Le fasi della guerra e la composizione dell’esercito
Di norma una guerra passava attraverso tre fasi: si creavano le ragioni dello scontro armato; il senato decideva di fare guerra (bellum gerere); la guerra veniva dichiarata (bellum indicere). Il miles, «soldato», aveva arma, «armi di difesa», e tela, «armi di offesa o da lancio». Tra le prime ricordiamo l’elmo (galea, in origine di cuoio, poi di metallo), lo scudo (scutum, quello grande e rettangolare; clipeus, quello rotondo e di metallo), la corazza (lorica) e gli schinieri o gambali di cuoio o di metallo (ocreae).
Riforma di Caio Mario
Fino al il secolo a.C., l’esercito era costituito da cittadini su base censitaria e l’equipaggiamento militare era a loro carico. Caio Mario nel 107 a.C. riformò l’esercito e rese possibile l’arruolamento di volontari, che potevano essere anche nullatenenti, italici e perfino abitanti delle province, i quali diventavano così professionisti regolarmente retribuiti. Mario rese uniforme l’armamento di tutti i legionari e il loro numero fu portato a 6000. I soldati per tutto il periodo di arruolamento ricevevano una paga (merere stipendium) e, al momento del congedo, un premio che consentiva loro di avviare una nuova attività produttiva tramite la quale sopravvivere. Dallo stipendio, che veniva consegnato al soldato alla fine della ferma, venivano detratti però i costi per il vitto e per il vestiario.
La flotta
Solo a partire dalla
Prima guerra punica (metà del III secolo a.C.) Roma si dotò di una flotta (classis, -is) di navi da combattimento, composta soprattutto da triremi. Esse erano dotate del rostrum, che era nient’altro che uno sperone di ferro che serviva per sventrare le navi nemiche, e del corvus, una specie di ponte levatoio che con un uncino agganciava le navi nemiche e permetteva ai soldati di combattere corpo a corpo come sulla terraferma. Sono proprio delle belle innovazioni queste che portarono i fantastici romani.
L’accampamento
Quando l’esercito doveva raggiungere il luogo in cui combattere, si metteva in marcia (iter facere) e prendeva il nome di agmen. Una volta arrivati alla meta, veniva allestito l’accampamento (castra).
La battaglia e la fine della guerra
Quando si decideva di attaccare battaglia (proelium committere), il segnale veniva dato con squilli di tromba (proelii signum dare); seguivano il lancio di frecce e giavellotti e la marcia dei due eserciti l’uno contro l’altro (in hostem procedere; signa inferre). Quindi si giungeva al combattimento corpo a corpo (petere hostem; impetum facere in hostem). Se l’esito della battaglia era incerto, si parlava di anceps pugna. C’era poi chi abbandonava il campo di battaglia e cercava la salvezza con la fuga (fuga salutem petere) e chi si riconosceva sconfitto e si arrendeva (se tradere; in deditionem venire), mentre i vincitori facevano bottini (praedam ferre, agere o facere oppure spolia legere) e saccheggiavano gli accampamenti. I comandanti, infine, avviavano le trattative di pace (de pace agere): il vincitore le imponeva, il vinto le accettava e la guerra veniva conclusa (bellum componere).