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Concetti Chiave

  • L'Italia post-bellica affronta difficoltà economiche a causa della conversione industriale per la guerra e l'abolizione delle facilitazioni, portando a conflitti sociali.
  • Il "biennio rosso" è caratterizzato da lotte sociali alimentate dalle aspirazioni rivoluzionarie del proletariato industriale ingrandito e trasformato dalla guerra.
  • Durante la guerra, le fabbriche italiane vedono l'ingresso di donne e operai di origine contadina, che diventano una forza lavoro ribelle e non radicata nei sindacati tradizionali.
  • Le proteste operaie del 1918 portano a scioperi vittoriosi, con richieste di aumenti salariali e la riduzione dell'orario lavorativo a 8 ore per contrastare l'inflazione.
  • L'accordo del 1919 tra CGL e Confindustria stabilisce la giornata lavorativa di 8 ore, aumenti salariali e una tregua sociale in cambio di norme lavorative più rigide.

Indice

  1. L'Italia in guerra e le sue conseguenze
  2. Il biennio rosso e le lotte sociali
  3. Il nuovo proletariato e le sue rivendicazioni
  4. Le aliquote di donne nelle aree industriali
  5. Accordo tra Confindustria e CGL

L'Italia in guerra e le sue conseguenze

L’Italia, entrata in guerra con un apparato industriale più ridotto e fragile di quello delle grandi potenze capitalistiche belligeranti, e senza la loro ampia disponibilità di materie prime, è stata costretta a convertire la maggior parte della propria industria alla produzione bellica, ed a contare, per il rifornimento dei beni di consumo che sono così venuti a mancare, oltre che delle materie prime necessarie all’industria stessa, sulle facilitazioni e sui crediti delle potenze alleate.

Ma, cessata la guerra, le facilitazioni vengono abolite, e rimangono grossi debiti da pagare. In questa situazione cominciano a venir meno le basi del consenso sociale all’ordinamento economico e politico del paese, ed emergono conflitti laceranti.

Il biennio rosso e le lotte sociali

Il ciclo di lotte sociali che ne deriva, e che è destinato a prolungarsi per circa due anni, alimentando aspirazioni e aspettative di rivoluzione “come in Russia” — tanto da essere passato alla storia con il nome di “biennio rosso” —, comincia dalla classe operaia. Il proletariato industriale italiano del dopoguerra non è più quello di prima della guerra. È diventato molto più numeroso, in seguito al rapidissimo sviluppo dell’industria bellica cui la guerra ha dato impulso — basti pensare che a Torino, centro della produzione bellica italiana, gli operai di fabbrica sono passati da circa 80 mila nel 1915 fino a 240 mila alla fine del 1918 —, e soprattutto è mutato nella sua composizione e nella sua mentalità.

Le aliquote di donne nelle aree industriali

Il nuovo proletariato e le sue rivendicazioni

Durante la guerra, infatti, nelle aree industriali italiane sono entrate per la prima volta in fabbrica consistenti aliquote di donne e di nuovi operai di recente origine contadina, che da un lato hanno superato rapidamente, nel clima di duro sfruttamento della fabbrica di guerra, il tradizionalismo del loro ambiente di provenienza, e che d’altra parte, essendo per lo più forza-lavoro priva di qualificazione professionale e senza un radicamento di lunga data nel mestiere operaio, e non avendo perciò, nei confronti della dirigenza riformista del sindacato socialista, quel vincolo emotivo e di interesse tipico delle vecchie aristocrazie operaie professionalizzate, non possono esserne moderate nella loro carica ribellistica.

Nel nuovo proletariato, infatti, si sono rapidamente accumulati rancori e spirito di rivolta, a causa sia di una disciplina di lavoro cui esso non è abituato e non riesce ad adattarsi, sia di un’esasperante progressiva perdita di potere d’acquisto del sudato compenso monetario, in seguito all’inflazione. Tutto ciò spiega come nel novembre-dicembre 1918 dilaghino gli scioperi, che terminano, nella maggior parte dei casi, con vittorie degli operai, i quali ottengono, così, aumenti salariali tali da compensare in parte, anche se non del tutto, le perdite subìte a causa dell’inflazione. Questi risultati non calmano però le agitazioni, perché la classe operaia, logorata dai pesanti lavori che le sono stati imposti con la guerra, esige ora, con rabbia, la giornata lavorativa di 8 ore (la giornata lavorativa è in Italia, dal 1906, di 10 ore).

Accordo tra Confindustria e CGL

Nasce così, nel gennaio 1919, un famoso accordo stipulato tra la Confindustria e la Confederazione Generale del Lavoro (CGL) i quali si impegnano a concedere la giornata lavorativa di 8 ore a parità di salario, e con un aumento, anzi, delle tariffe dei cottimi e delle ore straordinarie (il compenso per queste ultime è addirittura raddoppiato), e la seconda si impegna, in cambio, ad accettare norme di lavoro più rigide allo scopo di far crescere la produttività, ed a garantire una tregua sociale (in pratica, la sospensione degli scioperi) per un periodo di tre anni. Alla base di questo accordo c’è la convinzione degli imprenditori industriali che convenga loro pagare un prezzo agli operai pur di porre termine agli scioperi e poter contare su una più vasta solidarietà nei confronti delle loro pretese di ricevere finanziamenti e persino, nonostante la fine della guerra, ulteriori commesse belliche dallo Stato, e c’è la strategia della dirigenza riformista del sindacato socialista di riassorbire le tensioni rivoluzionarie.

Domande da interrogazione

  1. Quali furono le cause principali del "biennio rosso" in Italia?
  2. Il "biennio rosso" fu causato dalla rapida crescita del proletariato industriale dopo la guerra, dall'entrata di nuove forze lavoro come le donne e gli operai di origine contadina, e dalla perdita di potere d'acquisto dovuta all'inflazione, che portarono a scioperi e agitazioni sociali.

  3. Come cambiò la composizione della forza lavoro industriale italiana durante la guerra?
  4. Durante la guerra, la forza lavoro industriale italiana vide l'ingresso di un numero significativo di donne e nuovi operai di origine contadina, che superarono il tradizionalismo e non avevano legami emotivi con la dirigenza sindacale riformista.

  5. Quali furono le richieste principali del nuovo proletariato dopo la guerra?
  6. Il nuovo proletariato richiedeva aumenti salariali per compensare l'inflazione e la riduzione della giornata lavorativa a 8 ore, rispetto alle 10 ore precedenti.

  7. Quali furono i termini dell'accordo tra CGL e Confindustria nel 1919?
  8. L'accordo prevedeva la concessione della giornata lavorativa di 8 ore a parità di salario, con aumenti delle tariffe dei cottimi e delle ore straordinarie, in cambio di norme di lavoro più rigide e una tregua sociale di tre anni.

  9. Qual era la strategia degli imprenditori industriali e della dirigenza sindacale riformista riguardo all'accordo del 1919?
  10. Gli imprenditori industriali erano disposti a pagare un prezzo per porre fine agli scioperi e ottenere solidarietà per ricevere finanziamenti, mentre la dirigenza sindacale riformista mirava a riassorbire le tensioni rivoluzionarie.

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