autoritario dello Stato. La grande industria oscillava tra la propensione alla neutralità e quella all’intervento a fianco dell’Intesa. Per ragioni opposte a quelle di Salandra e Sonnino, erano favorevoli a l’intervento alcuni settori del sindacalismo rivoluzionario e del socialismo rivoluzionario, nella convizione che la guerra avrebbe radicalizzato lo scontro sociale e scardinato l’ordine capitalista. Le frange più rumorose dell’interventismo raccoglievano consenso fra i nazionalisti che si esprimevano attraverso le retoriche declamazioni di D’Annunzio. Erano neutralisti, oltre ai liberali giolittiani, anche i cattolici e i socialisti: i primi perché non volevano combattere una potenza cattolica come l’Austria, i secondi perché giudicavano la guerra profondamente estranea agli interessi dei lavoratori e la consideravano provocata dalle rivalità e dagli interessi delle borghesie imperialistiche. Mentre si agitavano queste opposte tendenze, una soluzione calata dall’alto determinò l’intervento dell’Italia in guerra a fianco dell’Intesa. Infatti, nell’aprile 1915, il ministro degli Esteri, Sonnino, stipulò segretamente il Patto di Londra, che impegnava l’Italia ad entrare in guerra a fianco dell’Intesa e le garantiva, in caso di vittoria, il Trentino e il Tirolo meridionale, Triestre, l’Istria, la Dalmazia (esclusa la città di Fiume) e la base di Valona in Albania. Il 20 maggio 1915 il parlamento, considerata da un lato la decisione del re e dall’altro la virulenza delle manifestazione di piazza, diede il suo sostegno al governo che, il 23 maggio dichiarò guerra all’Austria. Il giorno dopo l’esercito iniziava le operazioni militari varcando il Piave in forze. Alla base di queste decisioni stava la convizione che una guerra rapida e vittoriosa avrebbe consentito di instaurare una stretta autoritaria e un maggiore ordine nel paese.
Dinamica ed esiti del conflitto
Lo stallo del 1915-16
Lo stallo del 1915-16 e la guerra di logoramento
Con l’intervento italiano si aprì un nuovo fronte di guerra. Le operazioni lungo questa linea ebbero l’effetto di alleggerire la pressione sul fronte russo, che era già stato sfondato dagli austriaci nel maggio 1915. Nonostante questi eventi, i rapporti di forza tra i due blocchi non si modificarono sostanzialemente: con il fallimento della strategia tedesca della guerra - lampo, il conflitto si andava trasformando in una guerra di logoramento, nella quale milioni di soldati si contrapponevano lungo chilomentri e chilometri di trincee senza mai affrontarsi in battaglie campali. La trincea esprimeva quella situazione di stallo in cui la guerra si trascinò tra il 1915 e il 1916. Lo stallo danneggia in particolare gli Imperi centrali che, essendo circondati pressochè da ogni lato dalle forze nemiche, subivano sempre più drammaticamente il blocco commerciale imposto loro soprattutto da Gran Bretagna e Francia. Per sfondare le linee nemiche, il generale Erich von Falkenhayn, capo di Stato maggiore degli eserciti austro-tedeschi, decide di concentrare le armate tedesche in un solo punto, cioè nei pressi della fortezza di Verdun, dove si scatenò una cruenta battaglia che durò ben cinque mesi e che lasciò sul terreno mezzo milione di morti. Gli anglo-francesci non solo riuscirono a mantenere le loro posizioni, ma lanciarono infine un contrattacco che rovesciò la situazione. Il tentativo tedesco di rompere l’isolamento via mare non ebbe migliore sorte .Il 31 maggio 1916 la marina tedesca si scontrò con quella inglese presso la penisola dello Jutland allo scopo di spezzare il predominio della flotta britannica. Ma la parziale vittoria tedesca non fu in grado di minacciare l’egemonia inglese sul mare. I tedeschi tentano la carte della guerra sottomarina. Intanto, sul fronte meridionale, nel maggio - giugno 1916, gli austriaci lanciarono un violento attacco contro le linee italiane detto Strafexpedition (“spedidizione punitiva “contro l’”alleato traditore), che portò all’occupazione dell’altopiano di Asiago. Poco dopo, le truppe italiane, sia pure a prezzo di ingentissime perdite, riuscirono a conseguire l’unico risultato militare significativo del primo bienno di guerra, la presa di Gorizia (9 agosto 1916).
