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industria culturale e società di massa
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La nascita dell’industria culturale
Con il termine industria culturale si usa indicare l’insieme di soggetti e attività economiche che, all’interno della società industriale avanzata, si occupano della produzione e della distribuzione di beni e servizi culturali. Pertanto copre quegli ambiti della vita sociale che appartengono alla nostra percezione abituale della realtà con i quali siamo sempre in contatto: come l’editoria, le case discografiche, l’industria cinematografica e i mezzi di comunicazione di massa. Per poter comprendere meglio il termine, dobbiamo rifarci sia al significato di industria e sia al significato di culturale: con il termine industria, ci riferiamo al complesso di quelle attività produttive che trasformano le materie prime in merci di consumo; e con il termine culturale, ci riferiamo al complesso di esperienze intellettuali di una civiltà che formano l’universo del sapere. Basandoci su questi significati, essi appaiono molto contraddittori: infatti la produzione industriale è per sua definizione un qualcosa di seriale e standardizzata, mentre le rappresentazioni culturali sono un qualcosa di unico e originale. Tuttavia è proprio con la diffusione della civiltà industriale e della progressiva colonizzazione, che l’industrializzazione ha operato in ogni ambito della vita sociale che ha posto l’idea di una netta separazione tra produzione tecnica e creazione culturale. Il progetto di industrializzazione ha agito in due vie:
- Direttamente, tramite le innovazioni tecnologiche che hanno contribuito a una rapida realizzazione e distribuzione;
- Indirettamente, creando quelle condizioni, come la nascita della civiltà urbana e del tempo libero e l’affermarsi dell’economia del mercato, che hanno trasformato la natura delle produzioni culturali.
• L’industria culturale nella società di massa
1.Una nuova realtà storico-sociale: Per quanto riguarda lo sviluppo dell’industria culturale, ha come primo fattore senz’altro quello dell’allargamento della sfera dei consumatori, che ha portato il miglioramento delle condizioni economiche delle classi popolare e al diffondersi di stili di vita basati sul godimento e sulla fruizione dei beni e prodotti diversi. Infatti la disponibilità di redditi più alti, ha spinto si dai primi decenni del XX secolo a riempire non solo la dispensa e il guardaroba, ma anche gli scaffali della libreria, acquistando libri, riviste, dischi e altri prodotti di questo genere. A questo vi si accantona l’accresciuta scolarizzazione della società, che ha garantito a un numero più ampio di individui gli strumenti base e gli stimoli intellettuali per accedere ai consumi culturali, influendo anche tramite la creazione di specifici settori dell’editoria per testi scolastici; e ritardando l’ingresso dei ragazzi e delle ragazze nel mondo del lavoro, creando la figura sociale del giovane. Un altro fattore importante è l’accresciuta centralità delle masse popolari come soggetto politico, come ad esempio la conquista del suffragio elettorale universale in quasi tutti i paesi dell’Occidente, che per i regimi editoriali diventa una ricerca del consenso, ossia la conquista all’appoggio delle masse popolari con lo scopo di catturarne il voto e di prevenire l’opposizione. Il tipo di società che nasce grazie a questi mutamenti, è la società di massa, che corrisponde alla cultura di massa.
2.I nuovi percorsi dell’editoria: il settore che ha avuto, senz’altro, una crescita continua, fu quello dell’editoria:
- Innanzitutto vediamo che l’industria del libro si arricchisce sempre più, andando in contro alle richieste del pubblico, e per tanto consente all’acquirente di avere una gamma più ampia di generi dei prodotti;
- In modo parallelo possiamo vedere che anche le grandi opere letterarie diventano in formato tascabile, trasformandosi pertanto anche lettura, trasformandosi in un libro offrendo un oggetto collocabile a metà tra lo scrigno e il formulario magico. Tuttavia, con il XX secolo, la lettura conosce anche nuove strade come giornali, riviste, fumetti e così via; assistendo anche a un processo di segmentazione dell’utenza;
- L’introduzione di fotografie all’interno della pagina stampata, che ha favorito la nascita del rotocalco, che stabilisce diverse forme di comunicazione di massa;
- Le nuove pubblicazioni hanno favorito lo “sdoganamento” di argomenti tradizionali: come ad esempio la prima rivista di Playboy, uscita nel 1953;
- Con il secondo dopo guerra ci fu l’inserimento di nuovi generi di intrattenimenti: come i fotoromanzi, ossia racconti narrati attraverso sequenze di fotografie correte da didascalie e balloons.
