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Vincent Van Gogh
Van Gogh nasce nel 1853 a Zundert, nei Paesi Bassi, in una famiglia profondamente religiosa: il padre era un pastore protestante e l’ambiente familiare era fortemente legato alla fede. Questa rigidità spirituale influenzerà profondamente la sua sensibilità e la visione tragica della vita. Era il primogenito, ma in realtà portava lo stesso nome di suo fratello nato morto l’anno prima: anche questo segnerà la sua identità, facendolo crescere con un senso di sostituzione e malinconia.Dopo aver concluso gli studi, prova a seguire le orme del padre dedicandosi alla predicazione tra i minatori e i contadini del Belgio. Vive con loro, condivide le loro sofferenze e cerca di diffondere i valori evangelici, ma viene deluso dal contrasto tra ciò che predica e la realtà umana che lo circonda. Questo fallimento lo segna e lo porta a una crisi profonda.
Successivamente lavora nella casa d’arte dello zio a Londra, ma anche questa esperienza finisce male, soprattutto dopo una delusione amorosa che lo fa sprofondare in una depressione.
Torna in Olanda e comincia a studiare pittura da autodidatta, ispirandosi agli antichi maestri olandesi come Rembrandt (dal quale apprende l’uso delle luci e dei contrasti) e agli artisti realisti come Millet, che dipingevano scene di vita contadina. Ne copierà alcuni quadri, affascinato dalla semplicità e dalla dignità del mondo umile.
Il suo primo capolavoro è “I mangiatori di patate” (1885), un’opera cupa e intensa, che rappresenta la vita faticosa e semplice dei contadini, con toni scuri e pennellate dense. Questo segna l’inizio della sua vera carriera pittorica.
Negli anni successivi si trasferisce a Parigi dal fratello Theo, che lo sosterrà economicamente e moralmente per tutta la vita. Qui entra in contatto con l’ambiente impressionista, ma se ne distacca rapidamente: mentre gli impressionisti cercano di cogliere l’impressione visiva della realtà, Van Gogh vuole esprimere emozioni interiori, stati d’animo, la sua visione personale del mondo. A Parigi conosce Paul Gauguin, con cui stringe un rapporto molto intenso.
Nel 1888 si trasferisce ad Arles, nel sud della Francia, e sogna di creare una comunità di artisti. Gauguin lo raggiunge, stringendo un forte rapporto, ma i due litigano violentemente e, in un momento di crisi, Van Gogh si taglia parte dell’orecchio.
Da quel momento inizia una serie di ricoveri in ospedali psichiatrici. Nonostante la sua salute mentale precaria, continua a dipingere senza sosta, producendo alcune delle sue opere più famose e intense.
Muore suicida nel 1890, a soli 37 anni, ad Auvers-sur-Oise, dopo aver passato la vita nella solitudine e senza essere riconosciuto, infatti in tutta la sua vita vende solo un quadro.
L’arte e lo stile di Van Gogh
Van Gogh non è un impressionista, anche se ne eredita certi aspetti tecnici (l’uso dei colori accesi e della luce), ma è un artista profondamente espressionista (possiamo infatti considerarlo quasi un precursore dell’espressionismo): non cerca di rappresentare la realtà oggettiva, ma di trasmettere le sue emozioni attraverso la pittura. Ogni elemento nei suoi quadri è carico di significato simbolico.Le sue pennellate sono dense, nervose, a spirale o a vortice, e i colori sono accesi e contrastanti, spesso innaturali, perché vogliono esprimere lo stato d’animo, non l’apparenza reale delle cose.
Alcuni dei suoi soggetti più famosi sono:
I girasoli: simbolo della vitalità e della speranza, ma anche della fragilità umana.
Gli iris
La chiesa di Auvers-sur-Oise: un paesaggio che diventa quasi visione, deformato dalla sua angoscia e dal senso di solitudine.Notte stellata: uno dei suoi dipinti più celebri, in cui il cielo prende vita in un turbinio emotivo che riflette l’inquietudine dell’artista.
Solo dopo la sua morte, Van Gogh verrà riscoperto e riconosciuto come uno dei grandi geni dell’arte moderna. Il mondo, col tempo, ha sentito il bisogno morale di rivalutare la sua opera, capendo quanto profondamente aveva saputo esprimere la sofferenza umana, la fragilità e l’intensità dell’esistenza.