Le nazioni belligeranti danno vita a governi sorretti da ampie maggioranze. Nell’Impero austriaco le spinte autonomistiche delle diverse nazionalità si fecero sempre più incontenibili, tanto da indurre il nuovo imperatore, Carlo I, succeduto a Francesco Giuseppe morto nel 1916, a pensare ad una pace separata con l’Intesa. Gli stati assumono direttamente il compito di pianificare e dirigere l’economia di guerra. L’economia diventa sempre più simile a quella di una città assediata, tanto il fenomeno “guerra” polarizza ogni attività, ogni opera, sposta e determina ogni situazione. Simbolo del dominio assoluto di questo fenomeno è la posizione nuova assunta dallo Stato. Quale imprenditore della guerra, è divenuto il centro, il perno, il motore dell’economia tutta. Lo sforzo bellico imprime slancio all’attività industriale. L’attività di lavoro in fabbrica viene militarizzata. I profitti d’impresa lievitarono anche per il fatto che lo Stato, tra le misure adottate, mise in atto una serie di provvedimenti tesi a limitare le libertà sindacali e persino a importare la “militarizzazione “ del lavoro in fabbrica. Istituì inoltre speciali organismi nei quali erano rappresentati sia i sindacati dei lavoratori sia le associazioni degli imprenditori, allo scopo di dirimere più rapidamente le controversie tra lavoro e capitale. Lo sforzo bellico degli stati produce un aumento del debito pubblico e avvia a una spirale inflazionistica.
La rivoluzione russa e l'intervento americano
Nel quarto anno di conflitto si verificarono avvenimenti di importanza decisiva: la rivoluzione bolscevica in Russia, che portò all’uscita di questa nazione dalla scena del conflitto; l’intervento degli Stati Uniti; il manifestarsi nei soldati e nella popolazione di un rifiuto della guerra. La corte zarista continuava a dar prova di un totale distacco dalla realtà del paese, accentuando i caratteri dispotici della sua politica. La goccia che fece traboccare il vaso fu una rivolta di operai e soldati scoppiata a Pietrogrado nel 1917. Essa provocò l’abdicazione dello zar e la formazione di un governo provvisorio cui parteciparono tutte le forze antizariste. Il presidente del consiglio provvisorio decise di scatenare un’offensiva in Galizia, che si risolse in un totale fallimento. Era il segno decisivo della totale estraneità dei soldati alla guerra che convinse il governo rivoluzionario comunista all’uscita della Russia dalla guerra. L’intervento degli Stati Uniti a fianco dell’Intesa fu provocato dalla ripresa della guerra sottomarina. Gli Stati Uniti puntavano a tutelare i capitali prestati ai paesi dell’Intesa e a salvaguardare le loro esportazioni in Europa. Inoltre il governo statunitense tendeva a sostenere le nazioni che avevano un sistema liberaldemocratico.Dopo gli iniziali entusiasmi, in tutti i paesi belligeranti si stava diffondendo una generalizzata stanchezza e insofferenza nei confronti della guerra. Nel 1917 si accentuò in maniera dirompente il malcontento dei soldati e della popolazioni nei confronti della guerra e della sua ideologia. I soldati erano costretti a vivere sotterrati nelle trincee. Su tutti i fronti si manifestarono diserzioni di massa e ammutinamenti che i comandi cercarono di arginare con misure disciplinare severissime. I fattori di crisi erano diffusi anche fra la popolazione civile. I governi dovevano contrastare non solo il nemico al fronte,m a anche gli oppositori interni, ossia tutti coloro che, per varie ragioni, si opponevano alla prosecuzione della guerra. Si trattava dunque non solo di arginare il disfattismo, ma di contrastare il senso di prostrazione delle popolazioni causato dalla scarsità dei generi alimentari. Sul fronte militare il 1917 sembrò volgere a favore della Germania e dell’Austria. Gli imperi centrali si prepararono a uno sforzo offensivo eccezionale nella speranza di risolvere a loro favore il conflitto prima che le truppe americane sbarcassero in Europa. L’esercito italiano non resse all’urto. Costretti a ritirarsi per evitare l’accerchiamento da parte del nemico,che aveva preso Caporetto , gli italiani indietreggiarono in una caotica ritirata fino al Piave.Si formò un nuovo governo di solidarietà nazionale e l’esercito fu riorganizzato sotto la guida del generale Armando Diaz.Il generale puntò sulla promessa di distribuire appezzamenti di terra ai contadini dopo la fine del conflitto.Questo progetto ebbe larga presa fra i soldati.