3.la cultura della tv: la fisionomia peculiare che l’industria culturale, ha assunto nel XX secolo ha portato soprattutto a delle trasformazioni che in quel periodo investono nel mondo delle comunicazioni di massa, come ad esempio la nascita di nuovi media e la definitiva consacrazione di media già esistenti e comunicazione che è forse il tratto più tipico della società di massa. La nascita della TV è stata l’icona più significativa di questo nuovo assetto, la cui nascita risale al periodo tra le due guerre mondiali, quando sia in Europa e sia in America vengono inaugurate le prime tecniche di trasmissione a distanza di contenuti visivi e sonori; e poi negli anni successivi, Gran Bretagna e America, saranno i modelli di riferimento per la definizione della sua funzione sociale. In Italia, si afferma nel 1954, il primo modello secondo cui la TV doveva avere tre scopi: divertire, istruire e educare; infatti sarà soltanto con l’avvenire degli anni 60 che nascono le prime televisioni private create da editori, giornalisti e imprenditori. Per comprenderne il ruolo, dobbiamo prendere in considerazione l’analisi di Umberto Eco, facendo una distinzione tra:
- Paleotelevisione, riferendosi alla TV delle origini che si caratterizza con mezzi tecnici ancora modesti e un palinsesto limitato sia in modo quantitativo e sia in modo qualitativo, caratterizzati da tre generi cultura, formazione e divertimento;
- Neotelevisione, riferendosi alla nuova TV dove i tre generi si riducono a uno solo, unendo informazioni e divertimento definendo infotainment; la cui principale forma economica è la pubblicità nelle sue varie forme.
• gli intellettuali di fronte alla cultura di massa
1.la comunicazione: la parola comunicazione, etimologicamente parlando, significa condividere; ma in questo caso ci riferiamo a un atto espressivo e costitutivo della relazione sociale, come realtà che sta tra i termini di essa. La comunicazione la si può dividere in:
- Comunicazione interpersonale;
- Comunicazione al pubblico;
- Comunicazione di Massa.
2.la comunicazione di massa: il tipo di comunicazione, che interessa la cultura industriale, è la comunicazione di massa, che può essere definita come un processo simultaneo di trasmissione e diffusione dei messaggi, rivolti ad un ampio numero di persone. L’espressione venne utilizzata per la prima volta negli anni 30 del Novecento, mediante la diffusione della radio nei regimi totalitari e nelle grandi potenze reggimentali. Esso è un processo fortemente legato allo sviluppo tecnologico dei mezzi messi a disposizione e che si trasforma in base al progresso dei mezzi tecnici. Per comprendere al meglio il processo comunicativo che caratterizza la società di massa non si può prescindere dagli elementi che fanno emergere la comunicazione come fenomeno sociale:
- Il sistema dei media: ossia i mezzi tecnici che consentono la trasmissione del messaggio;
- La relazione comunicativa: ossia chi emette il messaggio e chi lo riceve;
- Il messaggio: ossia il suo significato e i meccanismi più o meno nascosti che lo animano.
I primissimi studi vennero compiuti negli anni 20-30 del Novecento, da parte di Lasswell, i cui studi prendono il nome di Bullet Theory, secondo la quale i media sono considerati dei potenti strumenti di persuasione che agiscono in modo passivamente. Infatti secondo questa teoria, l’individuo, che non possiede mezzi adatti per difendersi, i messaggi che riceve sono delle sorte di pallottole, perché il contenuto riesce a penetrare e persuadere. Contraria alla teoria della pallottola, abbiamo la teoria degli effetti limitati di Lazasfeld, secondo cui i media non sono così potenti poiché il pubblico ha già delle proprie idee che tendono poi a rafforzarsi tramite la consumazione dei media scegliendo quelle letture e quei programmi che ne confermano le posizioni. Con l’avvenire degli anni 60-70, questa teoria venne criticata affermandosi l’idea di tenere in considerazione anche il contesto storico-sociale. Ed è così che si fa largo un altro modello, quello dell’industria culturale. Esso è un termine che venne introdotto da Max Horkheimer e Theodor Adorno in “Dialettica dell’Illuminismo” con il fine di ridefinire il sistema di riduzione culturale della merce. Il contesto storico di riferimento è quello della scuola di Francoforte, e per l’esattezza della teoria critica della società, dove l’industria culturale può essere definita come una sorta di fabbrica di consenso. Specialmente Horkheimer e Adorno la considerano