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Impero romano - Tra popolo e imperatori

Benvenuti nell’Impero Romano, ovvero il reality show più lungo della storia, andato in onda per oltre mille anni, con colpi di scena, tradimenti, guerre civili, e una quantità di orge tale da far impallidire qualsiasi weekend a Ibiza. Un gigantesco esperimento sociale partito da un villaggio di pecorai sulle rive del Tevere, finito a conquistare mezzo mondo — e poi a farsi conquistare dalla propria burocrazia.
Tutto ebbe inizio con Romolo, che uccise suo fratello Remo per una questione di confini, dimostrando fin da subito la cifra stilistica dell’Impero: se qualcuno non è d’accordo con te, elimina il problema alla radice (letteralmente). Da lì in poi fu tutto un susseguirsi di espansioni militari e cene con vomito rituale, perché si sa: un vero romano non mangia per vivere, ma vive per mangiare — e poi rigettare, così da ricominciare da capo.

La Repubblica: il breve sogno della democrazia

Prima dell’Impero, ci fu la Repubblica, quel periodo strano in cui Roma fingeva di essere governata da senatori eletti, mentre in realtà era comandata dal più ricco o dal più armato. I senatori, che si consideravano la crema della nobiltà (cioè muffa stagionata), passavano il tempo a discutere leggi, ma soprattutto a farsi regali tra loro, comprando voti e distribuendo cariche come se fossero figurine Panini. Il popolo, nel frattempo, si accontentava di pane e giochi: concetto geniale che oggi chiamiamo “Netflix e pizza”.

Cesare: l’uomo, il mito, la pugnalata

Poi arrivò Giulio Cesare, che attraversò il Rubicone e disse: “Alea iacta est”, ovvero “la frittata è fatta”. Divenne dittatore a vita, ma si dimenticò che il Senato non apprezza gli uomini troppo efficienti: fu pugnalato da ventitré colleghi, dimostrando che a Roma anche le dimissioni erano… incisive. Fra i pugnali c’era pure quello del suo figlioccio Bruto, a cui avrebbe potuto dire: “Ti ho cresciuto come un figlio, e tu mi hai trattato come una trota”.

Augusto e la finta modestia imperiale

Dopo il caos, arrivò Ottaviano, che ebbe l’idea geniale di non chiamarsi “re” (termine che puzzava di barbaro), ma “princeps”, ovvero “primo tra pari”. Come dire: “Non sono il capo, ma lo sono lo stesso”. Fondò così il Principato e l’Impero, inaugurando una lunga serie di imperatori con problemi di ego, paranoie e, spesso, manie di divinità.

Caligola, Nerone & co.: l’Impero va in terapia

Parlando di ego, come non citare Caligola, l’uomo che nominò senatore il suo cavallo. Si trattava forse del politico più competente in circolazione, ma la cosa preoccupante è che nessuno trovò la cosa strana. O Nerone, che si dedicava con passione al teatro mentre Roma bruciava e che si suicidò pronunciando le famose ultime parole: “Qualis artifex pereo!”, ovvero “Che artista muore con me!”. L’Impero, a quel punto, più che uno stato, sembrava una compagnia teatrale psicotica con un debole per le corone d’alloro.

Gli eserciti: i veri padroni di casa

L’autorità imperiale si reggeva su un principio molto semplice: chi aveva più legionari aveva ragione. Perciò gli imperatori cambiavano più spesso delle password di Instagram. In certi anni ce n’erano tre o quattro al mese. Alcuni duravano meno di un’insalata fuori frigo. Uno morì il giorno stesso in cui fu proclamato: un vero record, nemmeno il tempo di personalizzare i sandali.

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