Concetti Chiave
- Le campagne elettorali a Pompei coinvolgevano attivamente la popolazione, animando discussioni sugli aspiranti magistrati in vari luoghi pubblici.
- I manifesti elettorali, detti programmata, venivano scritti direttamente sui muri, spesso di notte, e non erano realizzati dai candidati stessi.
- Gli elettori utilizzavano spazi privati e pubblici per la propaganda, con muri imbiancati appositamente da uno 'sbiancatore'.
- La propaganda includeva non solo manifesti, ma anche relazioni pubbliche attentamente curate dai candidati con l'aiuto di un 'nomenclator'.
- Sostenitori di vario tipo, incluse associazioni professionali, realizzavano i manifesti, che includevano spesso l'invito abbreviato a votare per il candidato.
Le campagne elettorali a Pompei
Le campagne elettorali erano un momento importante nella vita delle città e, grazie alla conservazione delle iscrizioni e dei graffiti, siamo in grado di sapere come si svolgevano nella città di Pompei. Ogni anno, quando bisognava rieleggere i magistrati, l’intera popolazione della città discuteva animatamente in tutti i luoghi d’incontro, dalle strade alle tabernae alle terme, i meriti e i demeriti dei diversi candidati, così detti perché nel periodo preelettorale indossavano una speciale toga candida, cioè bianca..
Dopo aver scelto il loro candidato, gli elettori più attivi redigevano dei manifesti elettorali, chiamati programmata che consistevano in esortazioni scritte direttamente sui muri, fortunatamente fino a noi.La propaganda elettorale
In mancanza di spazi destinati alla propaganda elettorale venivano infatti utilizzati muri della propria casa o anche di edifici pubblici. Le pareti venivano dapprima imbiancate e calce da un dealbator (“sbiancatore”) e quindi, di notte, venivano adornate con la scritta elettorale al lume di una lucerna, tenuta da un lanternarius. Alcuni però si vantavano di aver fatto tutto, o quasi, da soli: Mastio il lavandaio, per esempio, nel vicolo degli Scienziati, presso la casa dei Vettii, dopo aver esortato a votare per Marcio Rufo, specificava: “Mastio il lavandaio lo vota e imbianca (la parete); egli ha scritto da solo, senza altri compagni”.
Il ruolo dei sostenitori
I programmata, dunque, non erano opera dei candidati. Essi si facevano propaganda cercando con ogni mezzo di rendersi popolari e curando con molta attenzione le pubbliche relazioni. Per dare ai possibili elettori la propria sensazione , per esempio, si servivano di un apposito schiavo, detto nomenclator, la cui funzione era di suggerire sottovoce il nome delle persone che incontrava e che li salutavano. Ma i manifesti elettorali non rientravano nella propaganda che un candidato poteva farsi personalmente. Anche quando erano da lui sollecitati, dunque, non erano firmati da lui ma da parenti, amici, sostenitori vari, e a volte da intere associazioni professionali: i venditori di focacce, per esempio, chiedono di votare per Trebio come candidato edile, i lavandai chiedono di votare Olconio Prisco, e via dicendo.
Di regola, il manifesto presentava dopo il nome del candidato, seguito dall’indicazione della magistratura per la quale presentava, l’invito a votarlo, spesso abbreviato in poche lettere come OVF (Oro vos faciatis: “Vi prego di fare”, e cioè di votare).
Domande da interrogazione
- Come si svolgevano le campagne elettorali a Pompei?
- Chi erano i responsabili della creazione dei manifesti elettorali?
- Qual era il contenuto tipico di un manifesto elettorale a Pompei?
Le campagne elettorali a Pompei erano un momento di vivace discussione pubblica, con la popolazione che discuteva i meriti dei candidati in vari luoghi. Gli elettori attivi redigevano manifesti elettorali, chiamati programmata, scritti sui muri delle case o edifici pubblici.
I manifesti elettorali non erano creati dai candidati stessi, ma da parenti, amici, sostenitori o intere associazioni professionali. I candidati si concentravano sulle pubbliche relazioni e utilizzavano schiavi, come il nomenclator, per ricordare i nomi degli elettori.
Un manifesto elettorale tipico presentava il nome del candidato, l'indicazione della magistratura per cui si candidava e un invito a votarlo, spesso abbreviato in sigle come OVF (Oro vos faciatis).