come il prodotto degli interessi economici del capitalismo e dei ceti più forti della società ed è inoltre un dibattito tra un qualcosa di originale e un qualcosa di originale ma che viene standardizzato. Sempre negli stessi anni, troviamo la teoria culturologica di E.Morin, secondo la quale i media rientrano in un fenomeno culturale molto più ampio, dove il principale di tale effetti consiste in un processo di omogeneizzazione dei comportamenti , poiché i media tendono a rendere omogenei. Questo tipo di influsso dei mass media ha un effetto di socializzazione, che può assumere un aspetto negativo se lo si considera come uno strumento di appiattimento della specificità dei singoli a favore di comportamenti sempre uguali e quindi facilmente prevedibili e indirizzabili da parte del potere politico e economico. In particolare la scuola di Francoforte hanno insistito molto sull’effetto di omologazione prodotto dai mezzi di comunicazione di massa, che renderemmi come dei mezzi di manipolazione. In Italia, Pier Paolo Pasolini, intuì già i cambiamenti sociali e culturali prodotti dalla massificazione televisiva, accorgendosi che tutti i giovani di borgata avevano iniziato a vestire, comportarsi e pensare in modo analogo. Se prima di allora, per Pasolini si poteva distinguere un proletariato da un borghese, già negli anni 70 questo non era più possibile. Questi fenomeni, presero il nome di mutazione antropologica, prendendo a prestito il termine dalla biologia con la differenza che, mentre con il termine mutazione biologica si usa ad indicare una mutazione genetica dovuta prima dalla variazione e poi dalla fissazione; con il termine mutazione antropologica, si usa indicare le variazioni delle mode e dei desideri della collettività, decisa prima nei consigli di amministrazione delle reti televisive nazionali e poi viene fissata nelle menti dei telespettatori tramite messaggi subliminali e pubblicità.
Oltre a queste riflessioni, ne troviamo delle altre:
- Teoria dell’agenda-setting, elaborata dagli studiosi McCombs e Shaw, secondo cui i media, descrivendo in un certo modo la realtà, presentano al pubblico una sorte di ordine del giorno, per poi farsi un’opinione, e quindi non propongono delle opinioni ma bensì le impongono;
- Teoria della coltivazione, elaborata da Gerbner, secondo cui i media, soprattutto la televisione, che coltivano le credenze delle persone, modellando la cultura alla sua base. Secondo questa teoria il mezzo televisivo funziona come agente del controllo sociale, totalmente funzionale allo status quo, tramite il sostegno dato al potere;
- Spirale del silenzio, elaborata da E.Noelle-Neuman, con la quale spiega come i mass media riescono a diffondere nella società, opinioni, atteggiamenti, stereotipi e pregiudizi, sostenendo che se la televisione suggerisce opinioni o stereotipi, la gente è portata a credere che siano quelli dominanti e sta attenta a non andare controcorrente, e quindi a non assumere posizioni di eccessivo dissenso rispetto alla maggioranza;
- Apocalittici e integrati, elaborata da Umberto Eco, secondo cui i filosofi si dividono tra apocalittici e integrati, dove gli apocalittici sono coloro che sottolineano l’irrimediabile negatività dei media per la crescita della società umana, poiché i media hanno una portata distruttiva rispetto alla socializzazione ordinaria; mentre gli integrati, sono coloro che sono propensi a considerare gli esiti positivi e controllabili della socializzazione tramite i media;
- Ruolo attivo dello spettatore, dove gli studi più recenti hanno sottolineato come gli effetti dell’uso della televisione non posso essere generalizzati in quanto dipendo dalla scelta di determinati programmi e da come vengono interiorizzati: infatti i telespettatori elaborano ciò che vedono in modi diversi a seconda delle età, delle differenze individuali, delle abilità cognitive, delle conoscenze di cui si dispongono, delle condizioni in cui si trovano davanti al televisore;
- Luigi Agnoli, egli sostiene l’esistenza di una relazione circolare di conferma reciproca e di interdipendenza fra utenti e mass-media. Questo significa che, da una parte i mass media vengono a rafforzare e a incrementare valori, regole, conoscenze e ideologie già presenti nell’individuo; dall’altro per essere accettati, i mass media devono offrire programmi corrispondenti alle aspettative, alle richieste e ai valori già presenti negli utenti, facendo ricorso a codici linguistici ed espressivi, cognitivi ed emozionali.