La controffensiva dell'Intesa e la fine del conflitto
L’ attacco decisivo fu sferrato nella regione di San Quintino dove le linee dell’intesa furono sfondate fino alla Marna. Nonostante la grande ritirata,la battaglia non era persa: le truppe anglo-francesci seppero riorganizzarsi e riuscirono a resistere all’onda d’urto delle truppe austro-tedesche. Con l’arrivo delle truppe americane, il 18 luglio scattò la controffensiva dell’intesa e fra l’8 e l’11 agosto l’esercito tedesco fu messo in rotta e il fronte fu sfondato nei pressi di Amiens. Anche sul fronte meridionale iniziava la controffensiva dell’esercito italiano contro le armate austriache che vennero sconfitte a Vittorio Veneto. Nel frattempo, l’Impero asburgico si era disgregato sotto la spinta delle tendenze autonomistiche delle varie nazionalità.
La conferenza di pace e il trattato di Versailles
Alla conferenza per la pace si incontrarono i paesi vincitori (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Italia), mentre i vinti furono convocati solo per firmare i trattati di pace. Durante la conferenza si manifestarono gravi contrastri tra l’indirizzo della diplomazia europea e le tendenze del presidente Wilson: la prima, rappresentata dal primo ministro francese, intenedeva risolvere la disgregazione di quattro imperi mediante la tradizionale politica della annessioni territoriali. Wilson, nel suo programma sintetizzato nei famosi Quattordici punti, puntava ad affermare il principio democratico dell’autodeterminazione dei popoli. Di fatto prevalse la linea del ministro francese, mirante a paralizzare la Germania sconfitta imponendole una “pace cartaginese”, da cui non potesse più risollevarsi per tornare a minacciare l’integrità della Francia. La Germania fu costretta a firmare il trattato di Versailles stabilendo alcune modifiche territoriali: la restituzione alla Francia dell’Alsazia e della Lorena e lo smembramento dei possessi coloniali. La pace con l’Austria oltre a imporre la smaterializzazione dell’esercito,portò al riconoscimento di nuovi stati che avevano cominciato a prendere forma con il dissolvimento dell’impero austro-ungarico. L’Austria dovette cedere all’Italia il Trentino, l’Alto Adige, Trieste e Istria. Un ultimo risultato della conferenza di Versailler fu la creazione della Società delle nazioni che avrebbe dovuto tutelare la pace esercitando una funzione di arbitrato nelle controversie internazionali. Il disegno di Wilson, tuttavia, rimase incompiuto, poiché non solo la Germania e la Russia, ma persino gli Stati Uniti restarono fuori da questo organismo internazionale. La Società delle nazioni rimase pertanto un organismo scarsamente rappresentativo.
Domande da interrogazione
- Quali furono le cause principali che portarono allo scoppio della Prima guerra mondiale?
- Come reagì l'Italia all'inizio della guerra e quali furono le ragioni del suo intervento?
- Quali furono le conseguenze della guerra di posizione tra il 1915 e il 1916?
- Quali eventi decisivi si verificarono nel quarto anno di conflitto?
- Quali furono gli esiti della conferenza di pace di Versailles?
Le cause principali furono le tensioni politiche internazionali, l'espansionismo tedesco, i conflitti balcanici e le rivalità tra le grandi potenze europee, come la Germania e l'Impero britannico.
L'Italia inizialmente scelse la neutralità, ma successivamente intervenne a fianco dell'Intesa nel 1915, influenzata da promesse territoriali e pressioni politiche interne.
La guerra di posizione portò a uno stallo, con gravi perdite umane e un blocco economico che colpì duramente gli Imperi centrali, mentre le battaglie come quella di Verdun non riuscirono a rompere l'equilibrio.
Eventi decisivi furono la rivoluzione bolscevica in Russia, l'intervento degli Stati Uniti e il crescente rifiuto della guerra da parte dei soldati e delle popolazioni civili.
La conferenza portò a trattati che ridisegnarono i confini europei, imposero dure condizioni alla Germania e crearono la Società delle Nazioni, sebbene quest'ultima risultasse poco rappresentativa.