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Indice argomenti
1.La conoscenza di sé
1.1. Lo sviluppo dell’autoconsapevolezza
1.2. Che cosa porta all’autoconsapevolezza
1.3. L’evoluzione del concetto di sé
1.4. Come si evolve l’autostima
1.5. E’ importante stimarsi?
1.6. Identità e adolescenza
1.7. Darsi un’identità
2.LA MORALITA’
2.1. La comparsa del senso morale
2.2. Piaget: lo sviluppo cognitivo
2.3. Gli stadi di Kohlberg
2.4. Critiche a Kohlberg
2.5. Giudizi morali e decisioni morali
3. La sessualità
3.1. Un aspetto del sé
3.2. La consapevolezza del genere
3.3. La caratterizzazione sessuale
3.4. Tipi di identità sessuale
1.1. Lo sviluppo dell’autoconsapevolezza
Le teorie classiche dello sviluppo sostenevano che all’inizio il bambino vive un’esperienza di fusione, si sente un tutt’uno con gli altri e con l’ambiente, e solo verso i due anni arriva a distinguersi percependo un sé separato.
Per Piaget i primi 2 anni corrispondono allo stadio senso-motorio. Freud pensava che il bambino vive una relazione simbiotica con la madre.
Per Cooley, il bambino si percepisce fuso con la società.
Le ricerche della seconda metà del secolo ci hanno mostrato un quadro diverso.
Per raggiungere la piena autoconsapevolezza, nell’arco di 2 anni, il bambino compie un cammino distinto in 3 tappe:
_verso gli 8m compare l’autoconsapevolezza soggettiva. I bambini riconoscono se stessi come agenti, centri d’azione, esseri responsabili di ciò che fanno. Il bambino comincia a vedersi come quell’essere vivente dotato di una certa consistenza, che produce sistematicamente le sue azioni.
_ intorno ai 18m si raggiunge l’autoconsapevolezza oggettiva. Il bambino diviene capace di attenzione autofocalizzata, cioè orientata sul proprio sé: sa uscire da sé e trattarsi come un oggetto di analisi. Coglie se stesso come oggetto.
A quest’età sviluppa quindi la capacità riflessiva: guardandosi dall’esterno, come se prendesse in esame un altro, il bambino ora riesce a pensare a se stesso, a descriversi, a capire ciò che fa, a giudicarsi.
_verso i 24m si sviluppa l’autoconsapevolezza individuale, e si completa così il senso di individualità. Il bambino si rende conto che il sé soggetto e il sé oggetto costituiscono un’unica entità.
Una volta che tutte e 3 le tappe si sono verificate, l’autoconsapevolezza è piena.
Il sé nell’arco della vita
. 1.LA CONOSCENZA DI SÉ
1.1. Lo sviluppo dell’autoconsapevolezza
Le teorie classiche dello sviluppo sostenevano che all’inizio il bambino vive un’esperienza di fusione, si sente un tutt’uno con gli altri e con
l’ambiente, e solo verso i due anni arriva a distinguersi percependo un sé separato.
Per Piaget i primi 2 anni corrispondono allo stadio senso-motorio. Freud pensava che il bambino vive una relazione simbiotica con la madre.
Per Cooley, il bambino si percepisce fuso con la società.
Le ricerche della seconda metà del secolo ci hanno mostrato un quadro diverso.
Per raggiungere la piena autoconsapevolezza, nell’arco di 2 anni, il bambino compie un cammino distinto in 3 tappe:
_verso gli 8m compare l’autoconsapevolezza soggettiva. I bambini riconoscono se stessi come agenti, centri d’azione, esseri responsabili di
ciò che fanno. Il bambino comincia a vedersi come quell’essere vivente dotato di una certa consistenza, che produce sistematicamente le
sue azioni.
_ intorno ai 18m si raggiunge l’autoconsapevolezza oggettiva. Il bambino diviene capace di attenzione autofocalizzata, cioè orientata sul
proprio sé: sa uscire da sé e trattarsi come un oggetto di analisi. Coglie se stesso come oggetto.
A quest’età sviluppa quindi la capacità riflessiva: guardandosi dall’esterno, come se prendesse in esame un altro, il bambino ora riesce a
pensare a se stesso, a descriversi, a capire ciò che fa, a giudicarsi.
_verso i 24m si sviluppa l’autoconsapevolezza individuale, e si completa così il senso di individualità. Il bambino si rende conto che il sé
soggetto e il sé oggetto costituiscono un’unica entità.
Una volta che tutte e 3 le tappe si sono verificate, l’autoconsapevolezza è piena.