• infanzia e mass media
Con la diffusione della televisione, si è constatato che i fruitori del nuovo mezzo non solo per adulti, ma anche per i bambini, e allora ci si è chiesto se la televisione sia un bene o un male per i bambini. Infatti molti filosofi, come ad esempio Karl Popper, si sono occupati del problema, analizzando il ruolo della televisione in rapporto agli effetti diretti e indiretti sull’infanzia e come questo debba essere sintetizzato. Nel caso della televisione, non si può distinguere tra educazione e informazione, poiché ogni informazione infatti è già scelta di significati e pertanto responsabilità educativa, di cui gli operatori devono essere consapevoli, nella difesa di una pretesa imparzialità dell’informazione non ci si può appellare del resto a valori liberali. Partendo da questo, Popper parla dei criteri della limitazione dei poteri e dei controlli della libertà da parte della legge. Sul modello dell’ordine dei medici, Popper propone la fondazione di un Istituto per la televisione, che promuova corsi di formazione e che vincoli alla responsabilità professionale anche attraverso interventi disciplinari. Ogni libertà deve essere infatti limitata, e tale principio non è affatto in contrasto con il liberalismo, ma anzi ne è parte integrante. Il criterio della limitazione della libertà di informazione deve valere anche per il teleschermo, affinché questo non diventi in realtà palestra di violenza. Un’altra tesi che abbiamo è quella di Giovanni Sartori, ossia quella dell’homo videns, che si fonda sul fatto che i bambini guardano la televisione per ore e ore, prima di imparare a leggere e a scrivere. Data l’alta quantità di violenza che appare sugli schermi televisivi, i bambini vi si abituano e diventano da adulti più violenti, ma questo è solo una piccola parte perché quello che il bambino assorbe non è solo violenza ma anche uno stampo formativo tutto centrato sul vedere. Generalmente il tempo trascorso dai bambini davanti allo schermo, è di circa 40 ore settimanali. Secondo la psicologia moderna, assistere continuamente a spettacoli violenti causa quattro effetti in una mente ancora in fase di formazione:
- Difficoltà di distinguere la realtà dalla finzione;
- La disumanizzazione orientata sul soggetto: di fronte a tanta violenza il bambino può acquisire una vera mancanza di empatia nella sofferenza altrui;
- La disumanizzazione orientata sull’oggetto: il bambino può iniziare a ritenere che in fondo gli altri siano oggetti, reificando quindi il prossimo;
- Di conseguenza la televisione violenta potrebbe diventare istigatrice di azione aggressive.
SOCIOLOGIA
GLI INTELLETTUALI DI FRONTE ALLA CULTURA DI MASSA
1.LA COMUNICAZIONE: la parola comunicazione, etimologicamente parlando, significa condividere; ma in questo caso ci riferiamo a un atto espressivo e costitutivo
della relazione sociale, come realtà che sta tra i termini di essa. La comunicazione la si può dividere in:
- Comunicazione interpersonale;
- Comunicazione al pubblico;
- Comunicazione di Massa.
2.LA COMUNICAZIONE DI MASSA: il tipo di comunicazione, che interessa la cultura industriale, è la comunicazione di massa, che può essere definita come un
processo simultaneo di trasmissione e diffusione dei messaggi, rivolti ad un ampio numero di persone. L’espressione venne utilizzata per la prima volta negli anni 30 del
Novecento, mediante la diffusione della radio nei regimi totalitari e nelle grandi potenze reggimentali. Esso è un processo fortement e legato allo sviluppo tecnologico dei
mezzi messi a disposizione e che si trasforma in base al progresso dei mezzi tecnici. Per comprendere al meglio il processo comunicativo che caratterizza la società di massa
non si può prescindere dagli elementi che fanno emergere la comunicazione come fenomeno sociale:
- Il sistema dei media: ossia i mezzi tecnici che consentono la trasmissione del messaggio;
- La relazione comunicativa: ossia chi emette il messaggio e chi lo riceve;
- Il messaggio: ossia il suo significato e i meccanismi più o meno nascosti che lo animano.
