Concetti Chiave
- Nel 146 a.C., Roma distrugge Corinto sotto il comando di Lucio Mummio, segnando l'inizio di un nuovo imperialismo che provincializza la Grecia e ne umilia la cultura.
- Catone il Censore rappresenta una classe dirigente che si arricchisce attraverso la conquista e lo sfruttamento delle nuove province, pur ostentando una facciata di moralità tradizionale e conservatrice.
- Catone, pur essendo un conservatore, gestisce proprietà latifondistiche che contraddicono il suo ideale di piccola proprietà terriera, riflettendo le trasformazioni economiche e sociali di Roma.
- Il processo agli Scipioni evidenzia le tensioni tra vecchie e nuove fazioni politiche romane, con Catone che accusa gli Scipioni di appropriazione indebita, ma viene contrastato dalla loro abilità oratoria e diplomatica.
- La disputa tra Catone e gli Scipioni illustra il cambiamento nei valori romani, con l'emergere di metodi diplomatici ellenistici che sfidano le tradizionali tattiche militari romane.
Indice
La sconfitta di Andrisco e la distruzione di Corinto
Nel 146 a.C. Andrisco mobilita forze e, dopo tre anni, Cecilio Metello riesce a sconfiggere a Pidna il rivoltoso; di nuovo, la Lega achea, che pure non si era schierata in modo evidente con Andrisco (come era accaduto con Perseo), ha assunto un atteggiamento neutro che a Roma non è piaciuto: dunque, Roma invia un generale più determinato di Cecilio Metello, Lucio Mummio, che nel 146 distrugge Corinto radendola al suolo. Lo stesso luogo che aveva visto la proclamazione della libertà della Grecia vede il suo affossamento politico: Corinto aveva infatti un significato speciale per la Lega e per tutta la Grecia, che viene subito provincializzata; vengono così create due provinciae, quella in Africa e quella di Macedonia, con annessa tutta la Grecia (che in tal modo ne esce umiliata, in quanto ammessa con la Macedonia, il paese che i Greci hanno sempre odiato). Emerge così un nuovo volto di Roma, i cui nuovi generali distruggono, radono al suolo e provincializzano, il che determina un forte cambiamento nella classe dirigente, ma non in tutta.
Catone il censore e la classe dirigente romana
La figura di Catone il censore, che in questo momento è particolarmente attivo, dimostra che in questa classe dirigente serpeggia una brama di ricchezza fortissima (per le guerre fatte, che spinge ancora a fare in quanto fonte di arricchimento, perché le nuove conquiste non portano solo bottino in grande quantità, sfruttamento poiché provincializzate, ma portano e costituiscono anche un grande bacino di smercio per i prodotti che la classe dirigente di questo periodo riesce a far produrre in Italia). La classe dirigente rappresentata da Catone, che scriverà di cultura, è formata piccoli proprietari terrieri, che aravano e poi andavano in Senato, mettendosi la toga sopra al vestito da contadino per decidere le grandi questioni romane; Catone il censore è il modello, il prototipo di una parte del ceto dirigente, che vive sulla propria pelle le contraddizioni di un mondo che sta cambiando e quindi tenta di ancorarsi al passato, perché sente che Roma, perseguendo modelli di conquista, di arricchimento facile, di bottino (come quelli di Lucio Mummio), sta cambiando e in questi cambiamenti è la sua rovina: Catone è un ipocrita, come molti che vogliono soltanto il passato e non si rendono conto della sua parziale utilità, cioè che esso può solo servire a non rendere il presente troppo diverso, ma è col nuovo che bisogna fronteggiarsi.
Contraddizioni e cambiamenti nella classe dirigente
Nei suoi scritti, Catone appare come un uomo all'antica, un conservatore: non istruisce suo figlio da persone come Polibio, perché deve sapere solo il latino e deve andare a fare il contadino, perché in quanto contadino può entrare in Senato; tuttavia, come hanno dimostrato gli archeologi e gli studiosi di letteratura, Catone conosceva benissimo il greco, che aveva una proprietà di almeno 40 ettari e che, dopo l’inno al piccolo proprietario terriero, in altri libri dà consigli di gestione della proprietà che vanno bene per grandi proprietari terrieri, non per piccoli contadini che coltivano il proprio campo con l’aratro a mano, in quanto si concepiscono all’interno di una grande azienda rurale, una di quelle ville rustiche che troveremo più volte citate come punto di partenza dei grandi investimenti latifondistici di questo gruppo di proprietari terrieri che in Senato guidano le scelte di Roma, accanto ad altri. I suoi sono consigli per un’organizzazione di aziende che fanno la ricchezza dell’Italia e di Roma, ma anche la sua rovina: l’espansione di queste aziende va a discapito delle piccole proprietà terriere del contadino-soldato, che per sbarcare il lunario va in guerra, ora che essa viene anche pagata con lo stipendium, lasciando la casa, nella migliore delle ipotesi, a figli abbastanza grandi da tenere in piedi le proprietà, altrimenti in rovina. Questo è lo scenario che si prefigura nel giro di pochi anni e che porterà alla reazione graccana.