[ _i bambini davanti alla propria immagine_
Come si può stabilire se un bambino piccolo è consapevole di sé? Il sistema usato dai ricercatori consiste nel mettere il bambino davanti a uno specchio,
a un’immagine che lo riproduce, e controllare se si riconosce. L’idea risale a Darwin. Nel ’60 Dixon condusse il primo studio sperimentale sul
riconoscimento di sé nel bambino, utilizzando, appunto, uno specchio. Questo metodo presentava in sé vari problemi. Adoperando lo specchio, il
semplice fatto che il bambino si riconosca non ci dice se è consapevole di sé come soggetto o anche come oggetto. Negli anni ’70 Gallup studiò il
riconoscimento di sé negli scimpanzé, utilizzando l’ingegnosa tecnica della “macchia sul naso”. Con essa si poté poi stabilire anche a quale livello
avviene il riconoscimento nei bambini (gli si fa una macchia sul naso e si vede se la tolgono allo specchio o su se stessi). Nello stabilire esattamente l’età in
cui scattano l’aut. soggettiva e oggettiva bisogna tener conto che per riconoscersi non basta che il bambino sia consapevole di sé, ma deve anche
avere dimestichezza con lo specchio, la foto, ecc.. e conoscere abbastanza bene le proprie sembianze. Queste competenze possono svilupparsi a età
diverse.
Se, inoltre, si chiede al bambino che si è riconosciuto per l’aspetto, di stabilire dov’è, si può notare che molti vanno a cercarsi dietro lo specchio, come se
potesse esserci un doppio sé. Si può quindi individuare la mancanza, nei bambini con meno di 2 anni, dell’autoconsapevolezza individuale. Solo a 2 anni i
bambini capiscono che quella che vedono è una rappresentazione, ma che non è un loro doppio.]
1.2. Che cosa porta all’autoconsapevolezza
Sono essenzialmente 2 i fattori decisivi. Le predisposizione biologiche e i requisiti cognitivi.
L’autoconsapevolezza è un prodotto evolutivo. Allo stato attuale sappiamo poco dei processi di maturazione biologica che portano all’emergere
della coscienza individuale. Sappiamo molto di più, invece, dei requisiti cognitivi, delle capacità mentali che, accumulandosi rendono possibile
veri e propri salti qualitativi nella comprensione di se stessi.
_ a 8m il bambino può arrivare all’autoconsapevolezza soggettiva perché già da qualche tempo ha imparato a distinguere gli esseri viventi
dalle cose. Conta anche lo sviluppo della memoria.
_ l’autoconsapevolezza oggettiva matura via via che il bambino coglie discrepanze tra punti di vista diversi sulla stessa cosa; spesso si
contrappongono il suo p.d.v. e quello degli altri.
Per arrivare all’autoconsapevolezza oggettiva occorre quindi mettere insieme i diversi p.d.v..
_ La conquista dell’autoconsapevolezza individuale richiede che il bambino familiarizzi con il mondo artificiale delle rappresentazioni,
distinguendolo dalla realtà. Deve rendersi conto che ci sono le rappresentazioni di sé e distaccarsene.
Oggi non è credibile che l’autoconsapevolezza sia un prodotto dell’ambiente sociale e dipenda dal modo in cui il bambino viene trattato.
Gli interazionisti simbolici hanno insistito sull’importanza degli altri. Indubbiamente questo può aiutare ma non è determinante.
Si è osservato, nei bambini selvaggi ritrovati a fine ‘700 nei boschi, che essi erano carenti di varie abilità e conoscenze specifiche, ma
possedevano autoconsapevolezza e senso dell’individualità.
Ciò dimostra che i fattori determinati sono le predisposizioni biologiche e i requisiti cognitivi.
1.3. L’evoluzione del concetto di sé
Per concetto di sé si intende la concezione che l’individuo ha di sé e che usa per descriversi e capirsi(=il modo in cui mi giudico, mi percepisco,
mi descrivo). Si tratta di una specie di autoritratto formato da un insieme organico di attributi personali:
tratti o qualità individuali
status
modelli interni. Caratteristiche di funzionamento del corpo e della mente (ho il metabolismo lento..)
standard personali. Convinzioni su come si è abitualmente, o come si vorrebbe o dovrebbe essere.
posizioni rispetto a standard esterni. Come ci si colloca in rapporto a termini di paragone, che individua il mondo esterno (a scuola non sono un
disastro, ma i miei compagni vanno meglio di me)
Il concetto di sé è multidimensionale. Accanto a un concetto generale di sé, ci sono concetti specifici, che cambiano a seconda dell’ambito di
vita considerato Il sé generale si considera di livello gerarchico più alto.
(con gli amici sono aperto e allegro, ma in famiglia sono chiuso e cupo).
_Già durante il secondo anno di vita i bambini cominciano a costruirsi il concetto di sé. Per ora includono essenzialmente le caratteristiche
esteriori.
_ a 2 anni cominciano a considerare anche i componenti di attività, le cose che fanno abitualmente e che sanno fare.
Da questo momento il concetto di sé va incontro a una crescente articolazione. Via via che il bambino entra in nuovi ambiti di
esperienza, c’è un incremento delle dimensioni del concetto di sé, perché diventano più numerose le aree del sé considerate. I contatti
sempre più frequenti con i coetanei, la scolarizzazione, lo sviluppo dell’intelligenza, la presa di coscienza dei rapporti interpersonali, la
moralità, la sessualità, portano ad aggiungere descrizioni di sé negli altri contesti di vita. La struttura del concetto di sé diviene più
complessa, c’è un incremento degli elementi descrittivi.