I primissimi studi vennero compiuti negli anni 20-30 del Novecento, da parte di Lasswell, i cui studi prendono il nome di Bullet Theory, secondo la quale i media sono
considerati dei potenti strumenti di persuasione che agiscono in modo passivamente. Infatti secondo questa teoria, l’individuo, che non possiede mezzi adatti per difendersi, i
messaggi che riceve sono delle sorte di pallottole, perché il contenuto riesce a penetrare e persuadere. Contraria al la teoria della pallottola, abbiamo la teoria degli effetti
limitati di Lazasfeld, secondo cui i media non sono così potenti poiché il pubblico ha già delle proprie idee che tendono poi a rafforzarsi tramite la consumazione dei media
scegliendo quelle letture e quei programmi che ne confermano le posizioni. Con l’avvenire degli anni 60-70, questa teoria venne criticata affermandosi l’idea di tenere in
considerazione anche il contesto storico-sociale. Ed è così che si fa largo un altro modello, quello dell’i ndustria culturale. Esso è un termine che venne introdotto da Max
Horkheimer e Theodor Adorno in “Dialettica dell’Illuminismo” con il fine di ridefinire il sistema di riduzione culturale della merce. Il contesto storico di riferimento è
quello della scuola di Francoforte, e per l’esattezza della teoria critica della società, dove l’industria culturale può essere definita come una sorta di fabbrica di consenso.
Specialmente Horkheimer e Adorno la considerano come il prodotto degli interessi economici del capitalismo e dei ceti più forti della società ed è inoltre un dibattito tra un
qualcosa di originale e un qualcosa di originale ma che viene standardizzato. Sempre negli stessi anni, troviamo la teoria culturologica di E.Morin, secondo la quale i media
rientrano in un fenomeno culturale molto più ampio, dove il principale di tale effetti consiste in un processo di omogeneizzazione dei comportamenti , poiché i media tendono
a rendere omogenei. Questo tipo di influsso dei mass media ha un effetto di socializzazione, che può assumere un aspetto negativo se lo si considera come uno strumento di
appiattimento della specificità dei singoli a favore di comportamenti sempre uguali e quindi facilmente prevedibili e indirizzabili da parte del potere politico e economico. In
particolare la scuola di Francoforte hanno insistito molto sull’effetto di omologazione prodotto dai mezzi di comunicazione di massa, che renderemmi come dei mezzi di
manipolazione. In Italia, Pier Paolo Pasolini, intuì già i cambiamenti sociali e culturali prodotti dalla massificazione televisiva, accorgendosi che tutti i giovani di borgata
avevano iniziato a vestire, comportarsi e pensare in modo analogo. Se prima di allora, per Pasolini si poteva distinguere un proletariato da un borghese, già negli anni 70
questo non era più possibile. Questi fenomeni, presero il nome di mutazione antropologica, prendendo a prestito il termine dalla biologia con la differenza che, mentre con il
termine mutazione biologica si usa ad indicare una mutazione genetica dovuta prima dalla variazione e poi dalla fissazione; con il termine mutazione antropologica, si usa
indicare le variazioni delle mode e dei desideri della collettività, decisa prima nei consigli di amministrazione delle reti televisive nazionali e poi viene fissata nelle menti dei
telespettatori tramite messaggi subliminali e pubblicità.
Oltre a queste riflessioni, ne troviamo delle altre:
- Teoria dell’agenda-setting, elaborata dagli studiosi McCombs e Shaw, secondo cui i media, descrivendo in un certo modo la realtà, presentano al pubblico una
sorte di ordine del giorno, per poi farsi un’opinione, e quindi non propongono delle opinioni ma bensì le impongono;
- Teoria della coltivazione, elaborata da Gerbner, secondo cui i media, soprattutto la televisione, che coltivano le credenze delle persone, modellando la cultura alla
sua base. Secondo questa teoria il mezzo televisivo funziona come agente del controllo sociale, totalmente funzionale allo status quo, tramite il sostegno dato al
potere;
- Spirale del silenzio, elaborata da E.Noelle-Neuman, con la quale spiega come i mass media riescono a diffondere nella società, opinioni, atteggiamenti, stereotipi
e pregiudizi, sostenendo che se la televisione suggerisce opinioni o stereotipi, la gente è portata a credere che siano quelli dominanti e sta attenta a non andare
controcorrente, e quindi a non assumere posizioni di eccessivo dissenso rispetto alla maggioranza;
- Apocalittici e integrati, elaborata da Umberto Eco, secondo cui i filosofi si dividono tra apocalittici e integrati, dove gli apocalittici sono coloro che sottolineano
l’irrimediabile negatività dei media per la crescita della società umana, poiché i media hanno una portata distruttiva rispetto alla socializzazione ordinaria; mentre
gli integrati, sono coloro che sono propensi a considerare gli esiti positivi e controllabili della socializzazione tramite i media; 2