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lettera di una studentessa

A distanza di pochi giorni dalla prima lettera di denuncia, il dibattito sulle aspettative deluse degli studenti, si amplia: il settimanale 'Il Nuovo Diario Messaggero' ha condiviso una seconda lettera di "accusa" contro i professori, da parte di un'altra studentessa ma iscritta nello stesso liceo romagnolo da cui è nata l'ondata di protesta.

Non cambia il messaggio: la scuola affatica, e chi la vive ogni giorno, studenti e insegnanti, sembrano non respirare più.

Ecco le parole della studentessa.

Indice

  1. Un sistema che toglie il fiato
  2. Non è (solo) colpa dei prof
  3. Empatia: l’anello mancante
  4. Scuola, un luogo di persone
  5. La lettera: il testo completo

Un sistema che toglie il fiato

La seconda lettera non è un grido, ma una riflessione lucida.

“Trovo sconfortante, e per certi versi anche frustrante, pensare che, per riuscire a studiare intere pagine di contenuti o, nel caso degli insegnanti, per spiegare nozioni in sequenza serrata, dobbiamo annullarci come persone”, scrive la ragazza.

Righe che parlano di una scuola che non lascia permette né di pensare né di sentirsi. Dove il programma da seguire diventa una gabbia e chi l'ha disegnato, suggerisce la studentessa, forse “non ha la minima idea di come funzioni davvero la scuola oggi”.

Non è (solo) colpa dei prof

La responsabilità, per la ragazza, non è però da attribuire solamente ai docenti, “questa trasformazione non è certo responsabilità diretta dei nostri insegnanti”, scrive. Secondo la studentessa, la vera frattura sta in un sistema che ha trasformato l’aula in una “fabbrica di nozioni”, dove si accumulano informazioni spesso “spiegate in modo frettoloso, senza lasciare spazio alla riflessione o alla comprensione profonda”.

Empatia: l’anello mancante

Il punto centrale, per la studentessa, è la mancanza di empatia. La lettera accusa, infatti, un “conflitto latente tra studenti e professori”, una gara silenziosa su chi sbaglia di più.

“Gli studenti giudicano facilmente il lavoro dei docenti, senza soffermarsi sulla complessità di ciò che fanno”, osserva l'autrice. Ma subito aggiunge: “Molti insegnanti non si rendono conto che le loro stesse pressioni […] finiscono per pesare anche su di noi, sulle nostre menti, sulle nostre anime”.

Contribuendo, così, alla costruzione di un muro invisibile che separa chi entra nelle aule per insegnare e chi ci entra per imparare.

Scuola, un luogo di persone

Non manca però un invito a mettere in discussione un sistema che non funziona. Non a cambiare programmi, ma a cambiare sguardo. “Serve più ascolto, più pazienza, più umanità”, scrive la studentessa.

Il cuore della sua lettera è nella frase che potrebbe diventare il manifesto di un’intera generazione: “La scuola non è solo un luogo di nozioni, ma un luogo di persone. E le persone imparano davvero solo quando si sentono accolte”.

La lettera: il testo completo

"Trovo sconfortante, e per certi versi anche frustrante, pensare che, per riuscire a studiare intere pagine di contenuti o, nel caso degli insegnanti, per spiegare nozioni in sequenza serrata, dobbiamo annullarci come persone. Tutto questo per stare dietro a un programma imposto da chi, con ogni probabilità, non ha la minima idea di come funzioni davvero la scuola oggi, oppure ne ha una visione completamente distorta.
Negli anni, la scuola si è trasformata in una sorta di fabbrica di nozioni: si accumulano informazioni spesso spiegate in modo frettoloso, senza lasciare spazio alla riflessione o alla comprensione profonda. Ma questa trasformazione non è certo responsabilità diretta dei nostri insegnanti.
Ci è forse sfuggito che il conflitto latente tra studenti e professori, una sorta di gara su chi svolge peggio il proprio ruolo, nasce da una carenza di empatia reciproca. Gli studenti giudicano facilmente il lavoro dei docenti, senza soffermarsi sulla complessità di ciò che fanno, dimenticando che sono persone, non macchine, con pensieri, emozioni, pressioni e difficoltà. Allo stesso tempo, molti insegnanti non si rendono conto che le loro stesse pressioni, l’ansia di rimanere al passo con i tempi, di non “restare indietro”, finiscono per pesare anche su di noi, sulle nostre menti, sulle nostre anime.
La frustrazione di un professore che non viene ascoltato o non vede i risultati sperati è analoga al senso di inadeguatezza di uno studente il cui impegno non viene riconosciuto. Entrambi sono vittime di un contesto scolastico privo di reale intelligenza emotiva.
Per intelligenza emotiva si intende la capacità di riconoscere le proprie emozioni, comprenderle, regolarle e, soprattutto, entrare in relazione empatica con quelle degli altri.
In un ambiente educativo, ciò significa saper ascoltare attivamente, accogliere la fatica altrui senza giudicare, e creare uno spazio in cui sentirsi visti, valorizzati, umanamente accolti.
Non siamo gentili o comprensivi l’uno con l’altro perché percepiamo che l’altro non lo è con noi. Così, entriamo in una spirale di chiusura e sfiducia: se mi sento non compreso, smetterò anche io di provare a comprendere. Ma se questo atteggiamento continua a dominare, il circolo vizioso non potrà mai spezzarsi. Solo un cambiamento nel modo in cui ci relazioniamo può interrompere questa dinamica: serve più ascolto, più pazienza, più umanità. Perché la scuola non è solo un luogo di nozioni, ma un luogo di persone.
E le persone imparano davvero solo quando si sentono accolte."