Gli autoritratti
Gli autoritratti di Van Gogh rappresentano una parte fondamentale del suo percorso artistico e umano. Fin dagli esordi, come nel dipinto “i mangiatori di patate”, l’artista dimostra un approccio ancora grezzo, lontano dalla ricerca della bellezza o dell’armonia formale, ciò che lo interessa è l’autenticità del sentimento, la rappresentazione della verità interiore.Questo bisogno di introspezione si approfondisce negli anni successivi, trovando la sua espressione più intensa proprio nei suoi numerosi autoritratti.
Attraverso l’auto-indagine pittorica, Van Gogh cerca di cogliere le emozioni che attraversano il suo volto, usando la pittura come mezzo per riflettere e comprendere il proprio mondo interiore. Gli occhi nei suoi autoritratti, ad esempio, cambiano spesso colore, forma ed espressione, diventando lo specchio del suo stato d’animo.
Van Gogh utilizza l’autoritratto non solo come mezzo di espressione emotiva, ma anche come esercizio tecnico, perché dipingere sé stesso gli permetteva di allenarsi, di migliorare la propria tecnica e di sperimentare nuove soluzioni pittoriche.
Nei suoi autoritratti si nota l’influenza dell’Impressionismo e del Pointillisme (puntinismo), ma anche il forte richiamo alle stampe giapponesi, di cui era profondamente appassionato e che collezionava con cura. Proprio dall’arte giapponese eredita l’uso delle linee marcate, la stilizzazione delle forme e la costruzione bidimensionale dell’immagine.
Il colore nei suoi autoritratti non è mai realistico, ma simbolico ed emotivo. Attraverso le pennellate decise, Van Gogh proietta sul quadro le proprie emozioni, i suoi dolori, le sue inquietudini. Ogni autoritratto, dunque, è un frammento di sé: un modo per raccontare la sua fragilità, la sua solitudine, ma anche il suo desiderio di verità e di comprensione.
Campo di grano con volo di corvi
Quest’opera, conservata al Van Gogh Museum, è una delle ultime dipinte da Van Gogh e rappresenta il culmine del suo dramma interiore, spesso interpretata come un testamento spirituale e artistico.È un dipinto carico di simboli, realizzato pochi giorni prima del suicidio dell’artista, che avverrà proprio nei pressi di un campo come quello rappresentato, a Auvers-sur-Oise.
Il paesaggio è semplice ma potente: un campo di grano dorato, scosso dal vento, attraversato da sentieri che si perdono verso l’orizzonte, sotto un cielo scuro e minaccioso, da cui si alzano in volo stormi di corvi neri.
La scena è essenziale, ma ogni elemento ha un forte valore espressivo e simbolico.
La contrapposizione cromatica è molto netta, il giallo dorato del grano, simbolo di luce, vita, calore, si scontra con il blu cupo del cielo, che evoca angoscia, oscurità e disperazione. Questo contrasto visivo accentua il dramma emotivo e restituisce l’intensità dello stato d’animo tormentato di Van Gogh in quel periodo. Le pennellate sono dense, nervose, e trasmettono rabbia, dolore e dolcezza insieme, come se l’artista stesse gridando in silenzio sulla tela.
I corvi, dipinti come delle “W” rovesciate, volano sopra il campo come presagi di morte, sembrano spaventati, in fuga, e possono essere letti come immagine della mente inquieta dell’artista, o come simboli del rumore improvviso, del boato che spezza il silenzio della notte. Alcuni vedono in loro una minaccia, altri un’anima che si libera.
I sentieri che attraversano il campo non portano a nulla di visibile, sono strade interrotte, spezzate, senza destinazione chiara, forse metafora delle scelte difficili, dei bivi esistenziali.
Il campo di grano occupa circa due terzi dell’altezza del dipinto, con il cielo che incombe dall’alto, quasi soffocando la terra sottostante e occupa un terzo della tela.
Van Gogh osservava spesso questo paesaggio dall’ospedale, e proprio lì, nei giorni precedenti la morte, decide di rappresentarlo, infondendoci tutta la sua solitudine e il suo male di vivere.
La forza del vento, suggerita dalla direzione delle spighe, e le nubi presenti nel cielo, creano un’atmosfera drammatica e inquieta, come se la natura fosse in pieno tumulto, in sintonia con l’anima dell’artista.
Quest’opera rappresenta in parte quello che sarà poi l'espressionismo, proprio perché mette in scena non la realtà oggettiva, ma l’urgenza interiore di comunicare una sofferenza profonda.