Dall’infanzia all’adolescenza il concetto di sé diviene più complesso e si modifica.
Si va dal lato esterno al lato interno, da raffigurazioni basate sull’aspetto esteriore ad altre basate sulla dimensione psicologica e interiore.
Solo a 6 anni i bambini scoprono la dimensione psicologica dell’esistenza. Fino a quell’età tendono ad identificare idee, sentimenti, gusti con le
azioni e i fatti concreti gioco con lei
( = mi è simpatica).
Intorno agli 8 anni sono in grado di fare un ritratto psicologico di se stessi. Negli anni successivi il concetto di sé diventa più “ideologico”, include
il modo di pensare, gli atteggiamenti, i valori, le credenze, le convinzioni.
si passa dall’assolutismo alla moderazione. I più piccoli danno giudizi dicotomici su se stessi (alti o bassi, bugiardi o sinceri, capaci o incapaci).
Nell’adolescenza i ragazzi arrivano a una visione articolata e sfumata della realtà, senza prese di posizione drastiche. Sono quindi portati a essere
più accomodanti e cauti nei giudizi su se stessi e sugli altri.
il concetto di sé evolve anche da una prospettiva ristretta ad una allargata. Nella preadolescenza i ragazzi maturano una descrizione del
nucleo del proprio concetto di sé, e nell’adolescenza la prospettiva si allarga davvero: si sviluppa una grande capacità introspettiva, ci si
confronta con i coetanei, ma anche con l’umanità in generale.
nell’adolescenza il concetto di sé subisce un forte impulso alla coerenza. I ragazzi tendono ad integrare le cose più disparate.
Dopo l’adolescenza il concetto di sé subisce variazioni legate soprattutto al ciclo di vita. Cambiano i presupposti, le concezioni di fondo sugli
uomini e sulla vita.
In vecchiaia la struttura del concetto di sé tende a modificarsi, a volte profondamente, e si contrae molto. Si verifica una contrazione della
struttura polidimensionale del sé. Soprattutto in vecchiaia avanzata, quando per ragioni biologiche o sociali si verifica un sostanzioso declino,
anche il concetto di sé vive un declino.
Simili trasformazioni possono essere legate, non all’età, ma alle condizioni di vita, alla situazione sociale.
1.4. Come si evolve l’autostima
L’autostima è il complesso delle valutazioni che l’individuo ha maturato sul proprio conto.
Come il concetto di sé, anche l’autostima è multidimensionale: cambia da un ambito all’altro della vita.
L’autostima è il risultato di processi di autovalutazione in cui ci confrontiamo con una molteplicità di standard diversi:
_ standard personali ideali. Esprimono il livello a cui ci si vorrebbe attestare o a cui si pensa di doversi attestare ;(sarebbe meglio che mi impegnassi nello studio)
_ standard personali normali. Esprimono il nostro modo abituale di essere; (sono pigro e mi dedico poco allo studio)
_ standard sociali. Sono dettati da gruppi di riferimento con cui ci si confronta; (i miei compagni studiano più di me)
_ standard minimali. Dipendono da ciò che giudichiamo il livello minimo umanamente accettabile. (non sono uno che studia ma qualcosa faccio)
In età prescolare la determinazione dell’autostima è poco attendibile. Gli standard di riferimento sono pochi, più che altro normali. Il bambino
non tende a confrontarsi con gli altri, né a prefiggersi di migliorare stabilendo come dovrebbero essere.
Durante gli anni della scuola elementare l’autostima prende chiaramente corpo.
Dopo l’adolescenza tende a mantenersi stabile.
Nella vecchiaia l’autostima si abbassa se le condizioni, soprattutto quelle sociali, dell’anziano tendono a scoraggiarlo.
1.5. E’ importante stimarsi?
Sappiamo che alti livelli di autostima vanno statisticamente insieme a vari fenomeni positivi. Chi si stima ha rapporti più armoniosi con gli altri, va
meglio a scuola, nei test di intelligenza e al lavoro, è meno soggetto a depressione, è equilibrato e obiettivo, ha una chiara identità.
Tuttavia le correlazioni statistiche lasciano perplessi per più di una ragione.
è difficile stabilire qual è la causa e qual è l’effetto. Possiamo pensare che la riuscita sia favorita dall’autostima o viceversa. L’autostima è
sia la causa sia l’effetto dei fenomeni psicologici correlati.
è ingannevole considerare l’autostima globale. La maggior parte degli studi statistici a preso in considerazione l’autostima globale,
tuttavia il successo nei vari campi è favorito dall’autostima specifica, limitata a quel settore. Basarsi sull’autostima globale può portare a
conclusioni errate.
l’autostima gonfiata è un problema. A volte le persone si sopravvalutano, giudicandosi migliori di come si rivelano effettivamente nelle
loro vicende personali. L’autostima gonfiata è svantaggiosa, perché riduce le possibilità di successo dell’individuo. Ad esempio i ragazzi