Il processo degli Scipioni e la nuova oratoria
Il nuovo è rappresentato da un’altra parte del ceto dirigente, quello che Catone attacca e mette addirittura sotto processo, ovvero gli Scipioni: essi hanno ospitato Polibio e guardano come altri ad oriente, al mondo greco, perché sanno che la Roma del passato è zoppa (forte e compatta, composta da contadini) e che, per conquistare il mondo, deve adeguarsi al mondo (per conquistare e governare la Grecia deve, ad esempio, sapere il greco, conoscere il siriaco); Roma deve andare e confrontarsi con le ricchezze che il mondo da poco conquistato offre: non solo ricchezze fisiche (palazzi, regge, il modo di vivere dei sovrani ellenistici, che a Roma stordisce), ma anche la ricchezze della civiltà greca, di cui vogliono impossessarsi. Le contraddizioni di questa classe dirigente, che ormai non è più omogenea (come durante le Guerre Puniche), in cominciano a serpeggiare forti conflitti, sono illustrate dal processo degli Scipioni, messo in atto da Catone il censore; nel 187 a.C. Catone porta Lucio Scipione (fratello di Publio) di fronte ai Comizi, accusandolo perché, dopo aver vinto Antioco e aver fatto entrare nelle casse dello Stato molte migliaia di talenti, aveva rivendicato di rendicontarne 500: il generale romano che tornava vittorioso dalla guerra doveva rendicontare tutti i soldi che aveva messo nelle tasche dello Stato, che la sua azione militare aveva dato a Roma. Effettivamente, uno dei sistemi di controllo più ampi di Roma, con cui il Senato controllava i suoi magistrati, era il fatto che essi duravano un anno, alla fine della cui carica c’era la rendicontazione (di attività politica, militare ed economica); Catone scopre che Lucio Scipione non ha rendicontato 500 talenti, ma di fronte ai Comizi Centuriati prende la parola il fratello Publio, che fa chiudere questo confronto con un’incredibile orazione, facendo vergognare Catone di fronte a tutto il popolo se avesse osato dire una parola in più contro il fratello (ricordando come aveva liberato Roma e l’Italia da Annibale e come 500 talenti, rispetto a tutte le ricchezze che il fratello aveva portato dopo aver sconfitto Antioco, erano una miseria).
Catone contro Scipione l'Africano
La grande oratoria, per questo, è l’altro aspetto di fronte a cui il mondo e la classe dirigente romana si sta confrontando: gli Scipioni avevano maestri, i Sofisti greci e sapevano incantare con le parole, mentre Catone (che non aveva pari cultura) è spiazzato dalla sua grande oratoria; tuttavia, nel 184 a.C. Catone mette sotto processo lo stesso Publio Scipione l’Africano, accusandolo di proditio patriae (tradimento della patria): egli è infatti riuscito a sapere, forse attraverso spie, che Publio Scipione, prima della Battaglia di Magnesia, si era messo d’accordo con Antioco III, il quale gli suggerì di entrare in battaglia in un momento che gli fosse propizio, cioè quando era lui a guidare l’esercito e in cambio avrebbe ottenuto la liberazione di proprio figlio. Sebbene la battaglia era stata vittoriosa per Roma e questo non aveva significato tradimento, di fatto Antioco III non era morto, l’esercito era stato sconfitto ma senza stragi e dunque c’era stato un accordo precedente perché la guerra fosse risolta militarmente ma quasi attraverso la diplomazia; tutto questo era nuovo a Roma, ma diventerà estremamente frequente, come lo scenario diplomatico di chi muove le fila e che, come gli Scipioni ormai hanno imparato e parte della classe dirigente romana (diversa da Catone il censore) sa, è tipica del mondo ellenistico (raffinatezze diplomatiche, lettere, accordi segreti, un altro modo di fare la guerra, molto diversa da quella dalle legioni romane che, guidate dai vecchi generali, si muovevano solo distruggendo). Questa volta Catone il censore, pur non riuscendo a condannare Scipione l’Africano, ottiene il suo ritiro dalla politica, sebbene la grande fama di cui sino ad allora aveva goduto; la classe dirigente sta cambiando e, con essa, l’intero mondo dei valori romani: Catone rappresenta l’antica Roma e pensa, con molta ipocrisia, che mantenendo Roma secondo categorie arcaiche si possa preservarla da tutti i mali rappresentati dal mondo greco e dalla sua cultura (la sofistica, la filosofia, una civiltà eterogenea), mentre gli Scipioni, che apparentemente sembrano il nuovo, sono però anche la famiglia di chi ha distrutto Cartagine, alleata con Catone, senza motivo.
Domande da interrogazione
- Qual è stato l'impatto della distruzione di Corinto da parte di Roma nel 146 a.C.?
- Chi era Catone il Censore e quale ruolo ha avuto nella società romana?
- Come si manifestava il conservatorismo di Catone il Censore nei suoi scritti e nella sua vita?
- Quali erano le accuse mosse da Catone contro gli Scipioni e quale fu l'esito del processo?
- In che modo gli Scipioni rappresentavano il nuovo nella società romana?
La distruzione di Corinto ha segnato un cambiamento significativo nella politica imperialista di Roma, portando alla provincializzazione della Grecia e alla creazione di nuove province, umiliando la Grecia e alterando la classe dirigente romana.
Catone il Censore era un esponente della classe dirigente romana, noto per la sua brama di ricchezza e il suo conservatorismo. Rappresentava i piccoli proprietari terrieri e cercava di ancorarsi al passato in un periodo di cambiamenti significativi per Roma.
Catone era un conservatore che promuoveva l'educazione tradizionale e la vita contadina, ma possedeva grandi proprietà terriere e forniva consigli di gestione adatti a latifondisti, mostrando una contraddizione tra le sue idee e le sue azioni.
Catone accusò gli Scipioni di appropriazione indebita e tradimento della patria. Sebbene non riuscì a condannare Publio Scipione l'Africano, ottenne il suo ritiro dalla politica, evidenziando le tensioni tra vecchi e nuovi valori nella classe dirigente romana.
Gli Scipioni rappresentavano il nuovo attraverso l'apertura verso la cultura greca e le raffinatezze diplomatiche, contrastando con il conservatorismo di Catone e mostrando un approccio più sofisticato e internazionale nella politica e nella guerra.